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L'opinione di Massimo Montanari
Cibo e calendario: una dimensione perduta?

Tra i tanti rapporti perduti fra cibo e calendario, quello della vendemmia sembra inattaccabile. Per contrasto, ci piace proporre alla lettura degli sfortunati che ancora non lo hanno fatto, una pagina magistrale, come sempre, di Massimo Montanari, tratta da un libro che, come forse abbiamo avuto già modo di affermare, a nostro modesto parere, andrebbe adottato come libro di testo - trasversalmente ai diversi insegnamenti - obbligatorio in tutte le scuole di ogni ordine e grado e non solo in Italia. Il libro è, naturalmente, Il cibo come cultura (Roma-Bari, Laterza, 2004).


Un aspetto tradizionalmente forte della cultura alimentare, che oggi sembra essersi in gran parte perduto, è quello che attribuiva al cibo un valore significativo rispetto allo scorrere del tempo. Le società tradizionali collegavano immediatamente la preparazione e il consumo di questo o quell'alimento a una determinata ricorrenza del calendario: Natale aveva i suoi cibi e così Pasqua; Carnevale non era Quaresima e l'estate non era l'inverno.

Sant'Antonio Abate Attenzione: anche in questa "calendarizzazione" del cibo gli aspetti culturali prevalevano su quelli naturali. La ciclicità delle stagioni trovava un immediato riscontro nel tipo di alimentazione, e anche i medici (da Ippocrate in poi) raccomandavano questa corrispondenza: bere e mangiare "freddo" nei mesi caldi, bere e mangiare "caldo" nei mesi freddi, con tutte le possibili varianti di questo gioco legato alla teoria dei quattro umori. Tuttavia, abbiamo già osservato che questa sintonia fra Uomo e Natura non era sempre vissuta in termini positivi: il ciclo delle stagioni poteva riservare sorprese e l'obiettivo primario fu sempre quello di modificare i cibi per renderli conservabili al di là della loro dimensione stagionale. Le élites invece ostentavano il consumo di frutti e verdure fuori stagione, facendoli venire (freschi) da lontano.

Altri ritmi, in qualche modo artificiali, condizionarono in maniera decisiva il calendario alimentare e i ritmi nutritivi. Il calendario liturgico, dal IV secolo in poi, obbligò tutti i cristiani a osservare la distinzione fra giorni e periodi "di grasso" o "di magro", ossia a consumare o non consumare prodotti e grassi animali, alternando, a seconda dei giorni, il lardo all'olio, la carne al pesce, il formaggio alle verdure. Sempre il calendario liturgico rafforzò la tradizionale consuetudine a segnalare con certi cibi, spesso dolci, le principali ricorrenze festive: pensiamo alla Pasqua ebraica e a quella cristiana. Nell'Italia medievale ogni festa aveva il suo cibo, e uno scrittore ben dotato di sense of humour, l'orvietano Simone Prudenzani, poteva sorridere sull'eccessiva pietà di certe donne che, di ricorrenze, non ne mancavano una: "Se voi sapeste la divotione / Ch'ell'à nelle lasagnie di Natale, / En le farrate ancor de Carnovale, / Nel cascio et Nuova della Sensione, / Nell'ocha d'Onnissanti et maccheroni / Del Giobia grasso et anco nel maiale / De Santo Antonio et ne l'agnel pasquale, / Nol porrìa dire in sì piccol sermone. / Per tucto l'oro ch'è sotto a le stelle, / Non lasciarebbe 'l dì de le Cenciaie / Che non mangiasse un quarto de frittelle; / Vin dolce e grande ancor molto ce vale / Et non ce mettrìa acqua per covelle, / Perché dice che giova ad omne male" (Saporetto).

Certo è possibile (anzi probabile) che alcuni di questi prodotti e di queste vivande si imponessero anche perché legati al calendario "naturale": l'agnello a Pasqua è un rimando al racconto della Bibbia (come le erbe amare e il pane azzimo, per gli ebrei) ma non si può negare che quello sia un momento particolarmente "giusto" per gustarlo. Anche mangiare carne di maiale per la festa di S. Antonio a gennaio è "economicamente corretto", perché è in quella stagione che si ammazza il porco. Il discorso vale anche per tante specialità locali legate a determinate feste del calendario religioso o civile. Tuttavia, la cosa non è vera sempre e soprattutto non è vera per tante vivande (lasagne, maccheroni ecc.) e per tanti dolci a base di farina (frittelle, panettoni ecc.) che accompagnano lungo l'anno una molteplicità di feste ma non sono legate a una particolarità produttiva stagionale. Allora sono soprattutto le forme (i pani fatti in questo o in quell'altro modo) e le guarnizioni, o le farciture, a segnalare le differenze. Ma anche in questo modo, ingredienti come le uvette o i canditi (tipici arricchimenti dei dolci di festa, assieme alla cannella e alle altre spezie dolci) non sembrano suggerire un legame con la stagione, bensì, al contrario, l'uso in quel momento di un prodotto "messo via" per essere conservato a lungo. Il panettone ci suggerisce il Natale non tanto perché " è fatto così", quanto perché "si fa in quel giorno". Per questo, ancora oggi, non è facile vendere il panettone fuori del periodo natalizio. Il valore antico del calendario alimentare non è più lo stesso, ma fatica a scomparire.

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