Editoriale
Aspettando la carta dei caffè
di Giancarlo Roversi
"Il caffè è un piacere, ma se non è buono che piacere è?" Tutti ricordano certamente questo simpatico spot, ma per i ristoranti è ancora una chimera.
È quanto emerge dallo studio di Eta Meta Research per Bargiornale, il mensile più accreditato nel mondo dei consumi away from home. Lo studio è stato condotto su 142 ristoranti, selezionati tra quelli presenti su almeno due delle più importanti guide del settore (Michelin, Gambero Rosso, Veronelli, Espresso e Piccinardi). Sono infatti i Guide Restaurant a rappresentare il campione delle ricerche che appariranno sulle pagine di Bargiornale, ovvero i ristoranti che dettano le regole in tema di nuove mode e delle tendenze più innovative.
Menù, carte dei vini, delle acque, dei dolci, dei distillati, degli oli: nell'alta ristorazione si moltiplicano le opportunità di scelta proposte alla clientela che viene subissata da una ricca gamma di menù.
Massima attenzione nella presentazione dei piatti e nella scelta dei vini, ma ancora indietro la cultura su una delle bevande simbolo dell'Italia come il caffè.
Il grancaffè del Sant'Eustachio di Roma |
Il 91 %, infatti, non ha una carta dei caffè e anche quell'9% che dice di utilizzare una carta diversa dal normale menù spesso (33,3%) mette in un'unica lista tutte le bevande (caffè compreso). Insomma sembra che per una delle bevande simbolo dell'italian life style ancora ci sia poca considerazione tra i grandi chef. A sorpresa questo vale anche al sud, dove la "tazuriellàe caffè" è da sempre considerato un rito irrinunciabile. Più attenti sono infatti i grandi ristoranti del centro Italia (soprattutto in Lazio e in Toscana). Questo non vuol dire che al cliente non venga data la possibilità di scelta: i grandi ristoranti, in media, propongono tra i 4 e gli 8 tipi di miscele diverse come coronamento della perfetta cena (in entrambi i casi il 16,7% dei ristoranti interpellati). C'è anche chi arriva a mettere in lista 10 diverse miscele o tipi di caffè (circa l'8%), in questo caso è la Sicilia a dimostrarsi più attenta al palato della clientela, anche se in generale la maggior offerta in termini di varietà spetta ancora alla Toscana (il 66% dei ristoranti di fascia alta ne offre almeno 4 tipi diversi) e al Lazio (un grande ristorante su tre arriva a proporne 8 varietà).
Ad un'offerta così ricca non corrisponde però un altrettanto approfondita "cultura del caffè": se nei grandi ristoranti ci si aspetta di essere consigliati sui perfetti abbinamenti tra vino e cibo o addirittura su acqua e vino, non si devono avere le medesime aspettative in merito al caffè.
Le informazioni che sono in grado di dare alla clientela sono veramente ridotte: nei menù, quando è indicato qualcosa sul caffè, le informazioni si limitano al tipo di miscela (83,3%), o, al massimo ne vengono descritte le caratteristiche qualitative (50%), così come solo la metà scrive la provenienza geografica del o dei caffè proposto. In questo caso i più attenti e ricchi di informazioni sembrano essere i grandi ristoranti del Lazio: la quasi totalità inserisce nel menù informazioni sul tipo di miscela e la provenienza geografica. Il 33% aggiunge anche le caratteristiche qualitative.
Solo 2 grandi ristoranti su 10 affidano la preparazione ad una persona specifica, e alla domanda se la miscela è un'arabica mono-origine, ben 6 su 10 non sa cosa rispondere. Non solo: difficilmente sono in grado di fornire informazioni più specifiche sulla provenienza geografica o sul cru. Insomma il ristoratore non è quasi mai un esperto o un conoscitore di caffè, anche se ci sono ristoranti che ne offrono ormai anche 10 diversi tipi e per il 67% la qualità della miscela e il gusto (35%) sono il criterio base nella scelta. E la patria del miglior caffè? A sorpresa non sono i ristoranti dove la tazzulella 'e caffé è un rito, ovvero quelli del Sud, ma quelli delle regioni del centro, soprattutto Lazio e Toscana.
Un mito da sfatare quindi? Incredibile ma vero.
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