La grande cucina internazionale recita il mea culpa
Troppo spettacolo e poca sostanza nei piatti
di Caludio Mollo
Tutto ebbe inizio qualche anno fa, quando l'attenzione di alcuni chef,
uno in particolare, si concentrò nell'applicare le scoperte fatte nel campo della fisica e della chimica della materia, agli alimenti e ai loro processi di trasformazione durante la cottura. Prendeva ufficialmente il via la grande innovazione gastronomica che avrebbe legato indissolubilmente la cucina alla scienza. La Spagna, attraverso Ferran Adrià, è stata l'indiscussa apripista di questo nuovo lifestyle, che molti alti rappresentanti della ristorazione internazionale hanno sposato in pieno.
Gradi suggestioni attraverso percorsi cerebrali del gusto, forme e colori a completamento di quello che più che un piatto viene presentato come una nuova pietanza scientificamente perfetta.
A 10 anni circa, dall'avvio di questa nuova tendenza, si iniziano ad avvertire i primi segnali di stanchezza per una cucina che, in un crescendo di ricerca, ha dissipato sempre più le sue primordiali sembianze per divenire puro spettacolo, producendo "sfizi palatali" più da vedere che da mangiare.
Compressori, addensanti, azoto liquido e idrogeno hanno preso il posto di pentole e padelle in un turbillon di esperimenti "alimentari" realizzati in nome delle più sfrenata ricerca. A fianco dello chef è sceso il tecnologo alimentare, il chimico e il fisico, confinando sempre più la cucina in una sorta di giochino strano, fatto per stupire.
E proprio da Madrid Fusion, prestigiosa vetrina, dedicata alla gastronomia mondiale che arriva una grossa spallata a queste tendenze. In occasione del 5° vertice, Santi Santamaria, uno fra i più noti chef spagnoli, che durante il periodo della nuova era gastronomica ha tracciato segni indelebili nell'alta cucina internazionale, ha dato vita ad un accorata arringa nei confronti di quei colleghi che hanno ormai perso definitivamente la loro identità e dignità per uniformarsi sempre più alle mode avanguardiste della cucina. Insieme al suo mea culpa, la platea, di oltre 600 operatori paganti e 100 giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, è letteralmente esplosa in un applauso che sembrava non finisse mai. Una reazione imprevista, che ha lasciato sbigottiti alcuni chef che nei giorni prima avevano illustrato i loro recenti esperimenti culinari, molti dei quali travolti in pieno dalla feroce critica.
Netta controtendenza quindi con un Ferran Adrià e tirata di orecchie a chi, come Juan Marì Arzak, in questi ultimi anni ha deciso di rinunciare ad una consolidata identità storica, per correre dietro ad una innovazione "giocosa", forzando in modo palese la propria natura.
Nella rivoluzione culinaria iniziata anni fa, l'unica certezza e verità condivisa, è quella della assoluta centralità della materia prima, della perfetta conoscenza degli ingredienti e delle tecniche di lavorazione più adatte a valorizzarli.
In tutto questa kermesse spagnola, Mauro Uliassi e Davide Oldani: mediterraneo e schietto professionista il primo e grande artefice di una cucina del gusto ragionata ad arte il secondo, hanno sottolineato la fermezza e l'italianità del gusto. Proposto sempre anche nell'alta cucina, con un "garbo" tutto italiano.
Nonostante influenze e spinte innovative, il nostro paese è sempre stato abbastanza refrattario a queste filosofie culinarie estreme, forse in virtù dei profondi legami con una antica cucina del gusto, forse perché gli chef che hanno intrapreso la strada dell'innovazione sono sempre stati bravi a mediare tra il vecchio e il nuovo senza dimenticare che cosa piace trovare in un piatto. Un segnale sicuramente positivo che lascia poche speranze alla troppa cerebralità nel piatto, al troppo spettacolo dove la spiegazione e fortemente dovuta per riuscire a capire e il sapore va scoperto con molta attenzione.
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