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Marino Parenti: un bibliofilo a tavola
Letteratura ai tavoli di Bagutta, ritrovo di galantuomini
di Massimo Gatta
Seconda parte

Ad aprile di quest'anno si sono festeggiati gli 80 anni del primo e più longevo premio letterario italiano, il Bagutta, nato tra i tavoli di una modesta trattoria toscana, quella di Alberto Pepori (il sor Pepori) toscano di Altopascio (da cui provenivano anche l'olio e il vino che serviva in trattoria, un sapido, fresco e grato Dianella, Chianti prodotto nella villa dello scrittore Renato Fucini, da cui il nome), al n. 4 della milanesissima via Bagutta e "frequentata da brumisti e chauffeur" (Afeltra), fra le dimore di Stendhal e di Foscolo e vicino alla colonna di San Babila dove il manzoniano Bagutta Renzo aveva trovato del pane nei giorni di carestia. Ma anche la via grigia e vetusta che passa dietro l'edificio dove Carlo Porta, impiegato al Monte Napoleone, quando voleva fare quattro passi lasciava al suo posto il cappello e questi distici De Carlo Porta l'è quest chi el cappell / quand ch'el ghe minga lu, basta anca quell. In questa trattoria si celebrò, nel lontano 1926, un ideale e straordinario connubio tra la civiltà del bere e del mangiare e la civiltà della letteratura e dell'arte in forma di cenacolo in cui "[…] l'amicizia sta nell'idea stessa del premio", come ha scritto Guido Vergani. Un agape tra amici noto come il "Ministero Bacchelli" con molti simpatizzanti: letterati, giornalisti, musicisti, attrici e attori, pittori (ma anche amici futuristi si sedettero al tavolo di Bagutta come Marinetti, Escodamè, Fillìa, Casavola, Prampolini), ma anche editori, giornalisti, architetti, legatori, deputati, un ministro (Bottai), aviatori, insomma un sacco di bella gente.

Il nucleo storico, però, era formato dal "presidente" Riccardo Bacchelli (gran conoscitore di osterie romane, fiorentine, veneziane, scopritore a Bologna con Giannotto Bastianelli della "Trattoria del Pappagallo", diventata in seguito assai celebre), e dai soci fondatori ( sette come i re di Roma, annotò Vergani) Adolfo Franci, OrioVergani, Ottavio Steffenini, Mario Vellani Marchi, Mario Alessandrini e Marino Parenti (che nel gruppo baguttiano aveva come insegna araldica quella di Gran Conservatore e Cerimoniere, le altre erano il Gran Cordone, il Turbante del Gange e la Sciarpa del Ramarro, tutti battezzati da Vergani e sui quali rimando al volume parentiano del '28); allargatosi col tempo anche a Marco Ramperti, Carlo Pini e Mario Alessandrini (dimenticando, invece, Lorenzo Montano che per la verità non si dolse poi tanto della cosa). Alcuni (come Bacchelli e Franci) collaboravano alla "Fiera Letteraria", in via Spiga 24, fondata nel '25 da Umberto Fracchia, mentre altri erano firme del "Corriere della Sera" di via Solferino. Per loro parlare di libri, la sera attorno al tavolo della famiglia Pepori (Enzo, Natale con la moglie Bianca, mamma Giulia e Italo) era naturale come respirare; un luogo dove, ricorda sempre Orio Vergani, "Ci si riunisce alla milanese; si mangia alla toscana; si paga alla romana.Bagutta Perfetta trinità della raggiunta unità d'Italia". Il titolo scelto per questo articolo riporta un giudizio espresso da Bacchelli, che mi è sembrato perfetto, nella sua concisione, per sintetizzare quella esperienza umana prima che letteraria: ritrovo di galantuomini. Il Bacchelli "cardinalizio" "[…] cui solo una severe ed istintiva educazione poteva imporre di distogliere l'attenzione dall'abbondante piatto di fagiolini, per ricambiare il vostro saluto"; oppure Vergani "con […] i grandi occhi vaganti, al seguito delle posate, fra un piatto di verdure, uno di carni assortite ed un terzo di banane", o ancora Vellani Marchi "[…] quasi vegetariano e completamente astemio, assai più preoccupato di far schizzi e caricature che non di ingerire cibo in quantità superori alle sue necessità", così li ricorda Parenti, col suo tratto leggero e insieme incisivo, negli anni baguttiani.

Un'intima relazione lega fin dagli inizi letteratura, gastronomia, giornalismo e arte contraddistinguendo subito Bagutta. Marino Parenti, col suo carattere cordiale e spiritoso, riesce ad attirare nel nucleo centrale baguttiano diverse forme di creatività dando vita ad una straordinaria esperienza gastronomico-letteraria il cui esito maggiore è quel "Premio Bagutta" che ancora oggi si assegna e che rappresenta un caso unico per originalità, vedremo perché. Orio Vergani, il grande giornalista e anima del Bagutta, così sintetizzò il ruolo e la figura di Parenti: "[egli] aveva stabilito i punti d'incontro fra le intelligenze dell'Ottocento e quelle del primo Novecento, tra la "Fiera Letteraria" e la tavola "scapigliata" di Bagutta […], funzionò come in cucina funzionava il pepe e il sale, in un certo senso insostituibili". Lo stesso Vergani scrisse che la fondazione del Premio fu una "bellissima ragazzata", arrobustita da una casalinga cucina e da una franca fraternità, e rimarcando la caratteristica sostanzialmente amicale di quelle riunioni, senza nulla di professorale. Amici uniti dal piacere della convivialità, in attesa, quella sera piovosa di San Martino, delle caldarroste, della ribollita o dei candidi fagioli toscani, soffusi di un delicato rosato, dalla buccia morbida, innocente (Bacchelli), e intenti, come sempre dopo una giornata di lavoro, a parlare di libri e di autori: "L'inverno è precoce, a Milano. La sera del giorno di San Martino, 11 novembre 1926, pioveva, e già l'attaccapanni di Bagutta era carico di pastrani. Si preannunciava una serata di pioggia interminabile. Il sor Pepori aveva messo sul fuoco le prime caldarroste. Fuori, via Bagutta, sull'acciottolato, grondava d'acqua come una chiavica, e i vetri della porta erano appannati dal fiato. Ci si guardava in faccia, nel gruppo che s'era attardato a tavola. L'ora era troppo inoltrata per andare a un teatro o a un cinematografo: non si sapeva come passare il tempo che ci separava dall'ora "ragionevole" per trasferirci al Savini […]. Uno di noi disse "perché non fondiamo un premio letterario?". "Come lo si chiamerebbe?", domandò uno degli amici che aveva cominciato a sbucciare una castagna. "Si potrebbe chiamarlo Premio Bagutta. In Italia non c'è nessun premio letterario e questo avrebbe il merito, soprattutto, che lo daremmo noi, con i nostri soldi, senza aspettare l'eredità dei Goncourt, senza costituire un'Accademia, senza servire l'interesse di nessuno". E un riferimento proprio al premio Goncourt lo fece Emmanuel Audisio nel suo Le Bagutta, le prix Goncourt italien pubblicato su "Comoedia".




Alla mensa dei baguttiani, disegno di Mario Vellani Marchi
(da "Illustrazione Italiana", 20 gennaio 1929)

Amici uniti dal piacere della tavola, della conversazione, dello scherzo, della letteratura e delle arti, e senza alcuna pretesa di tipo intellettualistico ("Il premio Bagutta non vuole essere, Dio ci scampi e liberi, una specie di giudizio universale della letteratura italiana contemporanea", scrissero i fondatori), liberi di esprimere il proprio gusto, con alle spalle la grande scuola della "Fiera Letteraria", accanto il tramonto del rondismo romano e del vocianesimo fiorentino e col fascismo di fronte che incalzava. Insomma "nessuno dava più un soldo alle Lettere e alle Arti" (Vergani), eppure tra i tavoli di una modesta trattoria milanese stava nascendo qualcosa di unico proprio per quelle Lettere e quelle Arti tanto bistrattate. L'atto di fondazione venne stilato da Adolfo Franci su un bel foglio giallo: "Adolfo Franci, il solo di noi che avesse una calligrafia leggibile, si fece portare un foglio di carta gialla, e scrisse l'atto di fondazione del Premio. Il sor Pepori si assunse l'onere di far mettere la "carta gialla" sotto vetro, di offrire subito a noi un fiasco e un grappino a Monelli, di invitare tutti a cena, compresi gli amici, la sera dell'assegnazione del Premio, fissata per il 14 gennaio 1927. A mezzanotte si arrivò al Savini, e agli amici che ci domandavano "Cosa avete fatto stasera?", rispondemmo "Abbiamo fondato il Premio letterario Bagutta". Tra gli amici sedeva anche un ottimo pittore, colui che avrebbe consegnato ai posteri il clima figurativo di quegli anni, con disegni "i punta di matita" (Andrea Kerbaker) che ancora oggi preziosamente decorano i muri di Bagutta "le "liste", quelle straordinarie caricature su cui Vellani Marchi fissò i volti si, ma anche umori e stati d'animo di decine di protagonisti della cultura italiana come Montale, Malaparte, De Chirico, Piovene, Bacchelli, Soffici, Arturo Martini, Ungaretti, Bompiani, Bontempelli"; quell'uomo era l'allora trentunenne modenese Mario Vellani Marchi (1895-1979). Celebri i disegni delle tavolate baguttiane e soprattutto l'intero ciclo di caricature e disegni che corredano il volume che nel 1928 Marino Parenti dedicherà a Bagutta.

Bagutta A circa un anno dalla nascita del cenacolo fu decise di istituire un premio letterario i cui giudici sarebbero stati gli stessi amici e la "sede" per le riunioni la trattoria toscana dei Pepori. Questa caratteristica che unisce amicizia, cucina e libertà di giudizio era, e resterà, unica nel panorama italiano dei premi letterari. Esso era infatti finanziato dagli stessi giurati con una quota personale di 1100 lire (lo statuto fu pubblicato nel '27 dalla "Fiera Letteraria" e ristampato da Parenti nel suo libro baguttiano del '28). Sarà per questa ragione che nel 1936 il Ministero della cultura popolare (il famigerato MinCulPop), cercando di mettere le mani sul premio, condizionandolo col grigiore della politica del regime, obbligò i componenti del gruppo baguttiano ad interromperlo per una decina di anni, mettendolo "in sonno", come con formula massonica si espresse Vergani figlio, fino alla ripresa nel primo dopoguerra (1947). Sulla libertà di giudizio dei baguttiani, ieri come oggi, così scrive Isabella Bossi Fedrigotti: "Raramente s'è visto, infatti, una giuria letteraria così allegramente indifferente a pressioni, suppliche e appelli di autori ed editori, anche grandi, anche potenti, a volte anche datori di lavoro di qualche giurato".

La nascita del premio avvenne quindi la sera (piovosa) di San Martino, l'11 novembre 1927 (assente Parenti); mentre la prima assegnazione verrà fatta il 14 gennaio dell'anno dopo premiando Il giorno del giudizio di Giovan Battista Angioletti, che in quel periodo gestiva in via Brera una modestissima libreria insieme ad Antonio Pescarzoli, un bibliofilo cultore di lotta giaponese, che negli anni '30 sarebbe poi diventato un abile libraio nella libreria antiquaria Hoepli in via Sistina a Roma, ricordato da Carlo Bernari, che nel periodo romano gli fu collaboratore in libreria, nel romanzo Il grande letto (Mondadori, 1988), dove però lo scrittore usa curiosamente il nome Pettazzoli.

Parenti ebbe con Milano un forte legame affettivo testimoniato dai volumi pubblicati molti dei quali dedicati alla tradizione letteraria lombarda. Sul rapporto tra Parenti e Bagutta così scrive Mario Francini: "Il pranzo avrebbe dovuto aver luogo nella trattoria più indicata, quella milanese di Bagutta. Benché ormai sia fiorentino, Parenti ha sempre detto che gran parte del suo cuore è rimasto lassù, nella piccola trattoria di una stradina contorta della grande Milano".

Scorrere i nomi dei premiati è come sfogliare una storia della letteratura italiana del Novecento. Dopo Angioletti verranno premiati tra gli altri Comisso (Gente di mare, 1928), Cardarelli (Il sole a picco, 1929), Rocca (Gli ultimi furono i primi, 1930), Titta Rosa (Il varco nel muro, 1931), Repaci (I fratelli Rupe, 1932), Radice (Vita comica di Corinna, 1933), Gadda (Il castello di Udine, 1934), Sacchetti (Vita di artista, 1935), Negro (Vaticano minore, 1936). Poi durante gli anni del fascismo non venne assegnato alcun premio (fu "messo in sonno" come ha scritto Guido Vergani prendendo a prestito una espressione massonica), per riprendere nel 1947 con la vittoria di Dario Ortolani (Il sole bianco). Tra i tanti vincitori del Bagutta spiccano anche i nomi di Brancati (1950), Montanelli (1951), Borgese (1953), Marotta (1954), Gatto (1955), fino a quest'ultima edizione del 2006; mentre per il battesimo de Il diavolo al Pontelungo di Bacchelli il 28 febbraio del '27 venne organizzato al Bagutta uno storico banchetto.

Celebratore, memorialista e grande divulgatore di Bagutta, nei suoi vari aspetti gastronomici, letterari, giornalistici e artistici, fu ovviamente il nostro Marino Parenti che nel 1928 pubblica uno dei suoi libri più conosciuti e di successo, Bagutta appunto, dal nome dell'omonimo cenacolo, Il libro è corredato dai disegni di Mario Vellani Marchi e contiene scritti di Orio Vergani e Riccardo Bacchelli e un commiato di Marco Ramperti. Nel volume c'è anche un divertente capitolo l'ottavo, Vi presento Ugo, bibliofilo e libraio, cameriere alla tavola dei poeti per forza del destino, dedicato appunto ad Ugo Bernardini, cameriere d'occasione al Bagutta e libraio ambulante di mestiere. Molti anni dopo (1955) verrà anche stampato un elegante volume in-folio dedicato a Bagutta e contenente tutte le tavole a colori di Vellani Marchi non riprodotte nel volume del '28.

L'anno successivo a questa edizione, il 16 marzo 1956, così scrive Orio Vergani nel suo diario: "Giudici di Bagutta. Asente Dino Buzzati. Ci siamo tutti, nell'ultima saletta, l'unica silenziosa. Fra pochi giorni, saranno trent'anni da quando abbiamo "scoperto" la nostra trattoria. Per sostituire Bucci nella giuria, Mario Vellani Marchi propone il "decano" Mazzolani, che sta per compiere gli ottant'anni. Vogliamo proprio trasformare Bagutta in un gerontocomio?". Ancora una volta fanno capolino l'iroia, l'amicizia, un pizzico di spirito goliardico, grande senso per la letteratura, giornalismo sopraffino. Tutti "sapori" di Bagutta, allora come oggi, fino alla recente scomparsa di Guido Vergani, figlio di Orio e per decenni instancabile animatore del Premio. Del resto Vergani non era nuovo a celebrazioni nate tra le mura di ristoranti e trattorie. Interessante, al riguardo, è la sua prefazione al volume I diurnali di Romano Barbaro nella Trattoria "Tre stelle con orto" in Burano, con autografi e disegni di Comisso, Vellani Marchi, Soffici, Carrà, Migneco e Montanelli.


Marino Parenti ed Orio Vergani saranno i due maggiori cantori di quel cenacolo milanese di amici letterati, tra i migliori esempi di una grande, e irripetibile, stagione culturale, umana e civile.




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