Bologna e l’Artusi
di Massimo Montanari
Negli anni in cui a Bologna si inaugura la via Indipendenza, al di là dell'Appennino Pellegrino Artusi sta lavorando alla Scienza in cucina, un libro destinato a straordinaria fortuna, che ancora oggi, a più di cento anni dalla prima edizione (1891), non cessa di essere regolarmente ristampato, acquistato e utilizzato. Rivolto alle borghesie cittadine della nuova Italia unita, esso rappresenta il primo sistematico tentativo di riunire assieme le diverse tradizioni regionali della penisola, scegliendo le ricette meno strettamente locali e in qualche modo capaci - a giudizio dell'autore - di costituire un codice unitario, una "koinè" gastronomica largamente accessibile e accettabile.
Questo il programma; ma Artusi, romagnolo di nascita (era nato a Forlimpopoli nel 1820) e toscano di adozione (nel 1852 si era trasferito a Firenze, poi a Livorno e di nuovo a Firenze), riserva alle "sue" terre un'attenzione particolare, dando alla Scienza in cucina un forte accento toscano - romagnolo. In tale quadro anche Bologna occupa un posto importante, legato anzitutto alla suaconsolidata fama gastronomica, che Artusi ribadisce e conferma, in qualche modo ponendosi quale continuatore
ed erede dei grandi cuochi bolognesi del passato, da Scappi a Stefani ("quando sentite parlare della cucinabolognese", scrive, "fàte una riverenza, ché se lo merita"). La significativa presenza di ricette "alla bolognese" è inoltre dovuta al valore 'rappresentativo' che Artusi, in una
logica fortemente cittadina, assegna alla cucina dei capoluoghi di regione. Sicché a Bologna viene ricondotta gran parte della gastronomia emiliana, così come Torino, Milano o Firenze finiscono per rappresentare le rispettive regioni.
La proposta gastronomica di questa sera si ispira alla Scienza di Artusi sia nel modo di preparazione delle singole ricette, scelte quasi tutte tra quelle che l'autore presenta con la specifica "alla bolognese" sia nella composizione del menu, che segue abbastanza fedelmente la modalità di successione delle vivande proposta da Artusi in appendice al suo libra. I tre piatti centrali sono pertanto organizzati secondo la canonica successione ,li fritto, umido (o, in alternativa, lesso) e arrosto: dapprima "fritto composto alla bolognese"; infine "arrosto morto di pollo alla bolognese" (un tipo di preparazione così denominata perché a metà cottura l'aggiunta di un sugo liquido fa 'morire' l'arrosto). Questo 'blocco' centrale è preceduto da una minestra in brodo, come di regola nei menu artusiani (e non potevano essere se non i "tortellini alla bolognese"). Ad essi fa seguito una pastasciutta, 'maccheroni alla bolognese ", per i quali Artusi suggerisce, secondo l'uso di Bologna, i così detti denti di cavallo, di mezzana grandezza": questa dev'essere considerata una licenza in omaggio agli usi alimentari attuali, poiché sul finire dell'Ottocento - ma ancora per gran parte del nostro secolo - la pastasciutta non compariva nei menu delle grandi occasioni, ma solo in quelli domestici e generalmente come piatto unico. Quanto al dessert, in assenza di espliciti riferimenti artusiani alla gastronomia bolognese (tranne che per il natalizio "pane bolognese" che magari iserveremo per le prossime festività) la scelta è caduta sulla "torta di ricotta ", ricordata da Artusi come "il dolce che si imbandisce di preferenza alle nozze dei contadini in Romagna" e che in qualche modo si riallaccia, nei modi di preparazione, alla tradizione della "torta bianca e della "torta bolognese" (quest'ultima, però, salata e non dolce) ricordate nei ricettari italiani del basso Medioevo. Conclusione della cena sono le "pesche, uva ed altre frutte di stagione " che Artus raccomanda nelle sue "note di pranzi" per il mese di settembre.
Da: Bologna fin-de-siècle. Cultura e gastronomia di fine ‘800. Bologna, SeBit-Mensa, 1997
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