MenSA Menu Storici e d'Autore
UserId PassWord
homepage
direzione e redazione
sommario
editoriale
le rubriche

i menu
archivio
banca dati
amici di MenSA
 
le regole del gioco le regole del gioco
di M. Montanari
MenSArIO - I blog di MenSA MenSArIO
I blog di MenSA

MenSA - la copertina


E la mensa preparate
Mozart e il cibo
di Rino Pensato

Fate presto, o cari amici/Alle faci il fuoco date.
E la mensa preparate/Con ricchezza e nobiltà.
(Despina in Così fan tutte)


"C'è qualcosa di irrimediabilmente felice nel sapere che stiamo per inaugurare un "anno mozartiano". Felicità che Wolfgang Amadeus Mozart sia esistito. Felicità che ci cammini accanto, come un amico."
Così esordisce Lorenzo Arruga nel presentare su Panorama.it l'anno mozartiano.
Come dirlo meglio di così? Di fronte a Mozart cadono tutti i pudori, le analisi critiche (che pure vanno ovviamente fatte) cedono all'amore, si sopportano e si indulge di fronte alle mille iniziative kitsch che accompagnano l'evento (vedine alcune all'indirizzo: http://rmc.library.cornell.edu/mozart/commodification.htm).
E' come se la sua discussa natura di eterno fanciullo ("pura natura", dirà Enzo Siciliano), senza freni e inibizioni, si installasse in ciascuno di noi e ci mettesse tutti in fila dietro al flauto magico della bellezza incantata della sua musica senza uguali.
Mozart profilo
Eccoci, dunque! Uno degli anniversari più celebrati e attesi, dal pubblico, dagli appassionati, dagli studiosi, dagli sponsor (che conoscono gli investimenti sicuri) è arrivato. Alle otto di sera del 27 gennaio 1756, 250 anni fa, in una magica casa di Salisburgo, nasceva, settimo figlio di Leopold Mozart, violinista di corte del principe arcivescovo, una creatura, battezzata il giorno dopo con il nome di Johannes Crysostomus Wolfgang Theophilus, divino fanciullo, il dispensatore, fin quando esisterà questo pianeta, delle note forse più amate di ogni tempo. Delle più gioiose e delle più drammatiche: confrontate, ad esempio, l'infantile, burlesco e magistrale divertimento di Ein musikalischer Spass K 522 e le divinamente tragiche note iniziali o del dies irae dell'insuperabile e insuperato dei Requiem (K 626).

Mozart per i suoi fan - ma anche, per una fredda visione "statistica" della musica - è un altro modo per dire musica. Perché mai (se lo sarebbe chiesto anche il Salieri del capolavoro di Forman, Amadeus) il Signore ha voluto donare proprio a questo giovane uomo normale, umano, troppo umano, addirittura volgare, infantile, irriverente, doni musicali che possono indurre anche il più irriducibile dei laici, dei miscredenti a ritrovarvi una voce divina, un intervento al di sopra del naturale? Come e perché è accaduto che, in soli, travagliati, ma anche intensamente vissuti 36 anni di vita, ogni strumento musicale, ogni genere da lui trattato, manipolato, si trasformasse, in percentuale altissima, in capolavoro?

Dal corno all'arpa, dal piano al clarinetto, dall'opera buffa al dramma storico, dall'opera italiana al singspiel, dalla sonata alla sinfonia, dalla serenata al concerto alla sinfonia concertante, dall'oratorio (ascoltate, per favore, La Betulia liberata) alla Messa da Requiem, ogni cimento era da Mozart affrontato e vinto: non dico senza sforzo, ma con relativa semplicità, e non con le armi della banalità e dell'esercizio accademico, ma con creazioni che finivano per diventare, ciascuna nel proprio genere, il classico per eccellenza (così è stato per i concerti per clarinetto, per flauto e arpa, per corno, ecc) o la vetta insuperata, come molti pensano, ad esempio, per il Don Giovanni, per il Requiem, per le sinfonie n. 40 e 41 (rammentate Woody Allen in Manhattan, il secondo movimento della sinfonia "Jupiter" di Mozart, la 41 appunto, è una delle 10 cose per le quali vale la pena vivere), per il concerto per pianoforte K 467, per la sinfonia concertante K 364. Potremmo continuare così all'infinito, senza aggiungere assolutamente nulla ai milioni di parole spese a riguardo (dalle più entusiastiche e pazzamente innamorate, come quelle dei vari Puskin, Kierkegaard, Stendhal, Goethe, Strawinski, Wagner, Richard Strauss, Muti e Abbado, Bergman e Losey, a Papa Benedetto XVI, a quelle delle più comuni e banali enciclopedie musicali).

Scrive Enzo Siciliano nell'Introduzione alla raccolta antologica in italiano delle Lettere:
"Cosa c'era nell'animo di Mozart? Non valgono con Mozart consueti metri di misura. La sua genialità credo consistesse nell'esser lui uomo del tutto comune, uomo qualsiasi, ma di quelli che vivono senza rendersene conto due vite: la vita del volto, con cui si affacciano quotidianamente presso il volto degli altri, e la vita della propria intimità profonda o della propria verità. Questa rimane loro sempre sconosciuta, o forse gli appare in sogno e, sepolta nelle ore notturne, altrimenti non affiora se non pari a un fortuito e trascurabile trasalire. L'uomo comune può essere un Mozart candido e imperturbabile come Dio: ma non ha modi per palesarlo. Mozart ebbe la musica dalla sua: quell'ora notturna e quei sogni che per sempre, come nei più. sarebbero rimasti sconosciuti, seppe rappresentarli in suoni, con una naturale fluidità, una trasparenza che nulla ha della tenebra, - un miracolo."

Chiarito, con pochi dubbi, come la pensiamo su Mozart musicista, torniamo al nostro mestiere (si fa per dire) e spendiamo qualche parola su Mozart uomo e/o bambino, fanciullo, adolescente, uomo fatto (per poco, ahimè), se mai è uscito da quello stato di eterno fanciullo sempre pronto, quando non era davanti a un pianoforte o a un quaderno, a giocare, a scherzare, a godere, come e forse più di tanti suoi normali coetanei, delle gioie e dei piaceri materiali, corporali, con pienezza e, è stato scritto, spesso con smodatezza.
E' anche noto (ed è stato scritto anche questo) che su tutti, due erano i piaceri dei sensi che maggiormente coltivava (e ne ricavava adeguata soddisfazione): l'amore, diciamo pure il sesso, e il cibo, la tavola. Gli eccessi (verbali e scritti, documentati dalle testimonianze e dalle lettere) coprolalici e scatologici sembrano costituire una sorta di trait d'union, la chiusura del circolo dei suoi due piaceri prediletti.
Le poche righe che ci restano toccheranno, per coerenza con la filosofia di MenSA, l'aspetto più propriamente gastronomico del rapporto di Mozart col cibo. A parte troverete una finestra di curiosità sui famigerati cioccolatini, che poco hanno a che fare col nostro discorso.
Qui, come è nostra necessitata abitudine troverete invece solo dei brevissimi spunti sul rapporto cibo-Mozart nella vita e nell'arte.

Dall'epistolario (mentre esce quest'articolo dovrebbe essere in libreria la nuova edizione della raccolta delle lettere curata da Elena Ranucci, pubblicata da Guanda, con l'introduzione di Enzo Siciliano) sappiamo che gli piacevano le buone costolette, il vino brioso e allegro della Mosella, che la gola era uno degli elementi di complicità con l'amico Schikaneder, che lo avvicinò alla massoneria e lo spinse appunto a comporre, su suo libretto, l'immortale favola iniziatica Il Flauto magico.
Quando non scriveva al padre, verso il quale il tono era sempre ossequioso e rispettoso, o a qualche personaggio autorevole, non mancavano riferimenti quotidiani (anche troppo, come sappiamo), tra i quali quelli gastronomici. Da Napoli il 5 giugno 1770 racconta, in italiano nel testo, all'amata sorella Nannerl, in toni non propriamente entusiastici, cosa hanno mangiato dal sig. Doll, compositore tedesco, "una brava persona":

Alle 9 ore, qualche volta anche alle Dieci mi sveglio, e poi andiamo fuor di casa, e poi pransiamo d' un tratore e Dopo pranzo scriviamo et di poi sortiamo e indi ceniamo, ma che cosa? Al giorno di grasso, un mezzo pullo, overo un piccolo boccone d'un arosto, al giorno di magro, un piccolo pesce, e di poi andiamo à Dormire.

Sempre dall'Italia, precisamente da Bologna il 21 agosto 1770 ironizza sulla conoscenza di un certo frate domenicano, che ha fama di santità:

Abbiamo l'onore di frequentare un certo domenicano che è considerato santo, ma io non ci credo molto, perché spesso a colazione prende una tassa ciocolata, e subito dopo un buon bicchiere di vino spagnolo forte. Io stesso ho avuto l'onore di pranzare con questo santo, che a tavola si è bevuto da bravo il suo vino e per finire un bicchiere colmo di vino forte, due buone fette di melone, pesche, pere, cinque tazze di caffè, un piatto intero pieno di uccelli, due piatti colmi di latte e limoni. Potrebbe farlo apposta, però non credo, perché sarebbe troppo. E poi il pomeriggio a merenda mangia ancora molte altre cose.

Questo, in due parole, è quanto si ricava dalla lettura della raccolta epistolare.
Nel racconto di Mörike, Mozart in viaggio per Praga, la moglie Costanza ribatte a suo marito, che sembra disdegnare l'atmosfera del Prater a Vienna ("due ore lontano la macchia sa ancora di camerieri e salse"): "Che faccia tosta! - gridò ella come se il tuo più gran divertimento non fosse proprio quello di andare a mangiar polli arrosto al Prater!"
Il discorso sul cibo nell'opera mozartiana è naturalmente molto più difficile da affrontare e noi ce ne guarderemo bene.
In particolare sulle sue due opere forse più note e amate, Don Giovanni e Flauto magico, i due coniugi Francesco Attardi Anselmo e Elisa De Luigi non ci hanno lasciato, come suol dirsi, nemmeno i resti. Ingordi, armati di amore per Mozart e la cucina, di documentazione, attenzione e fantasia, hanno messo su due piccoli monumenti gastronomici. Decine e decine di ricette, osservazioni, pagine brillanti e documentate, tutte da godere. I presupposti dei loro due lavori, in breve:

"Il Don Giovanni di Mozart, quale opera come questa sa celebrare insieme le delizie dell'amore e quelle del palato? Con questo libro vi condurremo nei segreti di quella cucina dove il grande epicureo … si recava ad assaggiare le pietanze e impartire ordini ai cuochi. Dal primo al secondo atto è un ininterrotto succedersi di feste e banchetti."

e

"Tutti sanno che Il Flauto Magico è opera massonica; noi abbiamo immaginato che possa diventare opera gastronomica. Ne Il flauto magico - opera gastronomica, ogni personaggio o elemento simbolico offre il pretesto per una ricetta, tradizionale o di nostra invenzione."

Riroverete tracce abbondanti di questi due libri deliziosi per tutto questo speciale.

Ci limiteremo dunque, come tanti altri, a pochi e brevi riferimenti all'opera che forse più di tutte mostra il senso dei suoi riferimenti gastronomici e ne mostra gli aspetti più profondi. Per Don Giovanni eros e cibo vanno a braccetto. Dove ci sono donne da conquistare ci sono feste, banchetti, cibi e vini.

Lo stesso estensore dell'articolo Wolfgang Amadeus Mozart e le dolci note, apparso nel bel sito Internet Taccuini Storici (http://www.taccuinistorici.it/newsbrowser.php?news_id=250&news_dove=3) ribadisce il concetto, forse esasperando un po', a favore del cibo, l'innegabile, inscindibile equilibrio dei due piaceri dongiovanneschi:

"Nel Don Giovanni, una delle più favoleggiate commedie dal settecento ad oggi, del gran seduttore viene messo in evidenza più l'amore per il cibo che le sue capacità amatorie. Il compositore lo punisce non per i peccati amorosi, ma per i peccati di gola. Un susseguirsi di pranzi e cene, feste e banchetti, con una cucina ricca e sontuosa, in cui Don Giovanni non lesina grassi, condimenti o vini, perché l'opulenza, nasconde un esaltante potere afrodisiaco."

Don Giovanni a tavola Don Giovanni, teso alla conquista di Zerlina, ordina a Leporello di distrarre Masetto, promesso sposo di Zerlina, e tutta la compagnia, offrendo loro ogni sorta di piacere e comodità:

va' con costor: nel mio palazzo conducili sul fatto. Ordina ch'abbiano cioccolatte, caffè, vini, presciutti. cerca divertir tutti. Mostra loro il giardino, la galleria, le camere; in effetto, fa' che resti contento il mio Masetto.Hai capito?

Più tardi, insiste, aggiungendo "confetti" e "sorbetti", non senza aver prima precisato la sua filosofia circa la necessità della concorrenza dei piaceri per formare un vero libertino:

Fin ch'han del vino calda la testa, una gran festa fa' preparar. Se trovi in piazza qualche ragazza, teco ancor quella cerca menar…Ed io frattanto, dall'altro canto, con questa e quella vo' amoreggiar.

Non basta. Sfidato dallo spirito del Commendatore ucciso in duello a recarsi a cena da lui, consapevole che il cimento a cui viene sfidato potrebbe essergli fatale e dannarlo per sempre, Don Giovanni accoglie la sfida senza tentennamenti (è in gioco la libertà, la sua libertà di libertino che non ammette limiti, a costo della vita) invitando a sua volta il Commendatore a cena a casa sua.
La sera convenuta da' ordine che venga allestita, per due, una cena sontuosa, innaffiata dai vini migliori. Consapevole o meno della sorte che lo attende, l'impenitente libertino non rinuncia, fino all'ultimo, ai suoi piaceri: "Già la mensa è preparata. Voi suonate, amici cari: giacché spendo i miei danari io mi voglio divertir. Leporello, presto in tavola!" E i "bocconi da gigante", i "pezzi di fagiano", l'"eccellente Marzimino" si susseguono, tra inni ai piaceri e fermezza nel loro godimento, senza pentimenti, fino alla morte: (a Donna Elvira) "Lascia ch'io mangi, e, se ti piace, mangia con me", "Vivan le femmine! Viva il buon vino! Sostegno e gloria d'umanità!".
E al Commendatore che, al motto di "Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste", lo invita, senza appello, al pentimento, la replica di Don Giovanni è secca e netta:

- Pentiti, scellerato
- No, vecchio infatuato! -
- Pentiti! -
- No -
- Sì -
- No -
- Ah! Tempo più non v'è! -

Il Commendatore sparisce, la terra s'apre e inghiotte Don Giovanni tra lingue di fuoco infernali. Egli soccombe, inneggiando senza pentimenti, ai piaceri della vita, alle femmine, al buon vino.
La morale dovuta e pretesa (ma per Mozart l'opera era finita lì) era scontata: "Questo è il fin di chi fa mal! E de' perfidi la morte alla vita è sempre ugual!".
A dispetto di questa inevitabile morale, le lettere - e la vita - ci presentano un altro Mozart, quello che vede Siciliano nell'Introduzione alle lettere, lo stesso Siciliano che, senza contraddizione alcuna, aveva intravisto nella sua musica il segno, l'impronta divina:

"C'era un demone in Mozart: il demone dongiovannesco, un'allerta continua a osservare e osservarsi, a compiacersi di astuzie audaci pur di catturare per sé, soltanto per sé, la soddisfazione multipla del desiderio…pura natura…Il genio di Mozart è confitto in una magnifica pubertà: in essa trovava cibo il suo demone dongiovannesco (e d'atronde, dove, di cosa avrebbe potuto nutrirsi?). Eppure, quel demone, quel notturno visitatore, era spesso costretto a dileguarsi. Otteneva la sua disfatta un vivace sentimento rivolto alle più semplici grazie della vita, robusto quanto un bisogno fisico il quale, sia fame sia sete, è facile si trasformi in ingordigia"


invia questo articolo   






[I ricettari dagli utenti]

aggiornato al 24.02.2009 info@mensamagazine.it - MenSA 1997-2007©

Valid CSS!