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L’opinione di Massimo Montanari
Per l’anniversario garibaldino. Un aneddoto

Cleto Arrighi, il «principe» degli scapigliati milanesi, coordinò e diresse nel 1888 la pubblicazione di un'opera collettiva che avrebbe dovuto illu­strare la vera fisiologia della capitale morale» d'Italia: ad evidente ri­chiamo del romanzo «parigino» di Zola, essa ebbe titolo Il ventre di Mi­lano. Sono due volumi pieni di vita, di personaggi, di aneddoti. Si legga ad esempio questa cronaca di un pranzo allestito a Pavia - in tutta fretta e con qualche problema organizzativo - per la venuta di Garibaldi.
Giuseppe Garibaldi
Correva il 1861. Era il tempo degli entusia­smi per Garibaldi. Non fa d'uopo di spiegare il perché.
I pavesi un giorno vengono a sapere che il grand'uomo doveva venir nella loro città a trovare la madre di Cairoli, e organizzano il banchetto. Chi fosse curioso di leggere la re­lazione, dirò così, ufficiale di quel pranzo, non ha che a con­sultare i giornali di quell'epoca grande e gloriosa. [...]
A tavola erano quattrocento. Sedevano nella grande sala a primo piano dell'albergo dei Tre Re di proprietà del signor Pietro Galli.
Il menu del pranzo era stato dettato da quel De Vecchi, che fu poi involto nel processo Dorides. Lui s'era assunto di provvedere, di disporre, di ordinare. Ci dovevano essere tra gli altri piatti del branzino in bianco e delle pernici in salmì. Il signor Galli sulle prime si grattò in capo. Dove si pigliano lì per lì dei branzini e delle pernici per quattrocento garibal­dini, giovani pieni di valore ma anche di appetito? Eppure non si poteva far a meno.
C'era in quel tempo a Pavia il signor Federico Carini, uno de' più strenui camerieri di albergo e di restaurant ch'io conosca. Egli è capace di servire quaranta persone, disperse in molti tavoli, da solo. Tant'è vero ch'egli è unico nel re­staurant della Porta Lunga in piazza Santo Stefano, frequen­tatissimo specialmente nelle domeniche, e nessuno si lamen­tò mai d'essere stato lasciato in dimenticanza. Egli è il Pico della Mirandola dei camerieri. Con lui stava anche un certo Baldi, che ora fa il mediatore. Carini fu chiamato dal Galli, il quale gli confidò d'aver preparati sessanta piccioni e venti fra trote e lucci, che dovevano passare per pernici e per bran­zini. Mancargli soltanto ventisei teste e ventisei code di vere pernici per la presentazione in tavola. Carini a queste finzio­ni non era nuovo certamente. Pure pensando che il trucco si doveva farlo a Garibaldi, sulla prima reagì. Ma necessità non ha legge. Il Convivio oggi: storia e  cultura dei piaceri della tavola nell'età contemporanea.tempo stringeva. Per quattrocento persone ci volevano almeno sessanta pernici. E si sa bene che non si trovano sempre lì covate e a giusto punto sessanta pernici. Di teste e di code perniciose  invece v'ha sempre buona scorta ne­gli alberghi. Vada dunque pei piccioni. Tanto e tanto il salmì saprà far miracolo. Si è cuochi o non si è cuochi?
Garibaldi del resto non ne toccò. Egli mangiò due fettine di prosciutto, un'aringa, e un po' di luccio-branzino. Rifiutò tutto il resto. Il pranzo costò ai sottoscrittori ottocento lire.

Da: Massimo Montanari. Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell'età contemporanea.  Roma [etc.]: Laterza, 1992.

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