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La pagina di Piero Meldini
Artusi e l'unità d'Italia (in cucina): fuori dal coro
di Piero Meldini

Perché anche Artusi non venga accomunato alla schiera dei "santi subito" che sembra la nuova frontiera della inossidabile dottrina cattolica, Mensa, che rispetta i santi - e alcuni, come Papa Karol, più di altri -, ma anche l'Artusi, ci permettiamo di inserire, in questo numero che rende conto del coro unanime che da aprile a giugno (mese della festa artusiana), glorifica, se non beatifica, il grande pellegrino-Pellegrino della buona tavola, una voce un tantino "critica", discordante, benché non irrispettosa, riguardo ai miracoli attribuiti all'Artusi, in particolare a quello che lo vuole primo e grande "unificatore" della cucina italiana.
La voce è quella, sempre acuta e originale, di Piero Meldini. Sentiamola:


[…] Ancora nel 1891 Pellegrino Artusi, che pure ospita nel suo fortunatissimo manuale alquanti piatti locali (segnatamente romagnoli, emiliani e toscani, ma anche veneti, milanesi, genovesi, romani, napoletani, siciliani), li frammischia disinvoltamente tra loro e con altrettanta disinvoltura li accosta a piatti d'oltralpe, a quelli tratti (la precedenti ricettari e a quelli trasmessigli da conoscenti e corrispondenti, e tutti li rimedita e li ritocca. Incurante di storicismo e di filologia, si affida positivisticamente alla natura, optando in suo nome per una cucina ragionevolmente semplice, pratica e sana. Non vedrei in questo, differentemente da Piero Camporesi, l'attuazione di un disegno di unificazione coatta, quanto piuttosto una percezione ancora confusa dei sistemi culinari regionali. La Scienza in cucina non si distingue, in ciò, dagli altri ricettari ottocenteschi.
[…] Occorrerà attendere il 1905 perché lo storico e geografo della cucina (nonché affabile divulgatore) Alberto Cougnet stenda, a conclusione del suo viaggio gastronomico nei cinque continenti (Il ventre dei popoli. Saggi di cucine etniche nazionali), un corposo capitolo su La cucina e la cantina italiana. La premessa non dà adito a dubbi:

È innegabile - scrive Cougnet - che esista in ogni regione d'Italia una cucina regionale, fornita [...] di piatti speciali. [...] Questa esuberante varietà di cucina che dalla punti della Sicilia va estendendosi sino alla Liguria e al Piemonte, questa grande distinzione tra i cuochi della penisola, che manipolano le salse - alcuni al burro, altri all'olio ed altrettanti allo strutto - serve a dimostrare che, nell'arte culinaria, il campanilismo regionale impera tuttora, alimentato dalla vivida fiamma dei fornelli.

Su quel "tuttora", che lascia intendere un'origine remota delle cucine locali. torneremo tra breve. Va aggiunto, intanto, che la lettura del capitolo fornisce un quadro completo e particolareggiato del patrimonio gastronomico regionale e municipale. Non c'è piatto canonico che non venga menzionato, corredato da una più o meno sintetica descrizione della pietanza e dalla sua denominazione dialettale. La costituzione delle cucine locali italiane è, insomma, un fatto compiuto.
Di lì a poco, nel 1909, verrà data alle stampe La nuova cucina delle specialità regionali, "appositamente compilata dal Dott. V. Agnetti", che è la prima raccolta organica di ricette di tutte (o quasi) le regioni d'Italia, dal Piemonte alle tre Venezie, dal Lazio alla Sardegna. La trascrizione delle ricette è esemplare: si riferiscono a piatti di elementare semplicità (come la veneta "Zuppa di gatto" o la "Schiaccia maremmana") o di formidabile complessità (come il ligure "Cappon magro", con i suoi 28 ingredienti), a poveri piatti plebei o a doviziosi piatti borghesi, a piatti della sua Lombardia o delle regioni meridionali e insulari, a piatti di gelosa tradizione casalinga, di trattoria (come i livornesi "Maccheroni dei Cavalleggeri") o prossimi allo sbocco industriale (come il panettone, il torrone e il panforte), Agnetti non si concede, di norma, nessuna libertà di rielaborazione e aggiornamento. Le sue fonti sono di rado scritte (Artusi incluso), ma per lo più orali. Averle rispettate è prova di una qualche coscienza, se non scienza, etnografica. Superfluo ricordare che sono di questi e di pochi anni prima le ricerche folkloriche di Pitrè e degli altri.
Sensibile alle molte e profonde differenze culturali ed etniche esistenti tra le popolazioni della penisola, fra "gli abitanti del Friuli, che sono un po' tedeschi" - come egli scrive - e gli "abitanti della Sicilia, che sono un po' arabi", e dunque anche alla grande varietà delle cucine locali, Agnetti è lontanissimo da una concezione gerarchica delle stesse e da ogni tentazione di appiattimento. La sua - vogliamo dire così - è un'impostazione più federalistica che rigidamente unitaria.
Se non è il primo a pubblicare ricette di piatti regionali, Agnetti è tuttavia primo a progettare e a compilare una raccolta comprendente, con poche e non gravi eccezioni, tutte le regioni italiane. Il suo libro è davvero, in tal senso "un'autentica novità nel campo gastronomico", ed è perfettamente legittimo che l'autore tenga a segnalarlo. […]

Da: Piero Meldini. L'emergere delle cucine regionali. L'Italia. In: Storia dell'alimentazione. A cura di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari. Roma-Bari, Laterza, 1997

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