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Cibo e calendario: una dimensione perduta?
di Massimo Montanari

Un aspetto tradizionalmente forte della cultura alimentare, che oggi sembra essersi in gran parte perduto, è quello che attribuiva al cibo un valore significativo rispetto allo scorrere del tempo. Le società tradizionali collegavano immediatamente la preparazione e il consumo di questo o quell'alimento a una determinata ricorrenza del calendario: Natale aveva i suoi cibi e così Pasqua; Carnevale non era Quaresima e l'estate non era inverno. Attenzione: anche in questa "calendarizzazione " del cibo gli aspetti culturali prevalevano su quelli naturali. La ciclicità delle stagioni trovava un immediato riscontro nel tipo di alimentazione, Una maschera la notte di Berlingaccio a Borgo San Lorenzoe anche i medici (da Ippocrate in poi) raccomandavano questa corrispondenza: bere e mangiare "freddo" nei mesi caldi, bere e mangiare "caldo" nei mesi freddi, con tutte le possibili varianti di questo gioco legato alla teoria dei quattro umori. Tuttavia, abbiamo già osservato che questa sintonia fra Uomo e Natura non era sempre vissuta in termini positivi: il ciclo delle stagioni potei i riservare sorprese e l'obiettivo primario fu sempre quello di modificare i cibi per renderli conservabili al di là della loro dimensione stagionale. Le élites invece ostentavano il consumo di frutti e verdure fuori stagione, facendoli venire (freschi) da lontano.

Altri ritmi, in qualche modo artificiali, condizionarono in maniera decisiva il calendario alimentare e i ritmi nutritivi. Il calendario liturgico, dal IV secolo in poi, obbligò tutti i cristiani a osservare la distinzione fra giorni e periodi "di grasso" o "di magro", ossia a consumare o non consumare prodotti e grassi animali, alternando, a seconda dei giorni, il lardo all'olio, la carne al pesce, il formaggio alle verdure. Sempre il calendario liturgico rafforzò la tradizionale consuetudine a segnalare con certi cibi, spesso dolci, le principali ricorrenze festive: pensiamo alla Pasqua ebraica e di quella cristiana. Nell'Italia medievale ogni festa aveva il suo cibo, e uno scrittore ben dotato di sense of humour, l'orvietano Simone Prudenzani, poteva sorridere sull'eccessiva pietà di certe donne che, di ricorrenze, non ne mancavano una: "Se voi sapeste la divotione / Ch'ell'à nelle lasagnie di Natale, / En le farrate ancor de Carnovale, / Nel cascio et Nuova della Sensione, / Nell'ocha d'Onnissanti et maccheroni / Del Giobia grasso et anco nel maiale / De Santo Antonio et ne l'agnel pasquale, / Noi porrìa dire in sì piccol sermone. / Per tucto l'oro ch'è sotto a le stelle, / Non lasciarebbe il dì de le Cenciaie / Che non mangiasse un quarto de frittelle; / Vin dolce e grande ancor molto ce vale / Et non ce mettrìa acqua per covelle, / Perché dice che giova ad omne male" (SaporettoCerto è possibile (anzi probabile) che alcuni di questi prodotti e di queste vivande si imponessero anche perché legati al calendario "naturale": l'agnello a Pasqua è un rimando al racconto della Bibbia (come le erbe amare e il pane azzimo, per gli ebrei) ma non si può negare che quello sia un momento particolarmente "giusto" per gustarlo. Anche mangiare carne di maiale per la festa di S. Antonio a gennaio è "economicamente corretto", perché è in quella stagione che si ammazza il porco. La festa di Berlingaccio a Scarperia nel Mugello Il discorso vale anche per tante specialità locali legate a determinate feste del calendario religioso o civile. Tuttavia, la cosa non è vera sempre e soprattutto non è vera per tante vivande (lasagne, maccheroni ecc.) e per tanti dolci a base di farina (frittelle, panettoni ecc.) che accompagnano lungo l'anno una molteplicità di feste ma non sono legate a una particolarità produttiva stagionale. Allora sono soprattutto le forme (i pani fatti in questo o in quell'altro modo) e le guarnizioni, o le farciture, a segnalare le differenze. Ma anche in questo modo, ingredienti come le uvette o i canditi (tipici arricchimenti dei dolci di festa, assieme alla cannella e alle altre spezie dolci) non sembrano suggerire un legame con la stagione, bensì, al contrario, l'uso in quel momento di un prodotto "messo via" per essere conservato a lungo. Il panettone ci suggerisce il Natale non tanto perché " è fatto quanto perché "si fa in quel giorno". Per questo, ancora oggi, non è facile vendere il panettone fuori del periodo natalizio. Il valore antico del calendario alimentare non è più lo stesso, ma fatica a scomparire.

Da: Massimo Montanari. Il cibo come cultura. Roma-Bari, Laterza, 2004



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