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Editoriale
Nunc est bibendum...
di Giancarlo Roversi

Nunc est bibendum... con queste parole, entrate a far parte del patrimonio aforismatico non soltanto italiano, Orazio (Le Odi, I, 37) inizia una sua celebre lirica. La compose per inneggiare alla pace finalmente ritrovata dopo la fine dell'ultima guerra civile della Roma repubblicana, conclusasi nella tarda estate del 31 a. C. con la battaglia navale di Azio, nell'Epiro meridionale. A far trionfare le insegne romane fu la flotta di Ottaviano che sbaragliò quella di Antonio e Cleopatra, il cui duplice suicidio segnò di lì a poco il tragico epilogo di un'epoca storica.
E proprio la notizia della morte della regina d'Egitto, che libera Roma da un lungo incubo, è un'occasione da lungo attesa per fare abbondanti libagioni e innalzare agli dei propizi coppe e buccheri colmi di buon vino Cécubo, uno fra i preferiti di Orazio, o anche di Falerno, di Massico o addirittura dei preziosi nettari "esotici" di Chio o di Lesbo. Ma soprattutto è l'opportunità per scrivere un'ode destinata all'immortalità.

Casa dei Vettii - Pompei - Affresco

E' comunque vero che le parole d'esordio dell'elegia oraziana riecheggiano quelle di un antico canto conviviale greco di Alceo, vissuto tra il VII e il VI secolo a. C., di cui ci è pervenuto un frammento (libro V, 332).
"Ora bisogna ubriacarsi e bere a forza poichè è morto Mirsilo...", esclama il poeta, alludendo all'uccisione del tiranno di Mitilene, la città dell'isola di Lesbo di cui era originario lui stesso. Anche oggi il motto oraziano - assieme all'altrettanto famoso Nunc vino pellite curas (Ora affogate nel vino gli affanni) contenuto nelle Odi (I, 7,v. 31) - è rimasto intatto nella sua essenza evocativa e nella forte carica espressiva per denotare una circostanza o un clima di particolare tripudio in cui si debbono alzare i calici per festeggiare una persona o un evento o, più semplicemente, il momento rituale del brindisi a tavola. Un brindisi, ovviamente a base di vino, per restare fedeli allo spirito oraziano. Tutte le altre bevande, anche alcoliche, non hanno valore.

Ecco perchè è stato assunto come titolo dell'editoriale di questo numero di MenSA Magazine, che ha un suo nucleo dedicato alla vendemmia e al vino.
Del resto Orazio Flacco fra queste pagine non può non trovarsi a suo agio perchè, dopo duemila anni, ci appare ancora come un enolatra convinto. A dimostrarlo sono i numerosi riferimenti enologici che riemergono dalla sua opera, un autentico e appassionato inno alla vite e al suo frutto straordinario. Ma non poteva essere altrimenti per chi, nelle Epistole (I, 19, 2-3), scrive che "non possono piacere a lungo nè vivere i versi scritti dagli astemi"!
Il vino, quello più raro e apprezzato dagli antichi romani, viene riportato in scena da Orazio anche negli Epòdi, in un carme all'amico Gaio Mecenate, uomo politico e colto letterato, anche in questo caso per brindare a un successo militare, al trionfo di Cesare sui Galli:

O felice Mecenate quando sarà che io, esultante per la vittoria di Cesare - così piaccia a Giove - potrò bere con te, nel tuo splendido palazzo, il Cècubo riservato per i banchetti solenni mentre la lira suonerà unitamente ai flauti ...?
...Ragazzo, portaci coppe più capaci e vini di Chio o di Lesbo, oppure versaci quel Cècubo che blocca il vomito. Conviene sciogliere nel dolce vino di Lieo
[Bacco], l'ansia e le preoccupazioni per le sorti di Cesare!

E, sempre rivolto a Mecenate, ma nelle Odi, Orazio accenna a un altro vino famoso del suo tempo, che alcuni preferivano sorseggiare quando era invecchiato, il Màssico, prodotto fra Lazio e Campania la stessa zona da cui
Bacco con una coppa incisione XVI sec.
provenivano anche il Falerno e il Cècubo. Purtroppo "né le viti di Falerno né i colli di Formia alimentano i miei bicchieri", confessa in un'altra ode il poeta all'amico. Ma anche se Mecenate è avvezzo a bere il Cècubo e il "vino spremuto da torchio caleno", ossia proveniente dalla zona di Calvi in Campania, lo prega ugualmente di sorbire in tazze di poco pregio "il modesto vino della Sabina" dallo stesso poeta "suggellato in un'anfora greca".
Il vino si rivela portentoso per infondere coraggio nelle scelte importanti della vita e per vincere le afflizioni e le delusioni che si incontrano sul cammino. Se non altro è una fonte di consolazione. Per questo il poeta lo consiglia all'amico Lucio Munazio Planco, valente comandante militare, inviso a molti per i suoi voltafaccia, tanto da essere definito dallo storico Velleio un "malato di tradimento". Alludendo alla sua intenzione di abbandonare Roma, dove per lui il clima si era fatto molto difficile, lo sprona a non perdersi d'animo e a comportarsi da coraggioso come aveva fatto Teucro, figlio di Telamone. Naturalmente con l'aiuto di qualche tonificante bicchiere di vino:

...tu da saggio ricordati, o Planco, che devi porre fine alla tristezza ed agli affanni della vita con vino amabile, sia che ti trattengano gli accampamenti rilucenti d'insegne, sia quando sarai nella fitta ombra della tua Tivoli.

Anche in un'altra ode Orazio consiglia all'amico Quintilio Varo di affidarsi al vino per trarne conforto di fronte alle inevitabili pene del vivere. Però non alzando troppo il gomito...

E nelle Epistole (libro I) il poeta soggiunge:

Che non apre il bicchiere? Svela i segreti, adempie le speranze, sprona il vile alle battaglie, sgombra l'affanno dall'animo agitato, ispira le arti: a chi non danno facilità di eloquio le fervide tazze? a chi, stretto pure dal bisogno, non allargano il cuore?

E ancora:

Bacco apre i reconditi pensieri del cuore...

I fumi del vino spesso fanno degenerare i banchetti in risse con volgari schiamazzi e lancio di boccali fra i commensali secondo l'usanza dei Traci. Orazio conosce bene i rischi dell'ebbrezza e, in un'ode agli amici, non può che esortarli alla moderazione:

E' costume dei Traci litigare, [scagliandosi] le tazze create solo per il piacere. Smettete la barbara usanza, e tenete lontano da sanguinose risse il morigerato Bacco!
...Cessate l'indecente schiamazzo, amici, e restate col gomito appoggiato
[sul triclinio]!

A volte però anche Orazio si mostra più indulgente e quando a Roma si festeggia l'amico Plozio Numida, reduce dalla vittoria riportata nel 25 a. C. in Spagna contro i ribelli della Cantabria, invita tutti a mettere da parte ogni scrupolo e a ingollare d'un fiato coppe di vino al ritmo delle danze rituali dei Salii, i sacerdoti di Marte, scandite dal battito dei piedi sul suolo:

Questo bel giorno non manchi di essere segnato col gesso di Greta, né ci sia alcun limite [nel bere il vino] dall'anfora tratta [dalla cantina], né si dia riposo ai piedi impegnati nei ritmi Salii; né Dàmali, [nota] bevitrice di vino schietto, superi Basso nel tracannarlo d'un fiato secondo l'usanza dei Traci.

Trionfo di Bacco - Casa di L. Frontone - Pompei - Affresco

Ma poi il richiamo ai valori morali ha il sopravvento anche in uno, come Orazio, amante di tutti i piaceri della vita. Quando nel 28 a.C. Ottaviano dedica ad Apollo il grande tempio sul Palatino il poeta si trova in un momento di intimità, di introspezione, propiziato forse da un buon bicchiere di vino nuovo, e lascia fluire dal suo animo questi versi:

Che cosa può domandare il poeta ad Apollo, cui è stato consacrato il tempio? Quale grazia può impetrare, mentre versa dalla coppa il vino novello?
...O figlio di Latona concedimi di godere in buona salute i beni che mi sono procurato; ma soprattutto ti chiedo di
[conservarmi] sano di mente e di non dover trascinare una vecchiaia sconveniente e priva della poesia.

Il vino è anche paraninfo, complice di fuggevoli incontri galanti, come quello cui Orazio invita Tindaride, una fanciulla avviata alla grazia danza e alla soavità canto, nella propria villa in Sabina, dove in una valle appartata e al riparo dagli ardori della canicola, potrà cantare la storia di Penelope e quella di Circe, entrambe innamorate di Ulisse. Ma soprattutto sorseggiare inebriante vino...'galeotto' di Lesbo, lontana e libera dagli sguardi del suo geloso spasimante Ciro:

Qui nel fresco gusterai coppe di leggero vino di Lesbo, nè Tioneo [Bacco], figlio della dea Sèmele, attaccherà briga con Marte, nè tu, già sospettata, avrai da temere che il geloso Ciro metta le sue mani brutali addosso a te, assai più debole, e ti strappi la ghirlanda intrecciata fra i capelli e la veste del tutto innocente.

Un invito analogo, nel giorno sacro a Venere dea dell'amore, è diretto anche a Fillide che il poeta tenta di ammaliare col vino d'Albano vecchio e con le attrattive della sua casa, tanto più che il giovane di cui la ragazza è innamorata se l'è già accaparrato un'altra donna:

Fillide! Io possiedo un'anfora piena di vino d'Albano, invecchiato da più di nove anni. Nell'orto, ho l'appio per intrecciare corone. Ho molta edera; annodandola, puoi far risplendere i capelli. La [mia] casa brilla d'argenteria; l'ara, adorna d'intatte verbene, attende di essere bagnata [dal sangue] dell'agnello sacrificato. Tutta la servitù è affaccendata; le ancelle, confuse con i servi, corrono qua e là; le fiamme guizzano, alzando spire di fumo nero.
...Tèlefo, il giovane che tu vorresti e che non è della tua condizione sociale, se l'è preso un'altra ragazza, ricca e disinvolta e lo tiene avvinto a sé con piacevole catena.


Per un irriducibile seduttore come Orazio il vino, quello schietto di due anni, gioca un ruolo importante anche per ridestare amori assopiti, come quello per Glicèra:

La crudele madre degli Amori [Venere], il figlio della tebana Sèmele, [Bacco] e la lasciva Licenza [mi] comandano di riportare
il cuore ad amori finiti.
M'infiamma la bellezza di Glicèra, che splende più chiara
del marmo di Paro; mi accendono la sua gradita seduzione
e il suo volto, troppo insidioso a guardarlo...
Amici, offrite una zolla verdeggiante, offrite fronde sacre, incensi e una coppa di vino schietto di due anni!
[Venere] sarà più mite dopo che le avrò sacrificato una vittima.

Per gustarli meglio i vini vanno filtrati così come anche la vita va purgata da inutili voli pindarici, da sogni fallaci, per godere e cogliere al volo ciò che offre il presente: carpe diem! Ecco come Orazio si rivolge alla giovane Leucònoe in un'ode di sottile lirismo e dai velati contenuti simbolici:

Tu, o Leucònoe, non devi chiedere quale termine gli dei abbiano assegnato alla mia vita o alla tua. Non è lecito saperlo.
Non consultare le cabale babilonesi.
Quanto è meglio accettare in pace tutto ciò che verrà,
sì che Giove ci abbia assegnato ancora molti inverni
o sia l'ultimo questo che sbatte
il mar Tirreno sulle opposte scogliere!
Sii saggia! Filtra i vini e limita in angusti termini le lunghe speranze. Mentre parliamo, il tempo invidioso s'invola. Godi il presente, conta sul futuro il meno possibile.


Più pragmaticamente per Orazio il vino, specie quello vecchio, oltre ad essere pronubo e mitigare gli affanni, è anche un ottimo rimedio contro i rigori del freddo e un provvido corroborante specie durante l'inverno:

Scaccia il freddo, o Taliarco, aggiungendo abbondante legna sul fuoco, e mesci prodigo il vino di quattro anni dall'anfora sabina a due manici.

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