Uno storico ristorante-editore fiorentino
Marino Parenti: un bibliofilo a tavola
Prima parte
di Massimo Gatta
Nessuna definizione chiarisce forse meglio lo stretto legame esistente tra Marino Parenti e la gastronomia di quella offerta da Orio Vergani: un uomo dai cento sapori, definizione utilizzata di recente da Walter Canavesio nel suo ritratto biografico di Parenti. Scrittore, saggista, bibliografo, collezionista, giornalista, editore, libraio, memorialista, financo pittore (mi piace di quest'uomo tutto libri e letteratura, la pittura antiletteraria, come scrisse ancora Vergani), sembra davvero difficile se non impossibile, nel suo caso, giungere ad una definizione univoca che inglobi i tanti campi d'interesse che lo videro sempre protagonista assoluto.Per lui è giusto forse tirare in ballo l'antica definizione di umanista, perché tale fu. Ma il Parenti di cui voglio trattare è quello legato alla gastronomia, all'arte della cucina, alla convivialità intrinseca alla tavola, una tavola da dividere con gli amici ma anche pretesto per fare letteratura, aneddotica, storia. Insomma in Parenti ogni occasione sembra tramutarsi, alchemicamente, in scrittura, in bisogno di testimoniare, in racconto bibliografico, in aneddotica colta. In fondo tutto ciò ci riporta ad un'epoca in cui effettivamente la civiltà della tavola, delle trattorie e dei caffè, una civiltà essenzialmente artistico-letteraria, era nel suo pieno fulgore, in seguito sarebbe lentamente e inesorabilmente decaduta e infine scomparsa. Senza voler adesso entrare nello specifico, ad esempio, dei premi Bagutta e dell'Antico Fattore, che saranno oggetto di specifici articoli, voglio almeno ricordare l'esperienza romana dell'osteria gestita dai fratelli Menghi nel dopoguerra fino alle prime luci del miracolo economico, frequentata da una ricca e variopinta boème artistica e letteraria e a cui Ugo Pirro ha dedicato un poetico libro. Accanto al mondo delle trattorie esiste una analoga, e per certi versi ancor più antica e prestigiosa, civiltà dei caffé letterari, cenacoli di grandi e piccole, e a volte utopistiche, visioni del mondo; centri propulsori di grandi energie creative, spesso disperate.
Ma torniamo a Marino Parenti. Per molti anni egli fu in stretti rapporti professionali con la casa editrice Sansoni di Firenze, di cui oltre che brillante collaboratore è anche direttore di collane. Egli è persona essenzialmente di sapori, di gusti, di palato. Siano opere letterarie, scrittori, edizioni, quello che lo colpisce è il sapore di queste opere, di questi scrittori, di queste edizioni. Sia sul versante letterario che su quello bibliografico, a lui congeniale, questo suo gusto si traduce sempre in scrittura, o in proposte e progetti saggistici. Ma, lo abbiamo già notato, ciò rientra nello zeitgeist del tempo, un'epoca essenzialmente votata al piacere del dialogo, della conversazione, dello scambio di idee e programmi, meglio ancora se nati intorno al tavolino di un caffè o di una trattoria. Esempio eclatante di ciò e manifesto dei suoi anni milanesi di cui divenne "il Tito Livio", con tutto il notevole successo di pubblico che ottenne, è il volume del 1928 dedicato a Bagutta, a cui dedicheremo uno specifico articolo.
Lo stretto legame tra Parenti e il vasto mondo della gastronomia avrà però modo di esprimersi, molti anni dopo, con quella che è da considererarsi una delle più interessanti, curiose e poco note, iniziative editoriali a sfondo culinario nate a metà del secolo scorso, mi riferisco alla collana "Biblioteca Gastronomica Sabatiniana", edita sotto gli auspici della delegazione toscana dell'Accademia Italiana della Cucina (di cui Parenti è membro insieme a Enrico Pea, Umberto Benedetto e Enrico Vallecchi), che Parenti crea e dirige dal 1957 al 1963, pubblicandovi sette titoli, per conto del ristorante fiorentino Sabatini. Scopo dell'Accademia era quello di valorizzare la cucina italiana. Promotori dell'istituzione furono Vergani, Cesare Chiodi, Ernesto Donà dalle Rose, Dino Villani e Severino Pagani. Nel 1957 l'Accademia organizzò la prima mostra nazionale su "L'arte e il Convito"; la sezione bibliofila, stranamente, non venne però affidata a Parenti ma a Sandro Piantanida.
Questo storico ristorante toscano fu aperto nel 1924 in Via Valfonda, per poi trasferirsi nel 1932 in occasione dei lavori di costruzione della nuova stazione di S. Maria Novella. L'ultima trasformazione risale al 1966, quando viene chiuso il giardino sul retro per consentire un nuovo allestimento in stile classico. Gestito agli inizi dalla famiglia Sabatini, dal 1978 ne è titolare la Società FIVE di Franca Quinté, che ha mantenuto gli arredi e il carattere di tipico ristorante regionale. Parenti inizia nel 1957 la collana BGS che, fino al Natale del 1963, pubblicherà brevi scritti tutti a sua firma, stampati a Firenze dalla tipografia Civelli. La BGS proseguirà, però, fino agli anni '70 con titoli firmati da Giovanni Gelati ma editi a Livorno da Berforte. L'impianto strettamente tipografico di questa collana gastronomica risente, soprattutto durante la direzione parentiana, dell'influsso della Sansoni, di cui stilisticamente ricorda la collana Biblioteca Bibliografica Italiana, diretta dallo stesso Parenti. Questi eleganti opuscoli illustrati di storie gastronomiche erano in realtà omaggi non venali che Vincenzo e Anna Maria Sabatini offrivano ai propri clienti (all'epoca il locale era in via Panzani 41-43, come risulta dai colophon) come cadeau in occasione delle festività natalizie. Sette sono i titoli firmati da Parenti che costituiscono, in effetti, il periodo aureo della collana, improntata al suo gusto e alle sue scelte tematiche e da lui curata in ogni aspetto, dal formato alla stampa, dalle illustrazioni alla copertina, ai fregi alla tiratura limitatissima anche se non dichiarata.
I "Dodici Apostoli" riuniti al Ristorante Sabatini di Firenze (1960)
Ai primi mesi del '54 risale la fondazione del cenacolo dei "Dodici Apostoli", che si riunivano, una volta al mese, proprio da Sabatini. Ogni componenti rappresentava un'arte (Parenti le Lettere) e a turno ciascuno recitava la figura dell'Apostolo, del Cristo o del Giuda, quest'ultimo interveniva facendo la parte del critico oppositore (nel 1954 Malaparte interpretò il Cristo e Adriano Seroni fece Giuda). Veniva anche premiato annualmente un personaggio che si era distinto nella propria professione: tra i premiati figurano, tra gli altri, il direttore d'orchestra Mitropulos, Vergani e Vittorio De Sica.
Il primo di questi opuscoli è dedicato, e non poteva non essere altrimenti, al pranzo di Natale. In esso lo scrittore si dilunga, in principio, sulle grandi e celebri raccolte di libri di cucina e sui classici repertori di gastronomia. Ma, confessa Parenti, gli esperimenti di archeologia gastronomica non gli sono mai andati a genio. Comunque sia in occasione del Natale l'autore riprende in mano qualcuno di quei celebri trattati e ricettari più o meno antichi alla ricerca di suggerimenti gastronomici per le festività. Parenti si dilunga ad esempio su La scienza in cucina di Pellegrino Artusi, per poi passare al celebre manuale di cucina di Bartolomeo Scappi, che fu cuoco segreto del Papa Pio Quinto e Parenti giustamente riproduce, nell'opuscolo, alcune incisioni tratte da quel manuale. Questo breve scritto di Parenti verrà ristampato nel 1963 con altro titolo.
Per il Natale 1958, invece, Parenti ci intrattiene sulla figura del trinciante, come veniva chiamato colui che alle nobili tavole rinascimentali era addetto al taglio delle carni e che, insieme allo scalco e al coppiere, costituiva la triade professionale di quei ricchi e opulenti convivi. Per parlarci di ciò l'autore prende spunto da una celebre opera rinascimentale di Vincenzo Cervio, che fu appunto trinciante del Cardinale Farnese e che con l'opera dello Scappi rappresenta "il più illustre testo "professionale" del maturo '500", come scrive Luigi Firpo.
Per il successivo appuntamento natalizio del '59 Parenti regala ai suoi lettori una simpatica conversazione dedicata a Bacco e al valore primordiale e simbolico del brindisi. Partendo ovviamente dal Bacco in Toscana del Redi, l'autore si diverte poi a curiosare nel "cassetto" della letteratura minore, che era in fondo la sua specialità, per tirarne fuori qualche chicca. Ecco apparire uno sconosciuto Pietro Domenico Bartoloni, ministro del granduca di Toscana a Praga, col suo Bacco in Boemia scritto in lode del vino di Melnich, mentre un Bacco in Brianza verrà celebrato dal Bertini. Nelle Americhe, intanto, Bacco si spingerà grazie ai versi del marchese Marcello Malaspina (Bacco in America), mentre incompiuto resterà, dello stesso, quel Bacco, che ritorna dall'America.
Agli stomaci capienti e robusti è invece dedicato l'opuscolo del '60. Lo stomaco a cui fa riferimento è quello di uno qualsiasi dei convitati ai banchetti rinascimentali, costretto a subire ben diciotto portate e la cui semplice lettura, ci dice Parenti, basterebbe in pieno secolo ventesimo a farci fare un'indigestione. Lo spunto è, come sempre, storico e riguarda l'opera cinquecentesca di Bernardino Coria dedicata a Milano, scritta per incarico di Lodovico il Moro.
Di ben diverso tenore è l'appuntamento natalizio del '61 dove il bibliografo fiorentino ricorda l'antica Scuola Medica Salernitana e le cui norme sono ormai entrate nel dominio della saggezza popolare. In questo scritto l'autore partendo dal codice latino di epoca medievale appunta la sua attenzione sulla volgarizzazione di epoca moderna, l'ultima edizione fatta a Napoli nel 1789, dal medico e poeta Tarquinio Vulpes (Pescocostanzo 1766-1836), un'altra di quelle figure minori tanto care al Parenti. Sui vini, ad esempio, illuminante appare una ricetta di buon senso: "Oltre il color, l'odore, / Il candore, il sapore, / Principio con cinque F abbiano i vini: / Fragranti, freschi, freddi, forti e fini".
Ancora dedicato al vino è l'appuntamento del Natale successivo, dove lo scrittore prende di mira uno dei grandi trattati sul cibo e il vino, opera sempre cinquecentesca di Baldassarre Pisanelli e dedicato a Guglielmo Gonzaga, Duca di Mantova. Un libro difficilmente classificabile secondo Parenti, teso tra la medicina e la gastronomia, la scienza e l'empirismo, ma anche tra il gusto in generale e quello di sollecitare gli appetiti in particolare. L'importanza del Pisanelli risiede anche nel fatto che fu allievo sia di Ulisse Aldrovandi che di Anton Maria Alberghini. La sua fama è legata proprio a quest' opera sul cibo e sul bere e può essere considerata precorritrice di tutta la trattatistica dietetica. Simpatico è poi il fatto, scrive Parenti, che Pisanelli, nel suo trattato, "sembra non voler opporre ostacoli eccessivi all'uso del vino, per il quale doveva avere un certo trasporto. Tant'è vero che, quando gli toccò parlare dell'acqua, s'interessò soltanto di quella piovana".
L'ultimo appuntamento con la "Biblioteca Gastronomica Sabatiniana" Parenti lo dedica, nel 1963, a Olindo Guerrini e al suo celebre libro sugli avanzi di cucina. Questo piccolo classico sulla cucina povera fu pubblicato da Formìggini, trasferitosi nella sede romana, e uscì postumo in quanto l'autore era morto nel 1916. L'opera dell'eclettico bibliotecario bolognese ebbe l'incoraggiamento di Pellegrino Artusi che lo spinse a dare all'Italia un equivalente del francese Art d'accomoder les restes.
Parenti non poteva concludere meglio la sua collana gastronomica occupandosi di questo divertente e completo ricettario culinario, scritto da un uomo e studioso al quale egli forse si sentiva particolarmente affine.
Con Olindo Guerrini si conclude l'esperienza, targata Marino Parenti, di collaborazione con lo storico ristorante-editore fiorentino Sabatini e la sua collana della "Biblioteca Gastronomica Sabatiniana".
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