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"Segni araldici di un'autentica nobiltà di educazione":
Giovanni Rajberti e il suo trattato L'arte di convitare.
di Massimo Gatta

Il medico poeta milanese Giovanni Rajberti
é venuto fuori un personaggio strano, uno scrittore
finto ingenuo, una figura emblematica assai più
intensa ed allusiva di quel che immaginavo. Certo,
è un Minore, come si dice a scuola. Ma è un Minore
come i frati di certi ordini che a quel modo si chiamano.

 L'arte di convitare

Giorgio Manganelli

         Ho volutamente preso in prestito da Emilio Faccioli1 la frase che costituisce la prima parte del titolo di questo articolo perchè essa mi sembra perfetta per definire lo spirito e la sostanza d'una antica civiltà di buone maniere, tipica di quell'Ottocento ormai sempre più "preistorico" per i contemporanei. Per la verità Faccioli accomuna, nel suo scritto, sia Giovanni Rajberti che Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, di cui cita la Cucina casarinola co la lengua napolitana22Ma è di Rajberti, o meglio del medico-poeta milanese Giovanni Rajberti (1805-1861), che vorrei parlare e in particolare di quel suo trattato sul convitare (1850-1851), che ebbe notevole successo nella seconda metà dell'Ottocento e per gran parte del Novecento, anche se oggi è quasi del tutto dimenticato3.

         Il testo di Rajberti, e il corpus generale di idee che lo sostiene, sviluppa e approfondisce la sua posizione, tipicamente positivista (è pur sempre un medico) della centralità del corpo umano come macchina e dei suoi ritmi lenti, rigorosi e regolari che governano la vita. Giovanni Maffei, nel suo lucido e approfondito saggio che correda l'ultima ristampa del testo di Rajberti, giustamente accomuna il medico-poeta milanese a Gadda: «Rajberti e Gadda non sono accomunabili solo per l'epa4 e il vorace epicureismo che stanno nei rispettivi documenti e miti biografici, e per i pasteggiamenti che descrissero e di cui dirò fra breve: è legittimo metterli in rapporto anche per altro. Per il tramite, innanzitutto, della genealogia e "fisiologia culturale" lombarda, come sottolineato da Arbasino che ha annoverato pure Rajberti - grande e misconosciuto minore - nella "concrezione palpitante e dolente" della memoria letteraria gaddiana: con Parini e Dossi, Manzoni e Marinetti, i Verri e Porta e il Romanticismo e il Positivismo e la Scapigliatura»5. Rajberti, definito Grande Minore da un altro profondo conoscitore dei complessi meccanismi epato-letterari come Giorgio Manganelli6, era profondamente convinto della centralità della macchina-corpo-officina, e dei suoi ritmi lenti, rigorosi e regolari che regolano il corso dell'esistenza. In un passo emblematico di un suo più celebre libro così scrive: «Il mondo, esaminato in grande, si move e progredisce non tanto per alcuni clamorosi, locali e temporanei avvenimenti, quanto per la continuità e universalità delle più tranquille, minute, comuni abitudini e tendenze della vita»7. Una storia, appunto, viscerale (Maffei), centrata sugli sviluppi di una meccanica precisa (le tranquille, minute e comuni abitudini). Ne sottolinea l'importanza in un libro sul gatto perchè questo felino, nelle sue ingestioni e digestioni, «[...] ha contato nella storia mondiale più di Carlo Quinto o di Napoleone»8: se egli, infatti, cessasse di mangiare i topi, suggerisce il medico-poeta, saremmo ridotti a mangiarli noi9.

 L'arte di convitare          In questo scenario tipicamente positivista, ma anche profondamente disincantato e realista, si inserisce il doppio volume del 1850-1851 dedicato, strategicamente, all'arte di convitare. Il convito, infatti, «[...] è il luogo, il momento della "zona di contatto" in cui meglio si mostra la contiguità, al limite l'unità di fisico e morale: dove l'uomo corporeo che si nutre è immediatamente anche l'uomo morale che lo fa cogli altri, che sedendo a tavola cogli altri misura la propria sociabilità e convenienza all'ethos. Sicché, nei limiti in cui gli è possibile, Rajberti è serio e perfino grave quando, nelle ultime pagine dell'Arte, ribadisce la fede nei conviti come fondamento comunitario e ragione di progresso»10.
         La tavola conviviale diventa così palcoscenico d'un rituale finalizzato alla socializzazione; per tale motivo l'intero sviluppo tematico del volume, nelle sottili divisioni interne che diremo, è ago e sismografo di questi passaggi obbligati, uno stile rigorosamente codificato in linea col principio e l'importanza, già ricordate, delle "più tranquille, minute, comuni abitudini e tendenze della vita". Inoltre, come ben sottolinea Maffei, l'opera uscì all'indomani della sconfitta della Rivoluzione del '48 la cui euforia, solo due anni prima, aveva permeato di sè l'intera società (e di cui lo stesso Rajberti aveva scritto 11). Così il rappel à l'ordre passa, anche, per la tavola imbandita. Rajberti era convinto, infatti, che nel gran numero delle cose piccole, più che nelle poche cose grandi e straordinarie, si celasse il "viver del mondo": e così «[...] ritagliò ai suoi lettori il perimetro di una sala, con una tavola imbandita e un pò d'amici a mangiare e a farsi compagnia, e ne fece il luogo possibile di esercizi virtuosi e latamente progressivi. Perché escludere i pranzi dall'impresa educativa? Perché volere la concordia degli spiriti, il conseno dei ceti solo nell'ascesi studiosa, nella tensione delle volontà, e non anche nei sapienti indugi conviviali? Perché non accendere in altre case, su altri deschi i lumi di ritemprante "intimità" che già brillavano negli interni patrizi frequentati da Visconti Venosta?»12.

 L'arte di convitare          Ma il "popolo" a cui l'autore si rivolge nel titolo non é di certo il ceto basso (la "plebaglia", la "marmaglia"), che a stento riesce a mettere insieme qualcosa da mangiare; ma non è neppure il ceto alto, che non ha bisogno del suo libro (come scrive lo stesso Rajberti). E' invece il ceto medio, una borghesia colta, in fondo semplice, quella delle buone maniere, aperta, disponibile; il ceto al quale lo stesso scrittore appartiene, in fondo la stessa borghesia ottocentesca di cui parlava Longanesi. Ma quì Rajberti è anche portatore di un risentimento personale, un misto di attrazione e repulsione, un nodo contraddittorio, un risentimento, un elaborazione del suo snobismo di fondo non completamente risolto. Autore tra i più vessati dalla censura austriaca in epoca preunitaria (Maffei) Rajberti sceglierà infine l'emigrazione da Milano verso Monza (dove nasce L'arte di convitare), dalla "culla" alla "tomba", come lui stesso scrisse a pagina 151 de Il viaggio di un ignorante del 1857. Ma Monza è anche il luogo dell'incontro con la diciottenne Giuseppina Bolgeri, che Rajberti sposa dopo essere rimasto vedovo, nel 1853, di Rosa Prima, sposata nel 1830 e dalla quale ebbe cinque figli. La giovane Bolgeri si occuperà, dopo la morte di Rajberti (11 dicembre 1861), della raccolta delle opere del marito, destinandole al Comune di Monza, secondo le volontà testamentarie. Lo spirito liberare e caustico dello scrittore, oltre alla ricordata censura austriaca, lo allontanarono dalla direzione dell'ospedale di Como (dopo aver diretto la Ca' Granda e l'ospedale civico di Monza).

         Il galateo rajbertiano colpisce a destra e a manca. Il popolo, come il ceto alto, deve regolamentarsi. Il primo deve risolvere gli eccessi del troppo: «Troppi cibi, troppi vini, troppa gente, troppe insistenze di cordialità»13. La tavola imbandita appiani, dunque, questi eccessi, conduca all'essenziale. Già ma cos'é l'essenziale per Rajberti? Ecco la risposta: «Facciamo dunque i nostri pranzetti moderati, tranquilli, in piccola e scelta brigata: ché il vero e supremo piacere di siffatte radunanze sta nella buona e simpatica società»14. Sembrano quì tornare gli antichi versi riecheggianti i Carmina burana, da me già ricordati in un precedente scritto (in effetti la tavola come momento di incontro è in fondo un topos che ha accompagnato tutte le mie ricognizioni nei territori limitrofi tra letteratura e gastronomia): «Amici allere, magnamme e vevimme, fin che ce stace ll’uoglio alla lucerna. Chi sa si all’auto munno nce vedimmo, chi sa se all’auto munno ncè taverna». La tavola come taverna e porto, luogo d'incontro prima della sconfitta finale uguale per tutti, e quì Rajberti è fin troppo chiaro: «Se mi dimandaste dove si potrebbero scrivere senza impostura le parole libertà, eguaglianza, fraternità, risponderei: sulle pareti d'una sala da pranzo»15. Sembra riecheggiare quì il pensiero filosofico di Epitteto, lo schiavo greco affrancato che l’imperatore Domiziano mandò via da Roma nell’84 d.C. perchè accusato di fare filosofia. Ebbene il capitolo XV del suo Manuale Epitteto lo dedica, appunto, a La vita è un banchetto :

 L'arte di convitare

Tieni a mente che tu ti devi governare in tutta la vita come a un banchetto. Portasi attorno una vivanda. Ti si ferma ella innanzi? Stendi la mano, e pigliane costumatamente. Passa oltre? Non lo ritenere. Ancora non viene? Non ti scagliar però in là con l’appetito: aspetta che ella venga. Il simile in ciò che appartiene ai figlioli, alla moglie, alla roba, alla dignità; e tu sarai degno di sedere una volta a mensa cogli Dei. Che se tu non toccherai pur quello che ti sarà posto innanzi, e non ne farai conto ; allora tu sarai degno non solo di sedere cogli Dei a mensa, ma eziandio di regnare con esso loro. Per sì fatta guisa operando Diogene, Eraclito e gli altri simili, venivano chiamati divini, e tali erano veramente16.

            In fondo l'intento rajbertiano, il suo discorso-galateo, è un consiglio al buon popolo di riappropriarsi delle portate fondamentali, senza scimmiottare etichette; soprattutto quei piatti tradizionali della cucina milanese, semplice e essenziale. Un principio di moderazione che è anche il limite delle classi alte: l'impossibilità, per queste ultime, di godere dell'allegria, della libertà, della cordialità che uniscono i convitati.

            Prima di concludere guardando da vicino la suddivisione tematica dei capitoli de L'arte di convitare, due parole sull'edizione. Tra le tante pubblicate mi sono volutamente basato e soffermato su quella del 193717. Il motivo è squisitamente d'ordine grafico. L'edizione, stampata a Milano da uno dei grandi tipografi italiani del secolo come Raffaello Bertieri condensa, nel suo rigore ed equilibrio, gli ideali formali di questo stampatore. Bertieri stamperà di Rajberti, oltre L’arte di convitare, anche Sul gatto (1937) e Il viaggio di un ignorante (1938), quest’ultimo illustrato sempre da Bucci18.Nel primo volume de L’arte è anche stampata una Nota dell’editore nella quale tra l’altro è scritto : «Mi sono deciso a pubblicare le Opere di Giovanni Rajberti, soprattutto per la viva simpatia che ho sempre avuto per il Medico scrittore milanese, osservatore diligente ed arguto e profondo psicologo, assai più profondo di quanto non sembri attraverso le pagine leggere e ‘casalinghe’. Il Rajberti sembra infatti avere scritto le sue opere più per dar sfogo alla passione di scrittore che per fare della psicologia [...] ; ne son tanto convinto che nella edizione che oggi presento ho voluta rispettata l’ortografia e la forma originale dell’Autore»19. Questa edizione bertieriana è arricchita, inoltre, da 8 illustrazioni in bianco e nero dell’artista Anselmo Bucci20.
 L'arte di convitare
            In conclusione vediamo da vicino come erano strutturate le due parti del volume. Nella prima, dall’indice : Maniere diverse d’invitare a pranzo, Invitatori freddi e invitatori violenti, Dell’ora di pranzare, Del numero tredici a tavola, Della scelta dei commensali, Esempi di riunioni male assortite, Dell’invitare a pranzo chicchessia, Incontri insopportabili, e modo di evitarli, e così via fino all’ultimo Riassunto sui pranzi illustri e quelli alla buona. Da notare il capitolo Tempo del salame e discussione in proposito: «Tornando dunque al discorso di prima, dico (e attento bene, perché io porto la fiaccola della sana critica sopra argomenti non ancora esplorati dalla filosofia), dico che quando mai fosse lecito dare la minestra dopo altre vivande, per primo piatto non sarebbe mai a dare il salame, come hai fatto tu. Non già, vedi, che io rifiuti il debito omaggio a siffatte carni, mainò! Stimo altamente il majale sopra la maggior parte delle bestie; perché antepongo sempre la bontà alla bellezza e all’ingegno»21

            Anche la seconda parte ha capitoli di notevole interesse e suggestione : Dei discorsi che si tengono a tavola, Sugli elogi delle vivande, Del cambiare il piatto e la posata, Dell’eccitare a mangiar molto, Episodio sulle polpette e aneddoto, Del vino e dei vini, Il vino di Bordò, Il formaggio di grana, Il caffè. Troppo intrigante, infine, è il capitolo sulle polpette per non darne, appunto, un assaggio: «A proposito di polpette: alcuni vorranno sapere se a un pranzo un pò distinto sia lecito servirne un piatto. Il quesito è bello, e credo anche nuovo, giacché non conosco alcun filosofo che lo abbia trattato mai. Dico dunque che, stando all’uso, non si dovrebbe farlo, perché l’uso, cioè la pazza moda, ridusse la nostra cucina ad essere imitatrice servile della cucina francese. Ora, i Francesi sono talmente orbi e digiuni d’ogni nozione sulle polpette, che non hanno nemmeno nella loro lingua la parola per significare: gl’infelici, che si credono il primo popolo del mondo! E a ragionar loro di polpette sarebbe come chi facesse ai cannibali il panegirico del papa. Le polpette sono una vivanda affatto italiana, anzi direi esclusivamente lombarda, dietro informazioni attinte da autorità gravissime in questa materia. Difatti, nel mio viaggio scientifico del 1845, in occasione del settimo congresso dei dotti, non mangiai e non vidi mangiar polpette nè a Napoli, nè a Roma, nè a Genova»22.
            Ma ora, gentili lettori, scusatemi ma credo che il magnifico profumino che giunge fino alla mia scrivania sia proprio quello delle ... polpette, per cui termino quì e vado a controllare di persona (col beneplacito del buon Rajberti).

 L'arte di convitare




1 In L'arte della cucina in Italia. Libri di ricette e trattati sulla civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, a cura di Emilio Faccioli, Torino, Einaudi, 1987 [I millenni], p. XXVIII. Cfr. anche Claudio Benporat, Il cuoco mestiere d'arte, Milano, Il Saggiatore, 1999.

2 Cfr. Ippolito Cavalcanti, Cucina casareccia in dialetto napolitano ossia cucina casarinola co la lengua napolitana, a cura di Emilio Faccioli, Milano, Il Polifilo, 1965 [edizione numerata in 99 esemplari].

3 L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti, Milano, Tipografia Giuseppe Bernardoni, 1850-1851, 2 volumi. L'autore, nelle prime righe del libro, definisce "galateo" il suo libro: "[...] un frammento o una fetta di Galateo". L'opera, uscita in due volumi tra la fine del 1850 e la primavera del 1851, non è rara; l'Indice dell'ICCU localizza infatti, di questa prima edizione, molti esemplari in biblioteche pubbliche italiane. Il libro verrà ristampato molte volte sia nel corso dell'Ottocento che nel Novecento (1899, 1913, 1922 nei "Classici del Ridere" dell’editore Formìggini, 1923, 1930, 1937, 1939); l'ultima edizione disponibile è quella curata da Giovanni Maffei, Roma, Salerno editore, 2001.

4 Epa è voce dotta latina per fegato, più in generale pancia, ventre: «rispuose quel ch'avea infiata l'epa», Dante, Inferno, XXX, 119.

5 Giovanni Maffei, Mangiari lombardi: Rajberti e Gadda, in L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti, Roma, Salerno editore, 2001, pp. 221-245 [221]. L'ottimo saggio di Maffei, quì solo sporadicamente citato, è da leggersi interamente per inquadrare Rajberti e Gadda nel contesto socio-lettetario lombardo otto/novecentesco.

6 Giorgio Manganelli, Giovanni Rajberti, in Id., Laboriose inezie Milano, Garzanti, 1985, pp. 209-210. Lo scritto manganelliano uscì in prima edizione nel «Corriere della Sera», 1985.

7 Giovanni Rajberti, Sul gatto. Cenni fisiologici e morali, Milano, coi tipi di Giuseppe Bernardoni, 1846 (2° ediz.), p. 18 [corsivo mio].

8 Giovanni Maffei, Mangiari lombardi: Rajberti e Gadda, cit., p. 224.

9 Cfr. Giovanni Rajberti, Sul gatto, cit., p. 19.

10 Giovanni Maffei, Mangiari lombardi: Rajberti e Gadda, cit., p. 226 [corsivo mio].

11 Govanni Rajberti, Il Marzo 1848: versi milanesi, Milano, Giuseppe Bernardoni, 1848.

12 Ibid, p. 228 [corsivo mio]. Giovanni Visconti Venosta (Milano, 1831-1901), fu giornalista e scrittore, famoso per la poesia scherzosa La partenza del crociato (il prode Anselmo).

13 Rajberti citato da Maffei a pag. 232.

14 Ibid.

15 Ibid.

16 Epitteto, Manuale, volgarizzamento di Giacomo Leopardi, introduzione e note di Gennaro Auletta, Bari, Edizioni Paoline, 1962, pp. 45-46.

17 L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti, con quattro illustrazioni di Anselmo Bucci, Milano, coi tipi del Bertieri, [maggio]1937-XV, 2 volumi, al prezzo di Lire 6 ciascuno. La S.A. Farmaceutici Italia, come risulta dalla breve introduzione Ai medici italiani [pp. IX-XII], se ne assicurò un certo numero di copie da offrire in omaggio ai medici.

18 Cfr. Giulia Veronesi, Raffaello Bertieri. Mostra di stampe, documenti, edizioni varie, Milano, Biblioteca comunale di Palazzo Sormani, 14 gennaio-3 febbraio 1965, Milano, Industrie Grafiche Italiane Stucchi, 1965, p. 24, schede n. 10, n. 11, n. 12 [catalogo della mostra].

19 Nota dell’Editore, in L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti [ediz. 1937], cit., parte prima [senza numerazione di pagina].

20 Anselmo Bucci nasce a Fossombrone nel 1887, vivendo però a Monza nel periodo 1904-1906. Nel 1905 si iscrive all’Accademia di Brera, trasferendosi l’anno dopo a Parigi insieme a Leonardo Dudreville e Mario Buggelli. Nella capitale dell’arte europea ha così modo di affinare la sua tecnica pittorica entrando in contatto con altri artisti italiani, come Lorenzo Viani, Gino Severini, Amedeo Modigliani del quale diventa intimo amico, ma anche Picasso. Nel 1922 ritorna in Italia ed è tra i fondatori del gruppo “Novecento”. Dopo il bombardamento milanese del 1943, durante il quale viene distrutto lo studio di Largo Augusto, decide di trasferirsi a Monza. Nel secondo dopoguerra sarà tra i fondatori del “Gruppo degli Indipendenti”, con Natalia Mora, Antonio Arosio e Nicolò Segota. Muore a Monza nel 1955 [http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp/idelemento/22173]. Su Bucci vedi anche Paola Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana. Libri e periodici a figura dal XV al XX secolo, Bologna, Zanichelli, 1988, p, 229, 235, 241.

21 L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti [ediz. 1937], cit., parte prima, p. 137.

22 L'arte di convitare spiegata al popolo dal dottore Giovanni Rajberti [ediz. 1937], cit., parte seconda, p. 89.

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