Joan Crous a Casa Artusi
Un'opera che viene da lontano
di Massimo Montanari
Joan Crous è un artista giovane, ma ha già fatto conoscere a mezzo mondo l'originalità del suo lavoro, l'abilità delle tecniche messe a punto nella lavorazione del vetro, che gli hanno permesso di realizzare opere assolutamente uniche.
Opere emozionanti, che si inseriscono in un progetto artistico che è anche un progetto di vita. Crous ha l'aria del sognatore, o forse del mago, e riesce a incantare chiunque gli stia vicino anche solo per qualche minuto; eppure, sarebbe difficile immaginare un artista più solido e terragno, più attaccato, letteralmente, alla terra e ai suoi valori. Lasciando la natia Barcellona per andare a vivere in mezzo ai boschi dell'Appennino bolognese, egli ha compiuto una scelta di vita dettata anzitutto dal desiderio di mescolarsi alle cose, alle persone, agli animali - di non perdere il legame profondo, viscerale con la vita quotidiana.
Di questo legame, il rapporto col cibo è sempre stato un elemento essenziale, e non c'è da stupirsi se la riflessione sulle tecniche e le espressioni artistiche si è sempre incrociata, in Crous, con un'attenzione che si direbbe primaria a questa primaria (appunto) dimensione del vivere. Che non è idillio o stucchevole arcadia: allevare maiali attorno a casa, tagliar legna, cucinare, così come costruire un grande laboratorio per insegnare l'arte del vetro, sono operazioni faticose, che costano sudore. L'attaccamento di Crous alla campagna e alla montagna non sono la ricerca di evasione di un cittadino in passeggiata domenicale, ma la sfida a incorporare nella propria esistenza un rapporto fisico, corposo, materiale con l'ambiente. A recuperare una dimensione arcaica, se vogliamo, del territorio, come spazio che condiziona l'uomo sottoponendolo a continue sfide e ripensamenti. Da queste sfide Crous ha tratto linfa per la sua attività creativa, e il progetto delle Cene, che prosegue da almeno un decennio, trova in quel territorio, in quel paesaggio, in quel rapporto simbiotico con l'ambiente una motivazione che non è estetizzante, ma di vita vissuta.
Le Cene, che Joan Crous allestisce in occasioni e luoghi sempre particolarissimi, muovendosi dall'Italia al Canada, dalla Francia a Israele, sono operazioni complesse che richiedono lunga preparazione. Dopo l'allestimento del cibo si documentano, durante il pasto, gli spostamenti di piatti e stoviglie che movimentano la tavola come uno spazio scenico; i resti, gli avanzi vengono minuziosamente raccolti e trasformati, con tecniche originalissime che ricordano la vetrificazione di Pompei sotto le sabbie roventi del vulcano, in oggetti di fenomenale impatto visivo. Serviranno a ricostruire un'immagine inedita della tavola, trasfigurata ormai in icona di se stessa. Trasportando nel vetro le tracce del vissuto, questi oggetti lo immobilizzano come in un'immagine archeologica, che richiama un passato lontanissimo proiettando noi in un virtuale futuro, curiosi indagatori di un evento appena concluso. Il gioco tra passato, presente e futuro, che rivela in modo suggestivo la sensibilità anche storica dell'artista, procede in ogni direzione, indietro e avanti, noi a pensare noi stessi nel passato della tavola-testimone, noi a pensare noi stessi nel futuro di osservatori del passato, noi a restare immobili, attoniti di fronte al presente che si presentifica.
Joan Crous e Massimo Montanari la sera del 9 novembre 2007
Siamo grati a Joan Crous di avere incluso nel suo prezioso catalogo di eventi speciali l'inaugurazione di CasArtusi a Forlimpopoli, con la cena che l'ha accompagnata il 23 giugno 2007. Questo volume è il racconto di tale esperienza, un'esperienza globale che non parte dalla cena, ma dai prodotti che l'hanno resa possibile e, virtualmente, dalla terra che questi prodotti ha fornito: i porci semi-selvatici di razza romagnola (la cosiddetta "mora"), recuperati e allevati sulle terre in cui l'artista abita, hanno fatto da filo conduttore del menù artusiano. L'idea da lui suggerita è quella di una linea continua che, eliminando pause e vuoti, accorci il più possibile la distanza fra produzione e consumo, terra e tavola: un messaggio antico oggi di grande attualità. Solo in questo modo - pare dirci Crous - il cibo può diventare arte. Perché l'arte dà forma, crea bellezza, suggestioni, emozioni, ma non può navigare sul nulla.
Un'arte che rappresenti il punto d'arrivo di un percorso a suo modo già artistico (perché è bello rapportarsi al cibo e all'ambiente in questo modo) non può che rafforzare l'efficacia del proprio messaggio. Ecco perché la Cena di CasArtusi (un luogo che nasce per rivendicare le ragioni della cucina di casa, del cibo di territorio, del saper-fare domestico non sconfitto dalla cultura industriale) assume un particolare significato nella produzione artistica di Crous, che qui, per la prima volta e con un intento espressivo non ambiguo, ha voluto portare i suoi prodotti.
I saggi che, in chiusura di questo volume, illustrano la tecnologia e l'estetica del lavoro di Crous vanno perciò letti in parallelo con gli altri che, nelle prime pagine, raccontano la "scelta quotidiana" che ha reso possibile la nascita, l'idea stessa dell'opera. È quella l'opera di Crous. I bellissimi vetri nati dalla rielaborazione della cena non ne sono che il coronamento conclusivo – assolutamente geniale, a dire il vero.
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