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A Sanremo è sempre Quaresima
Il cibo (scarso) nelle canzoni del Festival di Sanremo

di Rino Pensato

Rino Gaetano
Rino Gaetano
(Gianna 1978)
Sanremo compie 54 anni. Non li porta bene. Secondo la diagnosi di MenSA, specialisti in gusti e disgusti di origine gastromusicologica, consulenti dell'Centro studi sul trattamento delle demenze e scemenze musicali dell'Università di Pizzighettone, trattasi di anoressia. Abbiamo "testualmente" testato tutte le 1546 canzoni che sono state presentate al festival della canzone dal 1951.

Le cifre sono da fame. Le canzoni che contengono riferimenti al cibo sono 27 (su 1546 fa circa l'1,50 %). Di queste, 22 riportano un termine alimentare nel titolo. Se pensiamo che nella grande maggioranza tali riferimenti sono puramente metaforici e pescano peraltro fra le metafore più banali che mente umana possa immaginare, la conclusione che se ne trae è desolante. Benché mangiare sia una necessità vitale e il peccato di gola sia fra quelli praticati con disinvolta perseveranza e senza rimorsi da qualche miliardo di persone (e gli italiani sono tra i peccatori più incalliti sotto questo punto di vista), a Sanremo si patisce la fame.

Per Sanremo sono passati invano interpreti come Farina, Focaccia e Pane (Tullio), Omelet e Spinaci, Zucchero e Mango, Latte e Miele. A livello di canzoni ben pochi hanno fatto onore alla tavola. Le tabelle riassuntive ci esimono da entrare troppo nel dettaglio. La faccenda si può liquidare con due o tre osservazioni.

Fragole e fragoline abbinate a labbra, bocca e baci non meritano commenti. Roba da asilo d'infanzia o da Riccardino (Marenco) di Arboriana memoria. Questo delizioso e poeticamente, dopo Sanremo, ormai improponibile frutto, occupa il secondo posto fra le citazioni gastronomiche della storia festivaliera. 4 menzioni contro le 5 del caffè (ci avreste scommesso sul suo primo posto, riteniamo). 2 per caramella/e, frutto/a, zucchero, ragù. 1 menzione per:

acqua, albicocca, assaggiare, babà, bar, briciole, castagna, cavolo, ciliegie, cucina, fame, frappé, gnocco, indigeste, insalata, liquore, maccherone, mela, mercato, merendera, miele, mora, mozzarella, pane, papere, pappa, pappare, patatina, pepe, pera, pizza, pranzo, prezzemolo, pummarola, roast-beef, tartufo, trote, vitelli, zite/i.

Che dire ancora? Che Il numero complessivo dei termini alimentari sarebbe ancora più misero, se non ci fossero state tre canzoni che hanno strafatto, menzionando rispettivamente 5, 9, e 8 alimenti:
il mitico Al mercato di Pizzighettone del 1951, con 5 (mercato, vitelli, indigeste, liquore, assaggiare); la Caramella di Leo Leandro, del 1993, che aveva però gioco facile, con le sue caramelle alla frutta - pera, mela, albicocca, mora - consumate, al bar insieme al caffè;
infine l'unico vero inno alla cucina di tutta la storia del festival, Il babà è una cosa seria di Marisa Laurito (buon sangue arboriano non mente) che pone le basi, finalmente, per allestire un vero pranzo (o quasi) molto mediterraneo a base di zite col ragù, gnocco o maccherone con pummarola e mozzarella, per finire con il classico babà.
Una base seria, se completiamo il menù molto "pastoso" di Marisa, con il roast-beef di Modugno (Musetto), con contorno di cavoli e patatine di Gianni Meccia (Patatina del 1961) e l'insalata di Papaveri e papere (1952). Peccato che dobbiate pasteggiare ad acqua, o addirittura a frappé, perché né vino né birra compaiono mai sulla tavola di Sanremo.
Chiudiamo questa serie di amenità e facezie (ma è colpa loro) con un'ultima osservazione quasi seria, da parte di un musicofilo onnivoro che venera Mozart e Verdi, ama Miles Davis e Bruce Springsteen, ma ha anche "tifato" vigorosamente per Volare (ma sì, Il blu dipinto di blu, come volete) e Il ragazzo della via Gluck, ha pianto per la tragedia dell'amatissimo Tenco e glie l'ha data su, come dicono qui al nord, da quando, nel 1971 non è uscito vincitore dal Festival il grande Lucio Dalla di 4 marzo 1943, 3° posto, (già con Il ragazzo di Celentano del 1966 era stata dura, 16° posto!): più che un'osservazione è la nostra personale classifica, fra i pezzi "culinari" presentati nelle 54 edizioni del Festival dal 1951 al 2003.
Dal punto di vista strettamente gastronomico la trionfatrice sarebbe Marisa Laurito, e non ci sarebbe materia per secondi e terzi posti. Sul piano musicale, oltre ai pezzi in classifica (vedi sotto), sarebbe da segnalare la bella Caffè nero bollente di Fiorella Mannoia (1981), se non altro per affezione e ammirazione personale per la Mannoia, n. 2 (dopo Mina, of course) fra le nostre cantanti e interpreti al femminile.
Ma, volendola mettere su un piano che coniughi insieme riferimenti culinari, anche generici e appena accennati, con la qualità musicale e "poetica", le cose cambiano.
Sul primo posto non abbiamo alcun dubbio. Piazza grande di Lucio Dalla, 5° nel 1972, una canzone splendida e dei versi iniziali da "brivido":

Santi che pagano
il mio pranzo
non ce n'è
sulle panchine
in Piazza Grande
ma quando ho fame
di mercanti come me
qui non ce n'è.

Al secondo posto, Musetto di Domenico Modugno (1956), 8° posto al Festival, in cui le abitudini gastronomiche di Gigì hanno un ruolo non secondario nel disegnare l'adorabile ritratto di questa ragazza "spettinata":

Vivi così
tra boutiques e caffè
mangi roast-beef
bevi solo frappè...
Ma perché?...

Al terzo posto Gianna di Rino Gaetano (1978), altro gioiello canzonettistico assoluto, dove una parola gastronomicamente magica e pregiata, "tartufo", viene messa lì con finta noncuranza, al modo gaetanesco, semplicemente per rimare con UFO, in una delle sue irresistibili sequenze linguistiche ludico-surreali:

Gianna Gianna Gianna
non credeva a canzoni o U.F.O.
Gianna
aveva un fiuto eccezionale per il tartufo.

Tullio Pane
Tullio Pane
Una menzione d'onore per la piacevolissima Ma cos'hai messo nel caffè di Riccardo Del Turco (1969), sempre gradevole e mai sopra le righe, al limite del minimalismo. Cos'altro dire, senza voler essere cattivi?
Che, senza nulla togliere a tante canzoni "non gastronomiche" sanremesi ben piazzate nella (scusate il termine, non è nostro, viene da internet) "shit parade" italiana, bisogna dire che altri titoli (si pensi alla famigerata Fragole e cappellini, 1958) meriterebbero di figurare in quella perfida classifica, accanto alla fin troppo vituperata Sole, pizza e amore (1964).
Questo pezzo, già dal titolo evoca la summa (con la "mamma" sarebbe stata perfetta) dei luoghi comuni per eccellenza sull'Italia e gli italiani. Il resto lo fanno i "versi", in tutto all'altezza del titolo e l'interpretazione di Aurelio Fierro, peraltro bravo professionista della canzone napoletana, che qui nasconde benissimo, se c'era, quella vena di autoironia tipica di Tata Giacobetti e Virgilio Savona, firme del quartetto più famoso della musica leggera italiana.
Il Quartetto Cetra, questa autentica istituzione della canzone italiana, ci ha, prima e dopo l'infortunio citato, regalato a profusione perle di musicalità lieve ma non banale, con frequenti richiami jazzistici di prim'ordine, insieme a testi ironici, parodistici e umoristici mai volgari. Per meriti acquisiti e per la simpatia di Aurelio Fierro decretiamo qui il nulli prosequi.

Ed ecco finalmente a voi, cari amici vicini e lontani, il file con il riassunto di questa statistica: scarica il riassunto di questa statistica e il Menu del Festival della Canzone di Sanremo


Il cuoco in maschera

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