MenSA Menu Storici e d'Autore
UserId PassWord
homepage
direzione e redazione
sommario
editoriale
le rubriche

i menu
archivio
banca dati
amici di MenSA
 
le regole del gioco le regole del gioco
di M. Montanari
MenSArIO - I blog di MenSA MenSArIO
I blog di MenSA

MenSA - la copertina



Tipografia e gastronomia tra i campi d'aglio della Provenza
di Massimo Gatta

É una storia lunga e affascinante che inizia nel 1951 in Alta Provenza, tra campi di lavanda e d'aglio "La prima ragazza che ho baciato sapeva d'aglio [...] Quell'anno, quello dei miei quindici anni, ho imparato ad amare l'aglio. Il suo odore nella bocca. Il suo sapore sulla lingua. E l'ebrezza dei baci, del piacere. Poi venne la felicità del pane sfregato con l'aglio e del corpo speziato delle donne". Non credo che Jean-Claude Izzo percorse quei campi provenzali di lavanda e d'aglio, nel '51 aveva solo sei anni. Ma mi piace immaginare che queto straordinario marsigliese conoscesse quella banda di matti geniali, grandi amici, intenditori di molte cose che, in quell'anno, decisero di fondare una sorta di cenacolo tipografico dove, alla fine, ci si parlasse davanti a un buon piatto e un ottimo vino, cibo e tipografia che altro desiderare di più? Un dialogo che imaggino fosse su come si cucina una pagina di stampa e di come si stampa un buon piatto di pesce. Insomma confondere le idee, divertirsi, stare bene insieme. I primi furono Maximilien Vox e Robert Ranc, direttore della Scuola Estienne, ai quali si aggiunsero nel tempo Jean Giono, Jean Garcia, Charles Peygnot, Fernand Baudin, Francois Richaudeau, Gerard Blanchard.

Tutto all'insegna della convivialità e del piacere del discutere del destino della tipografia in un'epoca in cui andavano sviluppandosi i moderni mezzi di comunicazione. Il luogo prescelto da Vox e da Giono non poteva non essere la Provenza, in particolare il borgo medioevale di Lurs-en-Provence (dove Vox era nato), da cui il nome di quegli straordinari incontri annuali, giunti fino ad oggi i Rencontres Internationales de Lure. E' difficile raccontarli perchè inevitabilemente si perdono gli odori, i sapori, le atmosfere di quelle giornate in cui storici della tipografia, grafici, progettisti e disegnatori di caratteri da stampa, bibliotecari, gastronomi, librai, discutevano animatamente per poi finire tutti intono a un tavolo con negli ochi la luce straordinaria di quei campi provenzali e in bocca i sapori tipici dela cucina mediterranea cara a Izzo. Tra i pochissimi italiani frequentatori di quegli incontri c'era Luigi Cesare Maletto (altri furono Giovanni Lussu e Piero De Macchi), che nel lontano 1992 ci ha lasciato una commossa rievocazione dell'edizione del 1991.

L'ultima settimana d'agosto è stata, per oltre un cinquant'ennio, la data prescelta per gli incontri "con il gusto del plein-air, il sendo di gruppo, la passione delle cose dello spirito" (Lussu), di volta in volta personaggi come Alexandre Alexeieff, Marshall McLuhan, John Dreyfus, Adrian Frutiger, Hermann Zapf, Aaron Burns, Raymond Savignac, Eugène Ionesco, Roger Exoffon, Lubalin, Mendoza, Aldo Novarese e tanti altri hanno portato in Provenza le loro suggestioni, le loro idee, il loro gusto, le personali esperienze, i timori. Lo stesso Aldo Novarese, il nostro grande disegnatore di caratteri, ha per molti anni partecipato ai Rencontres il cui profondo spirito, come scrisse, era di "raggruppare uomini di buona volontà in un clima di riflessione onde favorire la creazione di un nuovo Umanesimo 'grafico' [...] anch'io fui soggiogato dal fascino di questa realtà e sentii l'impellente bisogno di ritornarci ogni anno per aspirare qul sapore comunicativo attraverso le discussioni dei recipoci problemi, con calma e riflessione, in un clima di assoluta concordia scevro da ogni personalismo o rivalità di mestiere". Il richiamo di Novarese all'Umanesimo non è peregrino considerando che a pochi passi da Lurs Petrarca, nella solitudine di Valchiusa, trascorse i suoi ultimi anni. Scrive ancora Novarese nel ricordare quegli anni: " [...] la missione dell'Ecole de Lure è quella di valorizzare il sentimento umano in uno spirito di riflessione e di perfezionamento e di dare una tregua al nostro lavoro in un clima neutro per poter esporre ad altre persone dello stesso mestiere le proprie impressioni ed uno scambio di vedute onde cercare di risolvere quei problemi che altrimenti resterebbero insoluti. Questo, a mio avviso, è lo scopo essenziale delle riunioni di Lurs: la strada è già segnata, occorre seguirla con coscienza e continuare gli esempi dei nostri grandi maestri di ogni epoca".

Da quel 1951 molte cose sono cambiate. In primo luogo la quantità di soci (oggi circa 300), i Compagnons de Lure, quindi i corrispondenti da ogni parte del mondo (circa 1200), una macchina perfetta in grado di organizzare la settimana annuale su temi monografici e tutta una serie di eventi collaterali a Parigi (conferenze e tavole rotonde, seminari), più altri incontri in località diverse. Ma dei tanti Rencontres svoltisi a Lure quello che vorrei qui ricordare è quello, molto particolare, del 1994 dal titolo Gastronomia e tipografi. Tra i monti del Beaujolais (in attesa del nouveau), nel sud estremo del regno incontrastato del re Borgogna, tra l'Abbazia di Cluny "dove la viticoltura era considerata un nobile modo di lodare il Signore", e la città natale di Alphonse de Lamartine (uno che di tipografia ne sapeva abbastanza se nel 1853 pubblica un libro dal titolo Gutenberg inventeur de l'imprimérie), Mâcon: nel Castello di Pierreclos. Questa è zona di leggendari vigneti (sembra già noti in epoca romana) e che i Rencontres del 1994 era giusto finissero tra i tavoli per celebrarli degnamente. In questo scenario una banda di scalmanati cultori dell'arte della cucina e di quella della stampa si diedero appuntamento in quel freddo novembre di tredici anni fa per….già per cosa? Ma certo, per testimoniare quanto prossime fossero l'una all'altra, la trama e l'ordito, come ricorda Lussu a proposito di Andrea del Sarto "del quale, oltre al delicato chiaroscuro leonardesco […] si ricorda, realizzato per una qualche celebrazione fiorentina del primo Cinquecento, "un tempio con pavimenti di gelatine colorate, colonne di salcicce, capitelli di parmigiano: al centro del tempio era un leggìo fatto con vitella fredda, che reggeva un libro di lasagne su cui lettere e note musicali erano delineate con grani di pepe: intorno al leggìo, ritti, coperti da cotte in sottile rete di maiale, cantavano tordi col becco aperto"".

La tipografia, in quelle giornate provenzali del '94, si cibava di pietanze eccelse preparate da noti chefs della regione; un esempio per tutti intitolato Saveurs d'automne (chef Daniel Rogie del "Rempart" di Tournus):

Marbré de légumes au foie gras
Vinaigrette à la tomate
Paupiette de saumon au sandre et langoustine beurre citron vert
Fromages
Gâteau aux trois chocolats
Sorbet à la noix de coco
Saint Véran 1992
Choroubles 1993 Blanc de blanc


Un menù degno di quello straordinario, a base di portate erudite, bibliografiche e saggistiche, che molti suoi colleghi e studiosi offrirono nel 1992 al libraio antiquario ed esperto gastronomo Gérard Oberlé in occasione dei suoi 25 anni di attività libraria. Nel Castello di Pierreclos si alternano esperti gastronomi (Marie-Hèléne Liardou) ed enologi di chiara fama (Louis Callier); si commentano le collezioni di menù (Fabienne Cornet e Gerard Blanchard) e quelle di etichette di vini (Jean-Francois Bazin e Gérard Curie). Del resto lo stesso menù, quale elemento indissolubile dell'agape gastronomica, costituisce di per sé un importante collante col mondo della bibliofilia. Nel suo articolo, più volte citato, Giovanni Lussu ricorda l'esempio del Double Crown Club, la cui ricca storia fu rievocata da Colin Banks nell'incontro provenzale del '94. Ebbene in questo prestigioso club anglosassone di bibliofili il numero sei soci è rigorosamente stabilito in 70 unità e lo scopo dell'associazione è quello di organizzare diverse volte l'anno cene sociali alle quali invitare un relatore. Avere poi l'incarico di progettare e stampare il relativo menù è considerato dagli stessi soci un onore grandissimo.

Ma il punto focale dell'incontro del 1994 fu indubbiamente la relazione di Gillian Riley sulla figura e l'opera di Giacomo Castelvetro (Modena, 1546 - Londra, 1616), figura assai interessante di letterato controcorrente e uomo di tipografia.Brieve racconto di tutte le radici di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano Ben conosciuto dall'Inquisizione romana per le sue idee riformiste in campo religioso, ebbe un'esistenza travagliata ed errabonda, tra l'altro il fratello era stato arrostito sul rogo a Modena nel 1597. Come ricorda Lussu il mestiere di Castelvetro erano i libri, una sorta di moderno editor visto che promosse la stampa di molti autori italiani, da Machiavelli al Guarini, dal Tasso all'Aretino, fino ai minori Scipione Gentili, del quale pubblicherà la Solymeidos (1584), e il ventenne romano Giulio Cesare Stella, di cui pubblicherà la Columbeidos (1585), basandosi soprattutto sulla valenza tipografica di John Wolf, tipografo intraprendente che aveva imparato il mestiere a Firenze nell'officina dei grandi stampatori Giunta e che nel 1581 aprì una sua stamperia a Londra specializzata, appunto, in testi di autori italiani (soprattutto di quelli tenuti ai margini per immoralità). Sarà però il suo capolavoro, rimasto manoscritto e circolante tra gli amici in diverse versioni, Brieve racconto di tutte le radici di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano scritto nel 1614 alle soglie della morte, ad essere il motivo centrale della relazione della Riley nell'incontro di Lure, il prototipo di quella che sarà poi nota come "cucina mediterranea". Del Castelvetro non ci sono rimasti ritratti ma la la Riley ha immaginato per lui quello dipinto da Giovanna Garzoni nel Vecchio di Artimino. Il testo del manoscritto di Giacomo Castevetro è stato pubblicato da Luigi Firpo in una raffinata edizione critica, a testimonianza della valenza non solo gastronomica che esso possedeva, "[…] prosa colta di un letterato incline a trasfigurare le umili cose quotidiane con vibrazioni di tenetrezza e di rimpianto". Orti, giardini, erbe, radici e libri restarono fino all'ultimo la sua passione. Firpo ricorda una delle sue ultime lettere, diretta da Londra il 19 dicembre 1615 a un amico veneziano, in cui Castelvetro gli chiedeva dei semi rari. La sua stessa unica opera scritta è in fondo un'occasione per esportare la nostra gastronomia nell'alta società inglese, ancora per molti aspetti da considerarsi rozza, almeno a livello gastronomico. Non sa cosa siano le giuggiole, le castagne, non cuina funghi. Ma la sua azione propagandistica della tradizione culinaria italiana risente delle sue origini e delle sue predilezioni: "[…] detesta pasticceri e beccai, viene da un paese caldo che appetisce "più erbaggi e frutti che carni" e cerca i sapori "agretti", l'uva spina, il limone, l'arancio forte, il succo d'uva acerba, l'agresto. L'immagine della sua terra, che egli evoca nell'isola straniera, è quella di una delicatezza fresca, di una varietà fantasiosa, di un'abbondanza festevole ma non opulenta. In Italia i viandanti si cibano di frutti colti lungo la via, possono spiccare grappoli dai filari e si dissetano con vino a profusione, meno caro della birra in Inghilterra […], le sue mense [dell'Italia, N.d.A.] offrono vivande semplici ma squisite, diverse col volger delle stagioni, doni sempre rinnovati di una natura benigna: sono germogli, radici, tenere cime, fiori, petali "bottoncelli", fruttini appena formati, carciofi grossi come noci, zucche non più grandi d'un'oliva. Questa ghiotta Arcadia è descritta con stile semplice, parlato, sconnesso, asintattico, che vi mescola proverbi, ricordi personali, burle facete, aneddoti […]". Scorrendo l'indice del manoscritto si percepisce quasi l'odore di questo profluvio di erbe e radici, profumo mediterraneo che sarebbe molto piaciuto affatto allo stesso Jean-Claude Izzo: Degli erbaggi, che nella primavera, come ancor nelle altre stagioni, crudi Gastronomia del Rinascimento o cotti si mangiano: de' lupuli, degli sparagi, de' broccoli, de' carciofi, della fava capodeca verde, erbe buone, de' piselli, delle cime della malva, dalle mischianze, ottima insalata, de' cavoli capucci, delle verze, de' cavoli bianchi, de' cardi, del pero bergamotto, delle giugiole, delle castagne, delle carobe, dell'indivia, del cressone, e così conclude il suo racconto Castelvetro: "E io qui finisco, con pregare Iddio che facci sì che questa mia piccolissima fatica rechi, a chiunque degnerà guardarla, piacere e utile e a sua divina Maestà onore e gloria".

Piacere e utile ha sicuramente recato ai partecipanti di Lure, in quei campi provenzali di lavanda e aglio, dove impararono lentamente ad amare i suoi dettagliati elenchi, la sua prosa semplice, l'odore e il sapore dei frutti, delle erbe, delle radici di cui parlava, con negli occhi la luce intensa di quella magica e poetica porzione di Francia.






scarica il file pdf Scarica qui l'articolo completo,
con corredo di note e immagini, in formato Pdf


invia questo articolo   






[I ricettari dagli utenti]

aggiornato al 24.02.2009 info@mensamagazine.it - MenSA 1997-2007©

Valid CSS!