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La storia editoriale di Venere in cucina di Pilaff Bey
Una Venere piccante nella cucina di Norman Douglas
di Massimo Gatta


Venus in the Kitchen or Love's Cookery Book La storia editoriale di Venus in the Kitchen or Love's Cookery Book, dello scrittore scozzese Norman Douglas (1868-1952), parte da molto lontano e precisamente da una fredda sera fiorentina dell'inverno del '29 quando Giuseppe (Pino) Orioli, raffinato libraio antiquario ed editore di Alfonsine (che ironicamente Montale definisce "quel tipo d'italiano da commedia dell'arte che gli inglesi credono il solo autentico"), e grande amico di Douglas, organizza una cena alla quale era presente anche Faith MacKenzie, moglie di Compton, che lo scrittore aveva conosciuto a Londra nel '12 quando lavorava alla "English Review". Fu quella una cena molto piccante, nello stile delle àgapi alle quali partecipavano Douglas, Orioli e i loro amici, amanti e cultori di limericks e aneddoti salaci.
Già all'epoca Douglas godeva fama di coltissimo libertino, morale e culturale, di un libertinaggio anche mentale, amante e conoscitore della cucina, del buon vino, della natura e dei bei ragazzi, scrittore raffinato e viaggiatore cosmopolita, con vaste conoscenze scientifiche, che con Orioli aveva in programma la pubblicazione di alcuni suoi libri per collezionisti.

Un personaggio a dir poco unico e del quale Mario Praz scrive: "Con Douglas bisogna cominciare rifacendosi dai Santi padri della gaia scienza settecentesca. Il Douglas me lo riesco a immaginare bene contemporaneo dell'Algarotti e del Diderot, pronto a discutere su ogni argomento, dotato d'un fiuto sovrumano per ciò che è vitale e caratteristico: in breve, quel tipo d'uomo che i cervelli gravi e ruminanti chiamano, con una venatura di disprezzo, un dilettante, un curioso".
Un personaggio che non a caso scelse di vivere gran parte della sua vita, e fino alla morte, a Capri, dove sacra era la cultura dell'ospitalità e del buon vivere. Anche Graham Greene, amico di Douglas, imparò ad amare quest'isola, la sua cucina e il suo vino.

Agli inizi della sua esperienza isolana, però, Douglas aveva giudicato il vino caprese "acidulo e malsano", ma con gli anni imparò ad amarlo e cambiò opinione. I vecchi vitigni lentamente lasciarono il posto ai nuovi, e lo scrittore divenne un esperto nel riconoscere quelli provenienti dall'Arco Naturale, o da Gasto, dalla Torina, da Tiberio, dalla Migliora o dalla zona di Torre di Materia. Amava gustare quei vini in piccole bettole o nelle numerose trattorie di cui l'isola era piena. In esse avevano trascorso gran parte del loro tempo generazioni di scrittori, espatriati, artisti, musicisti, rivoluzionari. Sarà questo ad affascinare anche lo scrittore tedesco Hans Barth, che di locali analoghi riempì la sua famosa Guida.


Douglas ricorderà Barth e la sua Guida in Looking back. An Autobiographical Excursion, e scrive: "Fu lui [S. Warminski, N.d.A.] a mandarmi, il 14 luglio - estate - del 1902, la guida tedesca alle osterie italiane scritta dal dott. Hans Barth (sulla simpatica copertina, un giovane Bacco di Allers, ch'è un altro mio amico morto), con una nota caratteristica che comincia "Illustrissimo, carissimo Herr Douglas", e passa poi a raccomandarmi certi ristoranti degni di nota. Il libretto del dott. Barth, di sole 68 pagine, riapparve nel 1921 in una versione italiana arricchita, di 286 pagine, con il titolo Osteria: Guida spirituale delle Osterie italiane da Verona a Capri. Una "guida spirituale", appunto. C'è una prefazione, una rapsodia enofila, di D'Annunzio. […] I turisti amanti del vino, che non sono disposti a lasciarsi avvelenare dai vini locali artificiali, dovrebbero far tesoro di questa "guida", come di un'appendice al Baedeker".
Dai tempi del soggiorno di Barth l'isola era molto cambiata, assumendo sempre più l'aspetto di una colorata cartolina per turisti. Ma l'anziano Douglas continuava ad amare e a frequentare le semplici osterie, magari quelle appollaiate sui dirupi dell'isola, a bere del buon vino locale come quello della bella Carmelina, offertogli nel suo piccolo ristorante sullo strapiombo del salto di Tiberio. Alcune belle foto hanno immortalato i due anziani e ridenti amici nell'atto di brindare con un bicchiere di vino.
Lo scrittore era un amante della buona cucina che ricercava nei grandi e piccoli ristoranti in giro per il mondo. Con piacere scambiava, in lettere o a voce, ricette e considerazioni culinarie con i suoi amici letterati, come ad esempio Joseph Conrad, che in una lettera del 1908 gli chiede suggerimenti su come cucinare sauerkraut, frankfurt sausages, e chourcroute, che lo stesso Douglas gli aveva portato da un viaggio in Germania. Conrad, del resto, era anch'egli un cultore di gastronomia al punto da scrivere, nel '21, la prefazione a Simple Cooking Precepts for Little House della moglie Jessie, e amava dire che "[…] lo scopo di un libro di cucina […] è quello di contribuire alla felicità dell'uomo con cibi semplici".


Il libraio Pino Orioli proprio nel 1929 aveva fondato a Firenze una preziosa casa editrice, "The Lungarno Series", conosciuta e ammirata dai bibliofili di ogni Paese. L'impresa durerà fino al '37 comprendendo solo 12 titoli, fino ad allora inediti, di scrittori inglesi, tra i quali alcuni già ampiamente noti come D.H. Lawrence (di cui Orioli pubblicherà, in prima edizione, Lady Chatterley's Lover), lo stesso Douglas, W.S. Maugham, R. Aldington. Anche Orioli vi pubblicherà in inglese le sue memorie, Adventures of a Bookseller, edite in seguito in italiano nella raffinata casa editrice di Gian Dàuli. Il volume Venus in the Kitchen or Love's Cookery Book, secondo Roberto Palazzi, doveva essere sicuramente il n.13 della "Lungarno Series", ma poi non se ne fece nulla.

Quella sera del '29, dunque, Orioli fece circolare tra gli amici un vecchio libro sgualcito, acquistato per pochi soldi su una bancarella. Si trattava di uno strano ricettario che fece subito colpo amici, in particolare su Douglas, che da tempo raccoglieva per suo gusto ricette afrodisiache. Il libretto che Orioli mostrò era La Cucina dell'Amore del medico Omero Rompini, il cui sottotitolo è tutto un programma: Manuale culinario afrodisiaco per gli adulti dei due sessi. Rigenerazione fisica, virilità e giovinezza ricuperate per l'impiego appropriato dei cibi, condimenti, aromi, salse ecc. Formule storiche, afrodisiaci igienici prodigiosi, bibite e profumi eccitanti, suggestioni e rinvigoritori sessuali. Già dall'indice ci si rende conto dell'ampiezza delle offerte afrodisiache non disgiunte da una ricca raccolta di ricette: la Cucina di Citera, ricette di vivande, di dolciumi, zuppe afrodisiache, le uova, i tartufi, per una bionda, per una bruna, bibite riconfortanti, consiglio per uomini deboli e per finire un desinare ai tempi di Enrico II. Il libro è anche lo specchio di ciò che era, allora come in seguito, il chiodo fisso dei tanti Don Giovanni in Sicilia e in genere dell'uomo gaudente e voluttuoso: come mantenere inalterata nel tempo la propria virilità, quali strumenti utilizzare, come aiutare il fisico e la mente, ma anche rimedio e sogno per una vita lussuosa e voluttuosa che il regime autarchico impediva (garantendolo però ai ricchi e alle alte sfere del fascismo): "Ne La cucina dell'amore sopravvive quel mondo, spumeggiante e un po' irresponsabile, che era passato non senza lasciare qualche rimpianto, specialmente in chi, come Norman Douglas o Giuseppe Orioli, non riuscì mai ad entusiasmarsi né di fronte all'ideologia, né di fronte alla cucina dell'Italia fascista".

Fu allora che nello sguardo di Orioli brillò una piccola luce: chi lo avesse tradotto lo avrebbe anche visto pubblicato nelle edizioni della sua "Lungarno Series", così disse agli amici. Era una simpatica sfida e chi l'avesse raccolta ne sarebbe stato ampiamente ricompensato. Era da molto tempo che lo scrittore scozzese andava raccogliendo ricette di ogni tempo e Paese che avessero valore afrodisiaco, una millenaria tradizione che il nostro Norman coltivava per puro piacere, come del resto faceva con i vari e ampi interessi culturali e scientifici che lo animavano fin dall'infanzia. Anche se nell'intimo era (giustamente) convinto che "Il migliore afrodisiaco ch'io conosca è la carne fresca. E' la varietà. Funziona!", intendimento che volutamente opponeva a quello di Giovanni Cassiano che nelle Conferenze spirituali scrisse che bisognava: "[…] impedire che il cibo accenda in noi il fuoco della concupiscenza carnale". E altrove Douglas aveva giustamente scritto: "Se vuoi essere giovane, bisogna che tu viva con i giovani e fugga i vecchi con i loro malanni e i loro dolori, la loro irascibilità e i loro espedienti per ritrovare la salute. I loro pensieri sono pieni di ricordi dai quali distillano una filosofia sciropposa e vana da rimbambiti; né mancherai di notare che nei loro consigli vi è una buona dose di invidia, l'invidia di coloro che vorrebbero ma non possono".

Furono in molti quella notte a raccogliere la sfida di Orioli: Douglas avrebbe scritto l'introduzione, Faith MacKenzie avrebbe cercato ricette simili da tradurre in inglese (altre se ne sarebbero aggiunte fornite da Mrs. Boythe), così come avrebbe fatto lo stesso Orioli, infine D.H. Lawrence, il suo inimical friend (di cui disse: "Era un omosessuale fuorviato, represso nell'infanzia da un ambiente puritano") si assunse invece il compito di illustrare il frontespizio. Scrive Douglas: "D.H. Lawrence painted for it a frontispiece depicting an obese, middle-aged woman shovelling something into a kitchen-oven with a small boy or devil (I forget which) at her side - a monstrously anti-aphrodisiac vision - but pure Lawrence". Lawrence dipinse il quadro nel gennaio del '29, come risulta da una lettera dello scrittore a Orioli del 14 gennaio. Douglas a sminuire ulteriormente la personalità letteraria dello scrittore così ne parla in un capolavoro di ironia ed eleganti allusioni: "Non molti anni fa incontrai nel sud della Francia un certo signor D.H. Lawrence, un pittore inglese che io interessai all'argomento che mi stv cuore e il cui aspetto diceva chiaramente che un trattamento basato su quante ricette io avevo raccolto gli sarebbe stato estremamente necessario".

Il titolo del libro c'era già: Venus in the Kitchen or Love's Cookery Book, che rimase per tutte le successive edizioni. Ma quello che apparve, postumo, nel novembre del '52, fu un volume lontano Venere in cuicnadal progetto iniziale del '29; un brogliaccio che Douglas modificò, integrò, riscrisse continuamente e che era già pronto per la stampa nell'estate del '30, stampa che però Orioli non riuscì a portare avanti. Così lo ricorda nell'autobiografia: "At this moment there is in my possession a curious typescript awaiting publication in the Lungarno Series. The title is Venus in the Kitchen or Love's Cookery Book, by Pilaff Bey, and there is a coloured frontispiece specially designed by D.H. Lawrence". Ma soprattutto l'edizione di William Heinemann non comprendeva la lunga e originale introduzione che Douglas si era ripromesso di scrivere e che scrisse, sostituita da poche pagine e nessun cenno è poi riservato a Orioli, morto nel frattempo, che ebbe il merito di aver messo in moto l'intero progetto.

Fortunatamente il libraio-editore riuscì a stampare, privately printed for subscriptors, in sole 250 copie firmate dall'autore, l'introduzione di Douglas, appunto Paneros. Some Words on Aphrodisiacs and the Like che, dopo le ricerche condotte per mesi dallo scrittore (la cui fonte principale era The Anatomy of Melancholy del 1621, di Robert Burton, ma anche Vogel, Plinio, Ovidio, Giovenale, Wier, Croll e altri Queer, but authentic, "strani, ma autentici", come Varignana, Lemnio, Pisanello, Gattinara, Helmontius, Weckerus), era diventato un piccolo saggio. Il gustoso libretto riportava emblematicamente (e direi eroticamente) la dedica a Lucrezio: To the Memory of Lucretius Who Was Poisoned By A Love-Philtre e, rivolgendosi ad un pubblico di cultori e bibliofili, veniva venduto al prezzo, molto alto all'epoca, di tre ghinee (la prima edizione inglese riportava al frontespizio una foto ovale dell'autore bambino, in realtà non era lui ma la sorella Mary: fu questa un'idea del burlone Norman).

Già il titolo glorificava la mitica pietra preziosa afrodisiaca, the blissful gem Paneros, che Metrodoro, discepolo di Epicuro, come ci ricorda Carlino, "tramandandoci le virtù, non volle palesarci la vera identità". E' qui che l'epicureo Douglas si lancia in una erudita scorribanda storico-culturale dove elettuari, filtri, elisir, misture e ricette vengono pazientemente indagate. Il ricettario afrodisiaco, edito postumo nel '52 e firmato con lo pseudonimo di Pilaff Bey, è un'altra cosa, soprattutto perché mutilo dell'introduzione dello scrittore. L'edizione contiene anche l'introduzione dell'amico Graham Greene, decorazioni di Bruce Roberts e due illustrazioni: il dipinto di D.H. Lawrence e una foto del '30 di Douglas con Orioli nel Voralberg. Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che il libro sia stato in gran parte scritto da Orioli, mentre Douglas, a sua volta, avrebbe scritto gran parte dell'autobiografia di Orioli. Nonostante la distanza dal progetto originario del '29 il libro venne definito da Faith MacKenzie un divertente manuale gastronomico.

Con una invidiabile prontezza editoriale Leo Longanesi pensò di pubblicare in italiano questo ricettario, affidandone la (bella) traduzione alla scrittrice Elena Canino, all'epoca una firma notevole. Paneros L'edizione, uscita a soli due anni dalla prima, era rilegata in tela con sovraccoperta e inserito in un cofanetto, entrambi con illustrazioni di Longanesi, che aveva realizzato anche le 15 tavole a colori all'interno. Riportava la prefazione di Greene, una breve introduzione del 1936 dello stesso Douglas, firmata Pilaff Bey, e una piccola aggiunta, sempre a firma P.B., del giugno 1951, nella quale l'autore ringrazia sia Faith Compton Mackenzie che Sybille Bedford. Venne anche ristampato accanto al frontespizio, ma in bianco e nero, il quadro di Lawrence, mentre erano assenti sia i due "Epitaffi" che la foto di Douglas con Orioli, inseriti nella prima edizione.

Sia Paneros che la Venus rappresentano l'alfa e l'omega della concezione epicurea che questo grande scrittore ebbe dell'esistenza. Una vita piena, intensa, dissipatrice, vissuta costantemente all'insegna del piacere, della bellezza e della consapevolezza della temutissima vecchiaia e che, almeno nelle intenzioni dell'autore, questi due strani libri avrebbero dovuto mantenere lontana.



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