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Mezzo secolo di maccheroni & company
Un Prezzolini maccheronico
di Massimo Gatta Maccheroni & C

Uno dei bersagli preferiti contro cui si scaglia Effe Ti Marinetti nel suo Manifesto della cucina futurista del 1930 è nientemeno che sua eccellenza la Pastasciutta, considerata un must della cucina nazional-popolare. Scrive senza troppi fronzoli nel proclama dirompente Contro la pastasciutta che essa è rea di contrastare «[...] lo spirito vivace e l'anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani i quali, nel mangiarla sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo». La scomunica del Capo cade come un macigno nello stagno tranquillo delle secolari abitudini alimentari dei poveri italiani, compresi quegli esagitati futuristi o futuristeggianti che devono, da una parte, approvare ogni proclama del Capo, finanche i più stralunati, dall’altra fare i conti con la propria pancia e con la tradizione atavica di chi vede nella pasta un alimento sano, popolare, completo. La pastasciutta, nelle innumerevoli declinazioni di tipi e formati, rappresenterebbe secondo Effe Ti Marinetti il principale ostacolo al sogno: Si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia, scrive. La pasta sarebbe invece elemento disturbante tale da impedire al pensiero di librarsi al di sopra delle cose e della realtà. Meglio il riso e il pane, suggerisce Marinetti, che mutua il consiglio da altri: «Un intelligentissimo professore napoletano, il dott. Signorelli, scrive: “A differenza del pane e del riso la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ciò porta ad uno squilibrio con disturbi di questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”» [cosa poi significano inattività nostalgica e neutralismo applicati al cibo resta un mistero]. Ma la pastasciutta no, per carità.

Maccheronaro napoletano
Maccheronaro napoletano. Foto del 1892

Leggendo però la recente indagine sulle abitudini alimentari degli europei e apprendendo che gli italiani sono all'ultimo posto per quanto riguarda la voglia di modificare le consolidate abitudini gastronomiche (ai primi posti danimarca, norvegia e tutti i paesi del nord europa), la battaglia marinettiana sembra aver perso su tutti i fronti se non altro riguardo proprio alla pastasciutta, regina incontrastata della tavola, e non solo meridionale. Sembrano essersi curiosamente avverate le suppliche, e gli scongiuri, dei tanti regionalisti (anche in ambito futurista) che all'epoca auspicavano che Marinetti risparmiasse, dalla sua crociata antipastasciutta, almeno le amate fettuccine romane, o i prelibati cappelletti modenesi, le deliziose trenette e le tante paste ripiene liguri. Già, e i classici maccheroni? Ma, scrive Domizia Carafòli, «gastronomicamente parlando, quella del 1930 era ancora l’Italia di Pellegrino Artusi. L’Italia dello “sformato della signora Adele” nelle cucine borghesi […]. Spaghetti Su questa Italia il Manifesto della cucina futurista […] piombò come un fulmine, sconvolgendo tranquillli desinari allo squilllo di un invito “all’anarchia più rivoluzionaria” fra le pentole». In fondo, continua giustamente la Carafòli, l’eredità della marinettiana Cucina futurista  «[…] è qualcosa che con la gastronomia ha in fondo poco a che fare e molto con l’utopia di rendere bella e intelligente la quotidianità, con la fede nel potere liberatorio della risata (ai pranzi futuristi era previsto lo sganasciatore) e l’ingenua fiducia nel futuro che la catastrofe degli anni Quaranta avrebbe di lì a non molto cancellato».

            Giuseppe Prezzolini (Perugia, 1882 – Lugano, 1982) non condivideva affatto la posizione critica dell'Effe Ti Marinetti riguardo alla pasta (Crediamo anzitutto necessaria: a) L’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana […] agli italiani la pastasciutta non giova), di cui ben conosceva il manifesto del '30. In un capitolo del bel libro che dedicò all’italico piatto, Maccheroni & C. (Milano, Longanesi, 1957) si espresse, fin dal titolo, in maniera critica nei confronti dell’Effe Ti Marinetti: Anche in Italia c’eran state leggi sui fabbricanti di vermicelli e di fidelini, e Marinetti voleva addirittura proibirli. Cercherò in poche righe di raccontare la storia di questo libro che, nel panorama sconfinato della bibliografia prezzoliniana, appare come una meravigliosa e lucida parentesi, un'indagine sommamente acuta, articolata, un divertissément arioso e dotto, che a mezzo secolo dalla pubblicazione in italiano appare ancora di algida modernità.

            L'idea di dedicare un libro all'ideologia maccheroniana nasce in Prezzolini durante il suo lungo soggiorno negli Stati Uniti (A history of spaghetti eating and cooking for: Spaghetti Dinner, New York, 1955). Spaghetti DinnerPartendo dalle diverse sollecitazioni e stimoli che la scritta Spaghetti-Dinner gli suscitano viaggiando negli Stati Uniti da un oceano all'altro, sempre uguale quasi fosse un simbolo del matrimonio riuscito tra l'Italia e il Paese che lo ospita, Prezzolini esplora e coglie con occhio critico, colto ma anche ironico divertito e caustico, il mondo e la cultura delle paste alimentari, descrivendone la storia e gli aneddoti, la poesia, le molteplici ricette, il gergo, la letteratura che intorno ad esse ruota. La sintesi culturale che Prezzolini sembra cogliere in quella semplice scritta commerciale è davvero degna di un acrobata della critica. Ricorda, ad esempio, ciò che l'abate Ferdinando Galiani (spiritoso e colto "Pulcinella di genio")dice dei maccheroni: che ad esempio non sono mai mancati in nessun banchetto nuziale (Del dialetto napoletano, Napoli, 1779). Il passo successivo è di carattere antropologico: Prezzolini ricorda di aver letto (in un libro di Giuseppe Marotta) che gli spaghetti si mangiano a Napoli "per le morti e per le nascite"; se a ciò si aggiunge una dotta parentesi linguistica secondo la quale una varietà di maccheroni si chiama ziti, zite, zitoni e poichè la zita a Napoli è termine uato per sposa, naturaliter la scritta Spaghetti-Dinner (con il doppio termine italo-americano, che gli appare "una pietra miliare dell'Italia") diventa ai suoi occhi simbolo del matrimonio tra Italia e America e, più in generale, addirittura sinonimo di equilibrio internazionale.  Non a caso Prezzolini, nel capitolo prima ricordato, scrive: «Quando Marinetti lanciò la sua campagna contro la pastasciutta […] la National Macaroni Manifactures Association si sentì commossa e telegrafò al Duce protestando (marzo 1931); tanto un avvenimento italiano nel campo delle paste pareva scuotere l’equilibrio internazionale». de maccaroniNon si può che restare stupiti da questo suo elegante e vorticoso ricamo storico-gastronomico-antropologico-linguistico-politico. Resta il fatto che il libro che scaturì (Maccheroni & C.) è uno dei più bei saggi scritti sulla pastasciutta, anche se non ebbe il successo che forse meritava, restando confinato nei limiti di una conoscenza specialistica o dei prezzoliniani doc. I tanti capitoli che lo compongono spaziano dalla storia all'aneddoto, dalla culinaria alla linguistica, dalla politica alla satira, senza mai concedere nulla alla vuota retorica o al trombonismo accademico (contro cui Prezzolini lottò sempre), rendendo in tal modo il libro di piacevolissima lettura. Perfino il povero Leopardi o Dante subiscono gli strali prezzoliniani, dovendosi inchinare allo strapotere maccheronico: «[...] che cos'è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti? Gli paghetti sono penetrati in moltissime case americane dove il nome di Dante non viene mai pronunciato. Inoltre l'opera di Dante è il prodotto d'un singolare uomo di genio, mentre gli spaghetti son l'espressione del genio collettivo del popolo italiano, il quale ne ha fatto un piatto nazionale, ma non mostra d'aver invece adottato le idee politiche e il contegno del grande poeta».

            Di certo sappiamo che nel 1957 il grande scrittore perugino dona una copia con dedica dell'appena pubblicata edizione italiana al sor Giulio, il deus ex machina del cenacolo gastronomico-letterario fiorentino dell'Antico Fattore. Un libro che ai suoi occhi rappresenta il tentativo di integrare due culture tanto distanti. Due culture con le quali Prezzolini instaura per tutta la vita un corpo a corpo fatto di odio e amore, dialetticamente sempre presenti nel suo orizzonte culturale. Non a caso il libro nasce e viene pubblicato negli Stati Uniti ma, dopo soli due anni, viene tradotto e pubblicato in Italia da un altro geniaccio come Leo Longanesi. Il libro usce nell'aprile del '57; cinque mesi dopo, il 27 settembre, Longanesi muore a Milano per un infarto. E' quindi tra gli utlimi titoli da lui pubblicati in vita.  La doppia ricorrenza dei 50 anni ha costituito l'occasione per ricordare entrambi: il grande polemista e il genio di Bagnacavallo.

Art du vermicelier

            Ma nel libro traspare anche, in filigrana, una sorta di orgoglio nazionale che Prezzolini tenderà, nel tempo, a sminuire. Del resto nel suo volume di ricordi del 1953 (L’italiano inutile) così scrisse a proposito del libro: «Buitoni è l’ultima mia scoperta umana. Mi ci son trovato bene avendomi il caso portato da lui, e ho finito per restarci vicino. […] Ho scritto per lui un libretto semiserio sulla storia degli spaghetti in Italia e in America, che si chiama Spaghetti-Dinner, da quelle scritte che si vendon sovente da costa a costa negli Stati Uniti, su quei ristoranti a buon mercato che hanno la forma di vagoni abbandonati lungo le autostrade, e son davvero un contributo italiano alla civiltà americana. L’ho scritto anche per dimostrare che ormai tutto mi sembra eguale, gli spaghetti o la filosofia di Machiavelli, su cui ho pure scritto un altro libro. E’ una dichiarazione filosofica, per chi lo vuol sapere. Ed anche di gusti umani. Certi uomini d’affari mi piacciono più di certi letterati, forse direi di molti di noi letterati».

Venditore di spaghettiConcludo scegliendo tra i tanti, troppi, passaggi brillanti, quello dedicato alla modalità di mangiare gli spaghetti: «Dal modo con quale mangi gli spaghetti un italiano ti conoscerà per straniero, o per uno straniero che ha imparato; e una persona acuta scoprirà anche qualche tratto del tuo carattere, avido, avaro, frettoloso, timoroso, impetuoso, meticoloso, cauto, disordinato, distratto vedendo il modo col quale tratterai gli spaghetti che il cameriere o l'ospite ti ha portato. Ci sono molti modi infatti di risolvere il problema d'un piatto di spaghetti, quello d'aggredirli a forchettate, quello di giocherellarci colla punta della forchetta, quello di iniziarli dalla parte destra, o dalla sinistra, o dalla cima, quello di lasciarli raffreddare (una colpa gravissima agli occhi d'un buongustaio). E son sicuro che un giorno o l'altro i dottori di psicoanalisi non si contenteranno d'interrogare il paziente disteso sopra un sofà, ma vorran vederlo a tavola colla forchetta in mano davanti ad un piatto di spaghetti, e stabiliranno delle categorie e fisseranno delle differenze di comportamento». Certo quest’ultimo passaggio avrebbe creato non pochi problemi all’estetica culinaria marinettiana che, al punto 4 del suo Manifesto, prescrive: «l’abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelabiale». 
Ma pastasciutta o non pastasciutta, maccheroni o riso, pane o altro, su un punto almeno non possiamo non essere profondamente d’accordo con l’Effe Ti Marinetti, quando impone: «l’abolizione dell’eloquenza e della politica a tavola». E quì Prezzolini, ne siamo certi, avrebbe sottoscritto in pieno.


dieci metri di spaghetti




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