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Editoriale
Arte da... mangiare
di Giancarlo Roversi Giancarlo Roversi

Il rapporto tra arte e cibo è da sempre una delle espressioni più intriganti dell’inventiva umana. Un rapporto che muove i suoi primi passi col fiorire della civiltà e che scaturisce dal desiderio dell’uomo, in progressiva fase di acculturazione, di deliziare con nuove sfumature di gusto il proprio palato. E se nell’essere primitivo il mangiare rappresenta soltanto un esigenza di sopravvivenza, nell’uomo civilizzato, colto, costituisce invece un motivo di godimento sensuale. Non si mangia solo per poter campare ma per provare nuove emozioni. Ma anche per riflettere uno status symbol. Basta pensare ai grandi banchetti che i potenti della terra e i ceti privilegiati di ogni epoca storica, dal più remoto passato fino ad oggi, hanno fatto allestire per sbalordire e allettare i propri commensali, stimolando l’estro dei cuochi a elaborare vivande sempre più straordinarie e appetitose. Non solo dal punto di vista gustativo, ma anche sotto il profilo estetico, come dimostrano i superbi “trionfi”, le grandi montature, insomma le “istallazioni” che in altri tempi facevano puntualmente la loro comparsa in tavola fra lo stupore e l’ammirazione dei gozzoviglianti. Creare un piatto per un cuoco degno di questo nome ha avuto e ha lo stesso valore di chi concepisce un’opera d’arte. Un parallelo che non è mai sfuggito a grandi maestri di cucina e a trattatisti della cultura gastronomica come Brillat-Savarin, Careme, Escoffier, Parmentier.

Un legame stretto e profondo, quello tra arte e cibo, ma a patto che l’opera “da mangiare” abbia il pregio dell’originalità, sappia trasmettere sensazioni intense e vibrazioni non soltanto del gusto ma anche dello spirito. Lo stesso che accade nella contemplazione di un’opera d’arte. E come l’arte evoluta è un portato della civiltà così lo è il cibo elaborato: riflettono entrambi un’epoca, una società, un individuo.
Ma se dilatiamo all’estremo il nostro orizzonte arriviamo addirittura al piatto-opera d’arte pronto da degustare, da distruggere nel rito della consumazione e del godimento palatale. In questi ultimi anni non sono mancati esperimenti di questo genere, ispirati a piatti o a cibi presenti in nature morte o scene di tavola dipinte da grandi maestri del passato, che si sono così trasformate in opere d’arte effimere, ma non per questo meno emozionanti. In una mostra a Parigi i visitatori dopo l’ammirazione visiva delle opere esposte hanno potuto effettuare la “degustazione” delle stesse comodamente riuniti attorno a una tavola in una sorta di apoteosi per godere nella sua interezza e nella su complessità un’opera d’arte
Del resto che il mondo dei sapori abbia colpito da sempre gli artisti è documentato dalla lunga e ininterrotta serie di raffigurazioni pittoriche o plastiche di cui sono ricche le gallerie di ogni parte del mondo e che testimoniano il compiacimento sensuale dell’autore verso questo genere di arte figurativa. Una vera trasposizione o trasfigurazione delle pulsioni gustative di chi le ha eseguite.

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