Scaffale di MenSA
La Conchiglia di Capri e la piadina di Graziano Pozzetto…
Ne La Conchiglia di Capri (http://www.laconchigliacapri.com/) si trovano autentiche perle
Norman Douglas (Pilaff Bey). Venere in cucina-Venus in the kitchen. Capri, La Conchiglia, 2005 Euro 23,00
I vini d'Italia. Giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo bottigliere Sante Lancerio. A cura di Arturo Celentano. Capri, La Conchiglia, 2004 Euro 60,00
Tra le tante in questo numero vogliamo segnalarne almeno due.
La prima, dal quale traiamo un menu di San Valentino per il 14 febbraio di quest'anno (vai) è una nuova edizione di Venere in cucina di Norman Douglas (Pilaff Bey). Su questa nuova edizione del grande classico della letteratura erotico-gastronomica, dopo il magistrale - e apprezzatissimo dai nostri lettori - saggio di Massimo Gatta apparso nel numero precedente non osiamo addentrarci (l'autorità di Gatta in materia ce lo sconsiglia), se non per darvi conto di alcuni dettagli tecnici.
Diremo allora che la traduzione (dovuta a Elena Canino nella prima edizione Longanesi tanto cara ai bibliofili)
è stata affidata a Ciro Sandomenico che, oltre a riprodurre a fronte anche il testo inglese, ha aggiunto, in fondo all'indice analitico, un glossario, da lui stesso curato. Le originarie illustrazioni di Leo Longanesi sono tutte rimpiazzate da immagini tratte da Le pitture antiche d'Ercolano e contorni. Napoli, 1757. Quella di copertina proviene dagli affreschi pompeiani.
La seconda è una splendida edizione della prima grande guida "moderna" dei vini italiani, apripista di gran classe dell'autentica alluvione che ci colpisce da anni.
Si tratta de I vini d'Italia giudicati da Papa Paolo III (Farnese) e dal suo bottigliere Sante Lancerio.
Il volume, in cofanetto, è stato stampato (nell'ottobre de 2004) in 1000 esemplari numerati a mano su Carta Corolla Book delle Cartiere Fedrigoni nelle Officine dell'Arte Tipografica della mitica Via San Biagio dei Librai di Napoli.
La nostra storia
Da: http://www.laconchigliacapri.com/customer/history.php
Le Edizioni La Conchiglia nascono a Capri nel 1989 e crescono insieme alle tre librerie omonime create da Ausilia Veneruso e Riccardo Esposito in questi anni sull'Isola. Le Edizioni La Conchiglia nascono a Capri nel 1989 e crescono insieme alle tre librerie omonime create da Ausilia Veneruso e Riccardo Esposito in questi anni sull'Isola.
La struttura de La Conchiglia è quella di una piccola casa editrice che cura, prevalentemente interessi particolari con un catalogo che, al 2003, conta oltre 120 titoli, e comprende, tra gli altri, autori come Somerset Maugham, Ivan Bunin, Norman Douglas, Axel Munthe, Filippo Tommaso Marinetti, Raffaele La Capria, Edwin Cerio. Il filo rosso che lega questi scrittori è una precisa idea del viaggio, dell'isola, del Sud e del Mediterraneo.
Le Edizioni La Conchiglia si basano su di una convinzione di fondo: l'isola di Capri, ma anche il Sud e lo stesso Mediterraneo, oltre ad essere eccezionali "eventi naturali", sono anche straordinarie "costruzioni mitico-letterarie". Forse più che costruzioni si potrebbero definire stratificazioni di racconti, storie, miti e descrizioni . Questa stratificazione ha depositato un humus fertilissimo che ha alimentato altre storie e miti in un florilegio a volte spontaneo e incontrollato, anche con la formazione di ibridi ed escrescenze parassitarie e stereotipi deleteri. Come il paesaggio isolano e quello Mediterraneo in genere risultano essere tra i più antropizzati, così in parallelo l'antropizzazione è stata anche di tipo culturale. Le parole degli uomini hanno modificato la percezione del paesaggio e il rapporto con questa terra si è caricato di valori simbolici e significati che differiscono da cultura a cultura. Molte terre del Mediterraneo e molte isole di questo antico mare si sono nutrite e ancora oggi si alimentano di parole scritte.
Il Mediterraneo, come culla di questo universo letterario e simbolico, ma anche e soprattutto come luogo di incontro e scontro tra civiltà e culture, è la ragione fondante della rivista "Civiltà del Mediterraneo", semestrale di ricerca e informazioni che viene pubblicato dalle Edizioni La Conchiglia dal 2001, con articoli e saggi sui problemi più attuali ed anche drammatici dei paesi che si affacciano sul mare nostrum, come quello inserito nell'ultimo numero, dello scrittore israeliano A.B. Yehoshua.
Le Edizioni La Conchiglia hanno scelto questo nome perché evoca uno dei simboli più forti e universali legati al mare e alle sue capacità generative e creative.
Il logo presenta una conchiglia che contiene due sirene, deità legate al passaggio tra dimensioni diverse e alla trasformazione, anche e soprattutto attraverso la conoscenza controllata.
Le Edizioni La Conchiglia sono e vogliono rimanere una casa editrice che affronta temi particolari rimanendo su di un'isola particolare perché "ogni libro è un'isola. Ogni isola come ogni libro è uno spazio e uno strumento oracolare, di iniziazione e di passaggio a realtà diverse. Ogni libro, come ogni isola, è uno spazio e uno strumento per reclusioni totali da cui accedere a libertà totali".
Un'iniziativa de La conchiglia:
Guglielmo Pluschow Geografie del Corpo
La Piadina di Graziano Pozzetto: nuovi fuochi d'artificio
Graziano Pozzetto. La piadina romagnola tradizionale Rimini, Panozzo, 2005 € 16,00
Non osiamo nemmeno provarci, a recensire, l'ultima fatica-piacere di Graziano Pozzetto. Quasi tutti i suoi libri sono solo da …divorare, o, meglio, da gustare con calma, perché Pozzetto, si sa, non è scrittore da Pamphlet. Quando Graziano agguanta la preda, non la molla finché non l'ha sviscerata, fino all'osso. E così è anche per la sua piadina, anche se qui non ci sono viscere e ossa. Ma c'è tanta di quella roba, roba buona assai, che il vero lettore di cose gastronomiche non dovrebbe saltarne una pagina (forse nemmeno i ringraziamenti, da Guinness dei primati, un suo peculiare e curioso stile di ringraziamenti, che non risparmia nessuno, da…Artusi a Zavoli).
Non sapremmo cosa indicarvi in particolare nel succulento poutpourri (nel senso gastronomicamente migliore del termine) che il libro ci propone. Noi personalmente abbiamo trovato notevolissimi (potremmo anche sbilanciarci in un "bellissimi" senza dover spiegare in che senso) il racconto di Tonino Guerra, il saggio storico di Piero Meldini e l'introduzione dello stesso Pozzetto. E, sperando di far cosa gradita e di fare la giusta promozione (tra i nostri tanti affezionati lettori) a un editore, Panozzo, e a un libro che la meritano tutta, ci permettiamo di riportare qui brani dall'Introduzione di Graziano Pozzetto e, ne La pagina di Piero Meldini, un brano del suo saggio storico.
INTRODUZIONE
di
Graziano Pozzetto
La piadina - che non è un nomignolo o un vezzeggiativo degli ultimi decenni, talvolta snobisticamente rifiutato, oppure utilizzato alla stregua di un neologismo moderno, ma un nome anch'esso antico, con alle spalle quasi cinque secoli di storia - o piada tradizionale e tipica, seriamente ed esclusivamente tale, è il "pane" identitario dei romagnoli.
Nei secoli, non millenni per carità, la piada è stata protagonista di importanti evoluzioni, consolidando la sua identità e fisionomia gastronomica, a partire dai primi decenni del Novecento, quando i ceti più poveri e subalterni, mangiatori di piade, hanno potuto tralasciare, o iniziare a farlo, il miserabile e fino allora caratterizzante ricorso a farine che non fossero di grano.
Proprio nella seconda metà del secolo scorso la piada tradizionale è più o meno sopravvissuta nelle famiglie altrettanto tradizionali, in una parte dei chioschi che non hanno del tutto eliminato la manualità, in minima parte nei luoghi dell'ospitalità ove operano "sfogline" e "piadinarole". Altrove l'identità della piada classica è stata talmente sconvolta e devastata, tanto da divenire un moderno prodotto industriale (per tecnologia, volumi produttivi, mercati internazionali, tipologia finale del prodotto, tempo e scadenza di 2-3 mesi per il suo consumo), ma anche prodotto "artigianale" che in parte non si differenzia. Si tratta di una versione di piada omologata, cibo moderno, precotta, confezionata, che si può consumare ovunque, previo breve riscaldamento.
Intendiamoci, si tratta di un prodotto legittimo, peraltro legato a una rilevante attività economico-produttiva, in fase di crescita e sviluppo; ma è chiaro a tanti romagnoli, che da sempre amano la piada tradizionale, calda ed espressa, 60 secondi di tempo per essere goduta (e non 60 giorni!), che con tale prodotto viene tradita e sovvertita la principale discriminante della tradizionalità della piada (peraltro diffusamente e ineffabilmente millantata), rappresentata dalla inscindibile e irrinunciabile preparazione manuale, cottura sulla teglia, consumo immediato quando la piada è ancora calda. Infatti la sua tipicità non può essere confusa con quella di un buon vino, miele, olio o altri prodotti che si possono trasportare altrove o consumare nel tempo, cogliendone agevolmente (se presenti, s'intende, il che non è mai scontato) le caratteristiche tipiche.
Questa versione clamorosamente sta addirittura ottenendo, in modo del tutto formalmente legittimo il riconoscimento europeo di Indicazione Geografica Protetta. Quella che potrebbe essere una diffusa soddisfazione per questo riconoscimento europeo, urta purtroppo, con la nostra cultura e memoria della piada, condivise e stratificate nei tempi lunghi, che appartengono alla Romagna e ai romagnoli.
Un destino che non viene riservato solo alla piada, ma anche ad altri prodotti tipici o cosiddetti tali, che si vorrebbe tutelare attraverso un modello produttivo di filosofia industriale e prettamente mercantile, da mercato globale. Di conseguenza vengono sacrificati e seriamente danneggiati, talvolta per mancata conoscenza della delicata materia, saperi e sapori, diversità e peculiarità gastronomiche che hanno impiegato decenni e decenni per consolidarsi e caratterizzarsi, vengono altresì penalizzate sensorialità e complessità organolettiche, ignorate le quantità compatibili prodotte, in sintesi la tradizionalità, pur intesa in termini giudiziosamente innovativi, nel rispetto di una coerenza e profili irrinunciabii.
Non intendo, anche in questa occasione, demonizzare le produzioni alimentari industriali, peraltro in certi casi apprezzabili, se presentate come tali, ma non accetto che dall'industria vengano fagocitate le più qualificate e significative produzioni tipiche (ma sono a rischio anche i prodotti legati ai presidi Slow-Food!), frutto di un bacino gastronomico romagnolo, espressione di una grande cultura gastronomica, patrimonio che merita di essere salvaguardato perché appartiene a tutti i conterranei, prodotti che stanno divenendo vittime di disciplinari di produzioni incoerenti e mediocri, vere sanatorie di situazioni produttive degenerate e fuori controllo, culturalmente deviate.
Sulla piada si è scritto moltissimo e si continua a farlo (lo dico con dolore, senza arroganza e senza snobismo), sovente con superficialità e sciatteria culturale, non senza mistificazione in relazione alla tipicità, senza rendersi conto della differenza tra la piada tradizionale e quella "macdonaldizzata", chiamando a testimonial Pascoli e Spallicci, non senza disinvolte retoriche e arbitrarie mitizzazioni storiche, esercitazioni lontane anni luce da un serio riferimento alle fonti e dai documenti storici.
Ho voluto fare chiarezza sull'argomento, alla mia maniera, con passione e rigore, grazie al consueto, e personalmente oneroso, lavoro di ricerca, salvaguardando l'autonomia del ricercatore. Mi sono pertanto avvalso della consulenza e del contributo, autorevole e scientifico di Piero Meldini, massimo studioso e storico della cucina romagnola, al fine altresì di garantire i riferimenti alle fonti e documentazioni.
Ho selezionato quindi un'antologia di scritti, letterari, storici e poetici, sulla piada dal Cinquecento ai giorni nostri.
Ho poi ricostruito, raccogliendo tanti e suggestivi racconti di cibo, orali e scritti, i mangiari e il companatico che negli ultimi due secoli hanno accompagnato le piade dei territori romagnoli. Nel contempo ho raccolto le millanta ricette delle piade tradizionali, ma anche delle consorelle o cugine della piada che nei tempi lunghi si sono caratterizzate non solo in Romagna, ma anche in Umbria, nelle Marche, in altre regioni italiane, altresì nelle più diverse e lontane aree del mondo.
Il lavoro si allarga quindi ai cassoni, impropriamente denominati crescioni in certe zone della Romagna. Ho di seguito esaminato e passato in rassegna gli utilizzi e gli abbinamenti gastronomici odierni della piada, da certi prodotti eccellenti italiani a quelli moderni, sfiziosi, di fantasia, non canonici, da fast-food, addirittura dolci.
L'ultima parte tocca altri temi che mi stanno a cuore, come gli ultimi tegliai di Montetiffi, i luoghi di produzione della piada tradizionale, il discusso tema della piada industriale IGP, poco altro.
Infine il lettore troverà una particolare e personalissima appendice, con dediche, ricordanze, ringraziamenti, luoghi e nomi dell'amicizia e delle mie eccellenze enogastronomiche cha da tempo
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