Il libro di MenSA
Aglio, menta e basilico, nostalgia di Izzo
di Rino Pensato
Nostalgia di Izzo. E' naturale il dolore che sempre ci prende quando ricordiamo qualcuno che abbiamo amato. Chi scrive ha conosciuto Vázquez Montalbán, a Viareggio, nella situazione ideale, attorno a un tavolo ad pranzo, l'ha rivisto due volte, una a Bologna, un'altra a Barcellona. Passano gli anni e ancora, quando immagino di tornare a Barcellona, penso subito alle telefonate immancabili. Per un attimo l'elenco mentale include gioiosamente Manolo. Subito dopo, il dolore, la nostalgia.
Non ho conosciuto Izzo. Ma mi capita, per lui, come per qualcun altro, di avvertire forte la sensazione di averlo conosciuto. Di essergli stato amico. Mi è capitato altre rare volte. Con Troisi, ad esempio. Recentemente, dopo averlo intervistato, a distanza, con la promessa di incontrarci presto, mi è capitato con Sergio Endrigo (c'era in ballo la proposta di una serata "particolare", pubblica, a Bologna a parlare di vino, musica e poesia). Capita dunque di rimpiangere, di provare nostalgia, come se le avessi conosciute, di persone mai viste, perché in qualche modo, conosciuto solo dalla grande poesia, dalla grande letteratura, dalla grande arte, esse hanno il potere di introdursi, non visti, nelle tue viscere, nel cuore, nel cervello fino a dare all'illusione la sembianza di realtà. Non è solo "quello sguardo attento e curioso" di cui parla Massimo Carlotto e che noi, a differenza di Carlotto, abbiamo visto solo in fotografia. E', ovviamente , anche per tutto quello che Izzo ci ha raccontato, per un tempo troppo breve, per come ce lo ha raccontato. Una delle grandezze di Izzo, a nostro parere, sta nella mancanza di ritegno, di vergogna, di pudore. Non per le cose (brutte) cui si usa accostare questi sentimenti.
Per cose che certi luoghi comuni vorrebbero esenti, immuni, protetti da quegli stessi sentimenti. Izzo, parliamo di Izzo, non di Montale (che in ogni caso a riguardo è fatto a immagine e somiglianza del suo creatore), ci comunica, si confessa ai suoi lettori, senza ritegno, senza pudori, quando racconta del suo sentirsi sempre e dovunque, un esule, un meticcio, senza smettere di sentirsi marsigliese nel cuore, ma anche profondamente mediterraneo, e un po' italiano e un po' spagnolo. Dicevamo che lo fa senza pudore per via della forza, della emozione, della commozione, con cui si confessa. Qualcuno ha scritto che si arriva immancabilmente, quando si legge Izzo, un punto, un momento in cui non puoi fare a meno di piangere o devi fare un grande sforzo (perché poi?) per non farlo. Tutto questo scriviamo dopo aver avuto dalle edizioni e/o (sempre siano benedette per averci portato Izzo) il dono inatteso e splendido di questi inediti (o quasi) di Aglio, menta e basilico, ulteriormente arricchito da un assai bell'"Elogio di Jean-Claude Izzo" di Massimo Carlotto. Ne parliamo in questa sede, perché, nulla avendo da aggiungere - e da eccepire - a quanto scrive Parlotto, sulla essenza e la natura del "noir mediterraneo", da Izzo rivoltato come un guanto, grazie alle grandi e geniali intuizioni, politiche, sociali, culturali, antropologiche, criminologiche dello scrittore (ma anche giornalista e studioso) marsigliese, a noi rimane comunque la possibilità di aggiungere, sempre nella stessa direzione, qualcosa su un terreno che per Izzo non era affatto secondario, quello della cucina, dei sapori. Non è del resto un caso che il titolo italiano della raccolta sia Aglio, menta e basilico e il sottotitolo Marsiglia, il noir e il Mediterraneo. Si accennava prima ai caratteri propri del noir mediterraneo. E, assodata l'esattezza della breve analisi fatta da Carlotto del grande contributo fornito da Izzo alla sua evoluzione (oltre che al suo successo), non ci sembra trascurabile, proprio alla luce degli scritti più propriamente gastronomici, ma non solo, della raccolta, l'intuizione, esplicitata in una intervista, di Petros Markaris, che individuava nella sindrome e nella gastronomia, come prerogativa prevalentemente maschile, aggiungeremmo, due dei denominatori comuni del nuovo romanzo criminale mediterraneo, antagonista e antitetico, in questo, a quella nordeuropea, nella quale le femministe hanno " distrutto la cucina e hanno acquisito altre materie di occupazione antropologica e sociale".
Quando parla di Marsiglia, e nei tre brani dedicati alla sacra "trinità" degli aromi mediterranei (aglio, menta e basilico), e nello straordinario quadro che egli fa del "mercato" (nella fattispecie quello della sua infanzia marsigliese di rue Longues-des-Capucins), non si può arrivare a ricavarne che sia stata la cucina, che pure egli confessa essere il luogo (e l'attività), gli unici, che lo fanno sentire davvero felice, ad aver rivoluzionato il noir mediterraneo. Ma, soprattutto nelle pagine sul mercato, sulla largamente condivisa e condivisibile importanza che egli attribuisce a questo luogo identitario del carattere di una città, si avverte l'enorme dimensione, anch'essa plurima (umana, affettiva, sociale, culturale, antropologica) che ha la cucina nella mediterraneità noir di Izzo, come in quelle, comuni nella diversità, di Vázquez Montalbán, Camilleri, Markaris. Benché siano forse i piccoli grandi piaceri, quelli che smuovono direttamente i sensi (e, in qualche modo, la seduzione, l'amore tout court) a fornirgli l'occasione per scrivere le pagine più belle, di quelle che ti rendono complice di queste impudiche dichiarazioni d'amore, impudiche per chi ne coglie solo l'apparente, enorme scarto, fra il sentimento espresso, il più sublime tra i sentimenti, e i suoi oggetti, l'aglio, la menta, il basilico, in qualche caso, come nel primo (già oggetto di un'altra ode "amorosa", quella nerudiana), da molti detestato e intollerato:
Dopo aver pensato al vaso di basilico sul davanzale della finestra in camera da letto. Nell'ombra profumata della stanza, allora, la vita diventa più semplice. Come il piacere di amare. Non temete, l'abuso di basilico e l'abuso d'amore non nuocciono alla salute.
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