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Già il nome fa simpatia…
Il culatello di Zibello
di Alberto Salarelli

Già il nome fa simpatia: un bel vezzeggiativo che forse Pitigrilli, con la sua prosa funambolica, non disdegnerebbe per le sue ninfette più o meno stagionate. E invece eccolo lì a ingentilire le possenti terga del porco che sacrifica alla preparazione di questo insaccato la parte più nobile e più apprezzata di sé stesso. Il principio di non contraddizione applicato all'arte della norcineria prevede infatti che le cosce prendano la strada delle colline parmensi e lì, asciugate dal vento carico degli aromi salmastri del Mar Ligure e dai balsami delle foreste appenniniche, divengano prosciutti. Oppure si rivolgano verso la Bassa, le terre del Po, e lì, ammorbidite dalle nebbie del Grande Fiume, si tramutino in culatelli. culatelloSecondo quanto stabilito dal Consorzio di Tutela (il prodotto è annoverato tra i DOP dal 1996), la lavorazione del culatello di Zibello può avvenire solo in un territorio ristrettissimo della provincia di Parma, comprendente i comuni di Polesine Parmense, Busseto, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa e Colorno. Le cosce devono provenire da suini nati, allevati e macellati in Emilia-Romagna o Lombardia ed alimentati con prodotti naturali come il siero proveniente dalla lavorazione del Parmigiano-Reggiano, oppure grano, orzo e crusca. Devono poi essere macellati ad un'età di quattordici mesi facendo in modo che della coscia suina destinata a divenire culatello venga scartata la parte bassa. Ma intendiamoci bene: com'è noto del maiale non si butta via nulla e dunque "scartare" sia da intendersi come "prodotto destinato ad altre preparazioni", nella fattispecie lo zampetto, disossato, speziato e ricucito, andrà a formare il "cappello del prete", insaccato a forma di tricorno da consumarsi previa bollitura. Ma, anche la parte anteriore della coscia sarà destinata ad altro, verrà infatti anch'essa lavorata come un culatello, ma prenderà il nome di "fiocco" o "fiocchetto": insaccato di piccole dimensioni ma ugualmente delicato e pronto per il consumo con soli cinque mesi di stagionatura. È dunque soltanto la vera e propria natica del suino ad essere ridotta in culatello dopo esser stata modellata secondo la tradizionale forma a pera in pezzature che si aggirano attorno ai cinque chilogrammi. La lavorazione, che il capitolato del Consorzio di Tutela prevede debba avvenire in un periodo compreso tra il 20 ottobre e il 28 febbraio, prevede che la carne ricavata dalla coscia venga dapprima rifilata e legata (i ritagli della rifilatura verranno utilizzati per insaccare un gustosissimo salame detto "strolghino", da consumarsi fresco e tenero), quindi massaggiata con sale, pepe, aglio e lambrusco, ed infine, dopo un breve periodo di riposo, insaccata nella vescica del maiale opportunamente legata con spago e bucherellata affinché il prodotto possa trasudare. E poi l'attesa. Nelle cantine o negli anditi situati a ridosso del Grande Fiume, aprendo le porte perché entri la nebbia affinché l'aria asciughi questo pezzo di carne magrissima (la parte grassa non supera il 2%), ma senza farla rinsecchire: ecco perché l'umidità del Po è imprescindibile al culatello che, dopo un anno di stagionatura, avrà perso due chili di peso, ma avrà acquistato una dolcezza inusitata per qualsiasi altra tipologia di salume, un prodotto straordinario: "senza ombra di dubbio, il più interessante ed elegante fra tutti i salumi italiani".


Zibello, città Slow
Zibello, città Slow

Nei dizionari italiani si riscontra la presenza del lemma "culatello" solo in tempi relativamente recenti, ovvero nei primi anni del '900, forse perché "il nome era ritenuto inadatto a comparire su pubblicazioni serie" . O forse, più probabilmente, per la scarsa conoscenza di questo insaccato, visto il limitatissimo numero di pezzi prodotti, destinati perlopiù all'autoconsumo o alla commercializzazione sul mercato locale. In realtà la storia risale parecchio addietro nel tempo, nonostante la cautela cronologica sia d'obbligo dal momento che del culatello si fa esplicitamente menzione per la prima volta solo nel 1735 nel Calmiero della Carne porcina salata emanato dal Comune di Parma. È tuttavia logico supporre che l'idea di conservare in modo siffatto la coscia del maiale sia legata a due fondamentali fattori pedologici, alla fin fine traducibili nel medesimo nome: Po. Infatti le golene del Grande Fiume erano ricche di foreste nelle quali i suini potevano liberamente pascolare cibandosi dei prodotti del sottobosco. Anzi, com'è noto, dal periodo dell'occupazione longobarda in avanti, "il valore di un bosco dipendeva anche da quanti suini poteva fornire l'anno" . In una simile situazione, come scrive Rebora, "le zone boschive ove il maiale cammina per i boschi e sviluppa i suoi muscoli daranno [...] i migliori prosciutti" . Laddove però, come sulle rive del Grande Fiume, non è possibile procedere all'essiccazione della coscia stante la persistente umidità atmosferica, a qualcuno venne in mente di ribaltare il valore negativo di questa caratteristica ambientale per garantire alle carni il mantenimento della loro morbidezza durante la stagionatura. La vescica di maiale nella quale - come si diceva - il culatello viene insaccato, svolge il ruolo di protezione della coscia dall'aria e dalla luce consentendo però, grazie alla sua naturale porosità, la stagionatura e l'affinamento del prodotto.
culatello
Certo, i maiali di oggi non sono quelli che razzolavano negli antichi boschi padani dei quali oggi non rimangono che poche tracce residuali. Lo straordinario successo sulle tavole di tutto il mondo di un prodotto come il prosciutto, ha imposto la definizione di un prototipo di suino destinato alla macellazione ai fini di questa specifica tipologia di salume. Il "maiale da prosciutto" è il vero protagonista della suinicoltura industriale parmigiana la quale, integrata con il ciclo produttivo del Parmigiano, ha dato luogo ad un binomio di eccellenza sia sul versante della quantità, sia su quello della qualità. Oggi, in un'epoca di continua riscoperta delle peculiarità più tipiche del territorio e in un'ottica di preservazione delle forme di biodiversità alimentare, la scelta di allevare maiali specificamente destinati alla macellazione da culatello non sembra tanto il perseguimento di una sofisticata originalità o di una impossibile velleità di ricostruzione filologica delle razze suine del passato, quanto un'iniziativa da portare avanti con convinzione perché le differenze tra i due prodotti sono tali da giustificare una pianificazione qualitativa non solo post-mortem, ma anche durante la vita del maiale. Come scrive Ballarini:
 
La costituzione o, meglio, la ricostituzione di un "maiale da culatello" è una sfida che può essere risolta, non solo con l'aumento del peso di macellazione, ma anche con un ricupero di caratteristiche tradizionali del muscolo che [...] deve riguardare il rapporto tra fibre chiare e fibre scure e la quantità e qualità del grasso muscolare. Altrettanto importante è anche il tipo di alimentazione e soprattutto la qualità dei grassi e loro componenti aromatiche.


culatello

È giunto ora il momento di andare a tavola. Come si consuma il culatello?

Si prende il culatello, lo si libera delle corde che ravvolgono, lo si mette sotto l'acqua corrente del rubinetto e lo si spazzola con cura. A questo punto va immerso in un recipiente contenente del vino bianco secco o rosso. Qui dovrebbe stare tanti giorni a seconda della stagionatura, ma di norma si può fissare in 2 o 3 giorni il tempo medio di immersione. Una volta tolto dal vino, il culatello viene privato della pelle, rifilato perfettamente del grasso esterno, tagliato a fette sottili e, se si presenta troppo asciutto, accompagnato da riccioli di burro fresco. Una volta tagliato è consigliabile consumarlo in tempi brevi. Per conservare il culatello, si spalma con un filo d'olio d'oliva e di burro la parte tagliata si avvolge il culatello con uno strofinaccio di lino, avendo cura di tenerlo in un luogo fresco, ma non in frigorifero.

Il culatello è un prodotto di suprema delicatezza, va dunque degustato per conto suo, eventualmente accompagnandolo, come suggerito dal brano citato, con qualche crostino imburrato, ma badando bene che il burro sia dolce, non salato, per non turbare in alcun modo le note morbidissime che all'olfatto e al palato solo il re dei salumi sa sprigionare. Qualcuno prepara i ravioli con ripieno di culatello, c'è chi lo taglia a striscioline facendolo saltare in casseruola con un pezzettino di scalogno per condirci le tagliatelle, altri ancora lo sminuzzano nel risotto: tutto molto onorevole per carità, ma ci pare - detto sinceramente - un po' sprecato. Soprattutto perché il culatello, in queste preparazioni culinarie, risulta difficile a distinguersi dal prosciutto. Nudo e crudo: così lo si apprezza al meglio. Accompagnandolo con bollicine bianche, secche e millesimate.

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