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Storia di vini e di passione
Una sfida vincente
di Salvatore La Lumia

Ricordo ancora con un pizzico di ironia il mio gesto di stizza nell'essere svegliato in piena notte da mio padre, ansioso di espormi quella sua idea frutto di una notte su antichi libri.
Sul momento non diedi credito alla proposta di voler realizzare un vino dolce utilizzando come uve il Nero d'Avola, ma l'insonnia da nuova "sfida" risultò alquanto contagiosa.
Allora sedicenne, non vidi l'ora di mettere in pratica tutti quei precetti sul vino che egli mi aveva trasmesso fin da piccolo, ma più di ogni altra cosa avevo finalmente un'occasione per dimostrargli quanto valevo.
Come primo passo fu necessario comprendere a fondo i segreti delle tecniche di appassimento, in questo ebbi l'insostituibile apporto tecnico del conte Salvatore Casano di Pantelleria, presso il quale mi recai per uno stage lavorativo.

L'anziano conte mi trasmise tutti i segreti ed i piccoli accorgimenti per ottenere un sano appassimento ed una corretta vinificazione facendo uso di semplici e rudimentali macchinari enologici, lontani dalle moderne tecnologie di concentrazione o disidratazione.
Con la felicità di un ragazzino quale ero, tornai a casa ansioso di mettere in pratica quanto avevo appena appreso tra le laviche mura della cantina Casano, stupidamente convinto di avere la ricetta per ottenere un grande vino dolce. Purtroppo mi resi conto ben presto che quanto insegnatomi era applicabile solo in parte alle uve nero d'Avola, ben diverse per morfologia dallo zibibbo pantesco ossia di Panelleria, e con tutte le complicazioni di lavorazione delle uve rosse rispetto alle bianche.
Di comune accordo con mio padre, dopo aver consultato montagne di testi enologici, tentammo sei diversi sistemi di appassimento e dieci di lavorazione delle uve.
Ne risultarono una moltitudine disordinata di vaschette, barriques e damigiane di vetro sparse ovunque per la cantina.
Ciò che più sembrava preoccupante fu l'andamento della fermentazione, alquanto pigra, che ebbe durata superiore ai tre mesi.



L'estate successiva, quando verificammo il risultato di quel titanico lavoro svolto nella vendemmia del 1996, fui inizialmente colto dallo sconforto nel degustare i primi quattro esperimenti; ero convinto di avere fallito su tutta la linea e di avere deluso mio padre che, con fare silenzioso, agitava controvoglia nel bicchiere l'ennesimo torbido e grossolano vino dolce.
Aprii così il tappo della barrique 9b, il quinto esperimento, convinto fosse come i precedenti. Fu una meravigliosa sorpresa, un vino eccezionale, aromi mai sentiti ed un equilibrio che mi lasciò di stucco.
Entrambi mutammo quell'espressione corrucciata in un sorriso splendente, incapaci di staccare il naso da quel meraviglioso bicchiere.
Alla fine solo quattro esperimenti di vinificazione su venticinque diedero un risultato concreto.
Identificammo quindi la giusta procedura di lavorazione che, affinata anno dopo anno, una vendemmia dopo l'altra, ci ha regalato sotto i nomi di Nikao e Rodio dieci anni di soddisfazioni e risultati positivi.


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