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Lo Squacquerone verso la DOP
Il formaggio anarchico
di Gabriele Mignardi

Non confondetelo con il piemontese (più dolce e sodo) stracchino. Neppure con la 'sorella' casatella, assai meno cremosa e spalmabile. Perché lo squacquerone, formaggio tenero dalla caratteristica forma vagamente rotonda, adagiata su se stessa, sempre in procinto di adattarsi alla forma del suo contenitore, è un prodotto unico. Uscito dalle pazienti sperimentazioni di un'economia di sopravvivenza sempre alle prese, a maggior ragione d'inverno, con le piccole quantità di latte fresco da utilizzare in giornata nell'impossibilità di avviarlo ad altre forme di commercializzazione. Si preparava dunque principalmente nelle case dei contadini dell'Appennino romagnolo, fino a quel territorio bolognese dal confine sempre discusso (e mai definito) con l'Emilia, con la terra del Parmigiano-Reggiano, dove una rete di raccolta e di lavorazione affinata nei secoli garantiva una capillare raccolta del latte fresco e il suo conferimento ai caseifici, unici luoghi deputati alla lavorazione canonizzata del re dei formaggi a pasta dura. Consumato fresco, unito alle quotidiane polente delle grandi famiglie mezzadrili, ma anche abbinato per contrasto al dolce Savòur, lo squacquerone è invece un formaggio anarchico, che con il nome poteva cambiare sfumature di gusto e consistenza a seconda della vallata e della stagione. Nell'area bolognese era conosciuto come Tméin ovvero Tomino, e non è un caso che Antonio Mattioli, nel suo Vocabolario Italiano-Romagnolo del 1879, alla voce 'Squacquaròn' rimandi proprio al vocabolo 'Tumen' ad indicare un formaggio tenero e grasso che, nelle sue radici storiche, potrebbe essere quel 'Caseum mollem' di cui scrive Petronio Arbitro nel primo secolo dopo Cristo. Secondo l'Atlante dei formaggi tipici redatto dall'Insor guidato da Corrado Barberis, lo Squacquerone sarebbe, al pari della Casatella, una versione 'riveduta e corretta' del più 'archeologico' Ravaggiolo.

Roberto Comellini
Roberto Comellini, nato a Castelfranco Emilia, si è formato come casaro di Parmigiano Reggiano, nel 1957 con il fratello Sergio ha aperto il suo primo caseificio ad Ozzano Emilia, e dal 1967 a Castel San Pietro si è dedicato alla produzione dei formaggi morbidi, primo fra tutti lo squacquerone che produce a partire dal latte raccolto in 28 stalle sparse nei cinque comuni vicno a Castel San Pietro.

Nei ricordi della gioventù di Maria Venturi, vissuta a Monte San Pietro (Bo), c'è proprio questo formaggio tenero, prodotto solo d'inverno dalle donne di casa scelte fra quelle che avevano gli 'umori' e le mani fredde, a partire dal latte della mungitura della sera unito a quello della mattina: quel latte crudo ricco di proteine e di grassi delle mucche romagnole alimentate con il fieno secco del fienile coperto o delle figne lasciate a cielo aperto. La lavorazione negli ambienti freddi, l'aggiunta dei frammenti di caglio bovino, il lavoro dei fermenti naturali e i segreti di una lavorazione trasmessi di generazione in generazione insieme alle varianti di alimentazione delle mucche, portava certamente a produzioni disomogenee, fortemente diversificate nello spazio e nel tempo. Procedimenti inevitabilmente esposti ad alte percentuali di fallimento, che spaziavano dall'indurimento del prodotto o all'ammaloramento della materia prima e al conseguente danno economico. Fattori di incertezza che, uniti alle caratteristiche intrinseche del prodotto fresco, hanno limitato la diffusione dello Squacquerone a ben precise aree geografiche e scoraggiato la produzione su larga scala fino alla metà degli anni Sessanta quando, quasi in contemporanea in aree geografiche vocate, i fratelli Comellini a Castel San Pietro e Tonino Ottomaniello a Casalecchio di Reno, ne iniziarono invece la produzione industriale. E non può essere considerato un caso il fatto che la formazione casearia di Sergio e Roberto Comellini si sia svolta a Castelfranco Emilia entro i rigidi e codificati disciplinari di produzione del Parmigiano Reggiano, mentre la tradizionale produzione di formaggi a pasta filata degli Ottomaniello si orienta (a Casalecchio e poi a Crespellano) verso i formaggi teneri e in particolare verso lo Squacquerone su impulso del romagnolo Enzo Marchetti. Esperienze fondamentali perché questo formaggio, a dispetto della sua natura anarchica e informale, richiede procedure rigorose, è "un formaggio che non perdona" spiegano i casari costretti, fino all'inizio degli anni Ottanta (e cioè fino al pieno controllo della catena del freddo) a sospenderne la produzione nei mesi estivi quando una minima deviazione delle temperature della lavorazione provocava inevitabilmente la perdita di intere partite di prodotto.

famiglia Ottomaniello
Foto storica per la famiglia Ottomaniello qui ripresa nel caseificio di Casalecchio di Reno all'inizio degli anni Cinquanta. Verso la fine degli anni Sessanta, con l'entrata in azienda di Enzo Marchetti (romagnolo di origine) inizia la produzione di squacquerone e di altri formaggi teneri. Dagli anni Novanta la produzione si concentra sulla ricotta 'Bon Bon' e sullo Squacquerone.

La tecnologia di lavorazione, secondo l'Atlante dei formaggi di Corrado Barberis e le più recenti precisazioni, è questa: "Si porta il latte previa pastorizzazione a circa 37-38 gradi, aggiungendovi latte innesto più caglio liquido. Coagula in 20-25 minuti. Dopo la rottura della cagliata in due fasi, con intervallo di 20 minuti (a dimensione di un guscio di noce) si lascia sedimentare, eliminando il siero in eccesso. Dopo queste operazioni, la massa viene messa nelle stampiere e messa in locale di 'sgrondo' e prima maturazione a temperatura 11-12 gradi, a 25-30 gradi e umidità al 90-95%. All'inizio le forme vengono rigirate poco frequentemente e poi sempre più di rado. Nell'ambiente di sgrondo viene raggiunto il giusto grado di acidità e la pasta ha raggiunto la giusta consistenza. La salatura si effettua per bagno in salamoia (18-20%) durante circa dieci minuti. Matura in 4-5 giorni in ambiente frigorifero a 3-4 gradi, dove le forme vengono avvolte in carta pergamena. Resa 17-18%". Un processo che, con l'avvio della pratica per il riconoscimento della Denominazione di origine protetta (Dop), prevede un disciplinare nel quale sia la provenienza del latte vaccino, che l'area di produzione e trasformazione, sia rigidamente compreso nelle provincie di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna.
La definizione di tipicità andrà poi a regolare l'alimentazione del bestiame, le caratteristiche organolettiche del latte, i tempi di lavorazione dopo la mungitura, la temperatura di conservazione e trasporto oltre alla qualità dei fermenti lattici, isolati e selezionati a partire dal latte prodotto nella zona tipica. E c'è da augurarsi che il riconoscimento della Dop arrivi presto a distinguere lo Squacquerone vero dalle imitazioni che, da tante parti, stanno approfittando della qualità del vero Squacquerone di Romagna per conquistare un mercato in continua crescita.

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