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Ugo Tognazzi: abbuffate, amore e fantasia

L'uomo mangia anche con gli occhi, specie se la cameriera è carina
Ugo Tognazzi

L'abbuffone L'abbuffone L'abbuffone Afrodite in cucina Afrodite in cucina
15 anni fa (sembra ieri, ma lungo come una vita) ci lasciava, troppo presto, Ugo Tognazzi, genio e talento che ingigantiscono col tempo, a rivederlo, a ripensarlo, a rileggerlo. Se non altro in questo volle essere, suo malgrado (considerando la gioia e la passione del vivere che lo illuminava e che trasmetteva), il primo a salutare la compagnia dei magnifici cinque della grande commedia italiana (su ogni schermo e palcoscenico). Come attore fu, si dice di molti, ma è vero, per lui e per gli altri grandi, davvero unico, come ciascuno dei suoi pari. Di quel quintetto (con lui Gassmann, Manfredi, Mastroianni, Sordi) che sommava tutte le possibili varianti umane e interpretative offerte dal teatro e dal cinema (ma, per Tognazzi soprattutto, del primo Tognazzi, anche dalla televisione, che lo vide tra i primi, indiscussi, grandi protagonisti), Ugo fu forse "il più eclettico, capace di spaziare su qualunque registro interpretando i più svariati tipi, dal maturo ingegnere che si perde dietro una ragazzina de "La voglia matta" (1962, ancora firmato da Salce) allo sventurato protagonista de "L'ape regina" (1963; il film che segna l'inizio del suo straordinario sodalizio con Marco Ferreri), dalle grottesche caratterizzazioni de "I mostri" (1963) di Dino Risi all'impietoso ritratto di borghese in foia nell'amaro "La bambolona" (1968) di Franco Giraldi., non disdegnando quei personaggi sgradevoli (l'imbonitore da fiera del superbo "La donna scimmia", 1964, di Ferreri od il sessuomane incauto dell'aspro "Venga a prendere il caffè... da noi", 1970, di Alberto Lattuada) evitati come la peste da altri suoi celebri colleghi, Tognazzi viene premiato con la Palma d'Oro del miglior interprete a Cannes per "La tragedia di un uomo ridicolo" (1981) di Bernardo Bertolucci, ma conosce i suoi successi più grandi grazie alle serie inaugurate da "Amici miei" (1975) di Mario Monicelli ed "Il vizietto" (1978) di Edouard Molinaro." (cfr: Ugo Tognazzi. Biografia,
www.italica.rai.it/cinema/biografie/tognazzi.htm).

Come gastronomo e cuoco, oltre ai ricordi dei colleghi, del suo ricco, talentuoso e vario parentado, degli amici, rimangono le testimonianze consegnate a due libri. Recentemente (e giustamente) riproposti al pubblico italiano da due editori "minori" cavesi e dello stesso ceppo, i due volumi, al di là della piacevole, divertente e mai pretenziosa scrittura (soprattutto ne L'abbuffone), ci offrono l'immagine di un cuoco e un gourmet dichiaratamente appassionato all'inverosimile della cucina e del buon gusto a tavola (passione che superava forse ancor più quella nutrita per le belle donne - e parliamo di un grande "esperto" di cose amorose - e del suo Milan, che, a sentir lui, lo catturò che aveva tre giorni di vita!, cfr. L'abbuffone, nella prefazione). La sua è una cucina eclettica, come la sua recitazione, attenta alla tradizione (dell'alta cucina, ma anche di molti piatti "borghesi" e "popolari", senza particolari predilezioni geografiche e di pietanze, pur dovendo registrare - d'altra parte il secondo dei suoi libri lo richiedeva, secondo tradizione appunto - la rilevante presenza di risotti, di tartufi, di crostacei), ma capace di variazioni e invenzioni spesso sorprendenti e rivelatrici di autentiche, vaste e profonde conoscenze culinarie e capacità tutt'altro che libresche e "teoriche". MenSa ve ne propone un saggio, ricavando proprio dai suoi libri il Menu di Natale 2005. Provare per credere. Prima, però, godetevi un piccolo assaggi anche della sua scrittura.

PREFAZIONE

Nella mia casa di Velletri c'è un enorme frigorifero che sfugge alle regole della società dei consumi. Non è un " philcone ", uno spettacolare frigorifero panciuto color bianco polare. È di legno, e occupa una intera parete della grande cucina.
Dalle quattro finestrelle si può spiarne l'interno, e bearsi della vista degli insaccati, dei formaggi, dei vitelli, dei quarti di manzo che pendono, maestosi, dai lucidi ganci.
Questo frigorifero è la mia cappella di famiglia.
Capita che ogni tanto, di mattina, mia moglie mi sorprenda inginocchiato davanti a questo feticcio, a questo totem dell'umana avventura. Me ne sto lì, raccolto in contemplazione, in attesa d'una ispirazione per il pranzo...
Questa immagine, indubbiamente paradossale, può darvi una idea di quanto ascetico sia il mio attaccamento ai prosaici piaceri della tavola, e quindi della vita; e di come, in fondo, io sia da considerare un martire del focolare, anche se sulle braci roventi, in genere, non amo disporre la mia persona ma, sia pur con infinita cura, bracioline di vitellino da latte.
Ho la cucina nel sangue. Il quale, penso, comprenderà senz'altro globuli rossi e globuli bianchi, ma nel mio caso anche una discreta percentuale di salsa di pomodoro.
Io ho il vizio del fornello. Sono malato di spaghettite. Per me la cucina è la stanza più shocking della casa. Nessuno più di me capì l'ermetismo di Quasimodo: per una oliva pallida io posso realmente delirare. Conosco le entrate di servizio e i cuochi dei migliori ristoranti d'Europa.
L'attore? A volte mi sembra di farlo per hobby. Mangiare no: io mangio per vivere…

Da: Ugo Tognazzi. L'abbuffone. Milano, Rizzoli, 1974 (ripubbl.: L'abbuffone. Storie da ridere e ricette da morire. Cava Dei Tirreni, Avagliano, 2004)

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