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Editoriale
Tra storia e attualità
Il vino con gli occhi a mandorla
di Giancarlo Roversi

Il "pericolo giallo", tanto paventato in Occidente nella seconda metà del '900 ed erede - nell'immaginario collettivo - del terrore verso le orde di stirpe mongolica che a più riprese nei secoli passati si sono affacciate minacciose alle porte del vecchio continente, è diventato una realtà. Solo che stavolta a creare angoscia non sono le armi da guerra, ma quelle del commercio che hanno fatto breccia nelle frontiere europee. E non soltanto con i prodotti tessili ed elettronici ma anche con quelli agroalimentari. Così dopo i pomodori, le patate, il latte, il pane, i salumi molti temono che presto sulle nostre tavole apparirà anche il vino cinese, che in realtà ha già fatto la sua timida comparsa. E qui sorge un grosso equivoco. Quasi tutti pensano che la coltivazione della vite in Cina sia cosa recente, semmai propiziata da qualche astuto vinattiere di casa nostra per approfittare di costi di produzione estremamente allettanti. Tutti in sostanza credono che in Cina si consumi soltanto birra e bevande derivate dalla fermentazione del riso e dei frutti di altre piante, ma vino no. Nulla di più sbagliato.
La conoscenza del vino nel paese del Celeste Impero rimonta, sulla base delle testimonianze storiche, addirittura all'età del bronzo quando l'inebriante bevanda aveva già una funzione importante nelle alte sfere della società cinese. Infatti il vino era una delle bevande predilette dei cortigiani, dei signorotti locali, dei benestanti e dei ceti acculturati. Entrava anche nei riti religiosi e di divinazione come rivelano alcune remote iscrizioni sulle ossa dei defunti usate per l'osteomanzia.
Ma quale vino consumavano gli antichi cinesi? Anche se nell'immenso Paese non sono mai mancate varietà selvatiche di viti, la vitis silvestris, è certo che almeno inizialmente non vi allignavano quelle propriamente da vino. Purtroppo nelle fonti scritte più lontane, a partire dall'epoca delle dinastie Shang e Chu, non si fa differenza fra il vino ricavato dal riso e il succo fermentato di uva o di altre bacche o frutti.
vitis vinifera Addirittura, se si presta fede alla testimonianza di Kong fuzi, il "maestro Kong" ossia l'insigne pensatore Confucio, il vino era in uso in Cina già cinque secoli prima dell'era cristiana. Infatti, a meno che non si tratti di un'interpolazione ai suoi scritti, egli consiglia ai suoi connazionali un uso parco del vino: "accostatevi pure al vino ma non bevetelo fino all'ebbrezza".
Ben documentata è invece quella che secondo gli studiosi è la data d'ingresso della prima vite coltivata: l'anno 128 a.C., ossia dopo la spedizione del generale cinese Chang Chien, spintosi fino a Fergana, a est di Samarcanda, che si procurò i semi della vitis vinifera e dell'erba medica per portarli in dono all'imperatore. Nella relazione che li accompagnava annotò che gli abitanti più facoltosi di Fergana erano forti bevitori e possedevano enormi scorte di vino molto vecchio nelle cantine.
Altri sostengono che il merito del trapianto della vite nel Regno del Gran Catai fu opera di un ufficiale dell'imperatore Wun (140-87 a.C.) che scappò dal campo ove gli Unni lo tenevano prigioniero, portando con sè vari prodotti agricoli fra cui alcuni grappoli d'uva.

Il consumo del vino non si diffuse però massicciamente sia perchè inizialmente non del tutto in sintonia col gusto dei cinesi sia per altre prevenzioni che rasentavano la superstizione. Tuttavia nel VII secolo un notabile della corte imperiale, Meng-Shien, ne consigliava il consumo a scopo curativo per alcune indisposizioni, purchè non si alzasse alzare troppo il gomito. Ai suoi tempi due erano i tipi di vino d'uva: uno di gusto più morbido ricavato dalla fermentazione del mosto e un altro, molto più robusto, ottenuto attraverso la distillazione a caldo (quindi una sorta di bassa a bassa gradazione alcolica) prodotto a Gaochang sulla via per la Persia.
La produzione del vino in Cina è ricordata anche da Marco Polo che durante il suo lungo soggiorno nel Celeste Impero ebbe modo di conoscere la realtà di alcune parti del suo immenso territorio. Tra esse l'area regione attorno a Shanghai sulla quale annota testualmente: "Quivi hae molto vino, e per tutta la provincia del Cattai non ha vino se noti in questi città; e questa ne fornisce tutte le province d'intorno".
La coltivazione della vitis vinifera godette il sostegno di molti imperatori, tra cui K'an-hi, che regnò nel secolo XVII e promosse la diffusione della vite in diverse zone del Paese, accorgendosi che i terreni più adatti erano quelli a nord mentre più si scendeva verso sud le difficoltà di adattamento aumentavano.
Amante e propugnatore del vino fu anche l'imperatore Wen, degli Wei, che, rivolgendosi agli ufficiali del suo esercito, magnificò le virtù del vino, specie durante l'ebbrezza: Passo la notte sotto la rugiada; quello che è dolce non mi sembra dolce, quello che è agro non mi sembra aceto, il freddo non è freddo; il sapore è intenso, il succo dura a lungo; metto da parte i fastidi e mi libero della tristezza. C'è un'altra ricetta simile a questa?

Nell'antica farmacopea cinese, riverberata dal monumentale codice Pen t'sao p'in hui ching yao, vale a dire la "Materia Medica essenziale", si trovano varie prescrizioni a base di uva e di vino. Eccone alcune:

L'uva cura i reumatismi e facilita la circolazione dei flussi.

Il frutto (della vite) guarisce l'idropisia, regola e imbriglia i flussi e fa orinare.

Aggiungi vino al sale arrostito e bevilo; servirà ad arrestare le emorragie delle vene e delle arterie provocate dalle ferite.

Durante le epidemie aggiungi vino all'uva: potranno essere evitate piaghe e ascessi.

L'uva fa bene ai muscoli e alle ossa, potenzia il flusso vitale, giova alla salute, rende resistenti alla fame, cura i reumatismi, rende immuni ai raffreddori, fa dimagrire, tiene lontana la vecchiaia e fa ringiovanire; puoi inoltre farne vino.

Un altro vetusto trattato di dietetica di Meng Shen, il Shih liao pen ts'ao, consiglia di usare la radice della vite per bloccare il vomito e la nausea causata dal colera. Ma non basta: "se una donna incinta è oppressa dal feto che si agita contro il cuore, bevendo il decotto di radice farà discendere l'utero e avrà sollievo".

A sua volta T'ao Hung-Ching, più noto come "T'ao l'eremita", nelle Memorie di Medici famosi mette in risalto attrraverso esempi pratici, quasi delle parabole, i pregi del bere in particolari condizioni ambientali, stagionali e di stato fisico:

Quando fa molto freddo il mare si gela, ma il vino non diventa ghiaccio. Una volta tre uomini uscirono di mattina presto e s'imbatterono nel grande freddo: quello che aveva mangiato riso bollito si ammalò, quello che era digiuno morì e quello che aveva bevuto vino si salvò. Infatti la natura del vino è calda. Anche in tutti gli altri mesi, la mattina quando ti metti in viaggio dovrai bere del vino, poiché nei mesi primaverili ti pungeranno le cento larve velenose, nei mesi d'estate gli ardori del sole ti opprimeranno e in autunno il tempo umido ti ferirà. Bevendo il vino ti difenderai da questi mali poiché il vino accresce il soffio vitale, fa circolare il sangue nelle vene, rende l'interno più resistente e l'esterno inaccessibile.

T'ao l'eremita aggiunge altri consigli derivati dalla sua esperienza e dall'antica sapienza medica cinese dove non può mancare anche in intruglio a base di brodo di carne di cane e vino:

Il vino d'uva giova al soffio vitale e lo rende più armonico, fa più resistenti nelle carestie, rafforza la volontà. È buono anche il vino che si ottiene facendo fermentare il succo di viticci... Col brodo di carne di cane fermentato, otterrai un vino molto efficace. Il vino di primavera fa ingrassare e rende più chiara la pelle.

Il "Libro dei Tang" suggerisce il vino d'uva per liberare i polmoni dal catarro e cirare le indigestioni. Da parte sua il medico Ch'en Ts'ang-ch'i, assicura che "il vino ammorbidisce la carnagione ed elimina il mal della pietra".
Infine il maestro Jih Hua sottolinea:

Il vino fa scorrere il sangue nelle vene, irrobustisce gli intestini e lo stomaco, rimuove le infezioni che affievoliscono il soffio vitale... Il vino che resta sull'altare, dopo che sono state fatte le offerte, è efficace per i bambini tardivi nel parlare: ne bevano un sorso e poi lo sputino.

Come si può vedere i cinesi hanno le carte in regola per produrre vino, la storia è dalla loro parte. Quindi nessuna meraviglia se vogliono esportarlo anche da noi. La cosa importante è che quello prodotto in Italia si mantenga non solo a livelli di eccellenza ma anche di abbordabilità, ossia con un giusto rapporto qualità-prezzo, in modo da battere il concorrente con gli occhi a mandorla. Così almeno col vino ci salveremo. La prossima volta a forse toccherà alla mortadella, anzi alla "moltadella", ma lì abbiamo una tradizione antica e nessuno - c'è da esserne certi - potrà clonarla. Almeno quella buona cui siamo abitiati.

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