Come e quando la trogna dalla Virginia è arrivata sul Po?
La patata di Pochaontas*
di Alberto Salarelli
Alberto Salarelli è docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni presso il Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo - Sez. Beni Librari dell'Università di Parma
Essendo in questo territorio molto frazionate le proprietà, vi sono tutti i piccoli proprietari di loghini di una, di due e tre biolche di terra, i quali ricavando da queste quasi il fabbisogno della propria famiglia e non tralasciando di andare a lavorare come semplice giornaliero negli altri fondi, sono nutriti in proporzione del loro bisogno, non solo, ma sono veramente essi il prototipo della gente felice, perché ai pochi bisogni fisici e morali hanno il modo di completamente soddisfare.1
Attilio Magri
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Nel desolante panorama delle condizioni di vita dei contadini padani dell'Ottocento, i territori rivieraschi hanno sempre rappresentato, se non un'eccezione, perlomeno un'attenuazione dei fenomeni di indigenza e denutrizione. L'affermazione di Magri, certamente enfatizzata, non è comunque inattendibile: il colono legava la sua fortuna al fazzoletto di terra in suo possesso, al suo piccolo podere oggetto di sollecite cure. Il possesso di una casa e un pezzo di terra, oltre ad essere occasione di riconoscimento sociale, di dignità personale, passaporto irrinunciabile per l'ingresso nella comunità rurale2, consentiva diverse possibilità di integrazione alimentare (gli ortaggi, la spigolatura) che l'irriguo aveva quasi cancellato, così come il Po con le sue golene rappresentava una vera miniera dalla quale attingere, stagione per stagione, quelle proteine necessarie alla dieta quotidiana, volta per volta sotto forma di pesce, di selvaggina, di rane, di lumache3. E di trogne.
La trogna è il tubero dell'Apios americana, una pianta della famiglia delle astragalee originaria degli Stati Uniti, più precisamente della Virginia. Conosciuta con diversi altri nomi scientifici (Glycine apios, Apios tuberosa), anche nel Mantovano taluni la chiamano castagnöla e non trogna o trugna4. Figuriamoci poi, tanto per complicarci ulteriormente la vita, che in America la nominano potato-bean, Indian potato o groundnut nome che è anche sinonimo di peanut. Lasciando a margine le questioni terminologiche, che comunque hanno la loro indiscussa importanza, chiediamoci: come e quando la trogna dalla Virginia è arrivata sul Po?
Va innanzitutto considerato che la trogna è stata un componente di assoluta importanza per l'alimentazione degli indiani nella parte nord-orientale del continente americano, essendo il tubero diffuso dalle regioni dell'Ontario e del Quebec fino al Golfo del Messico. Ma non solo degli indiani: nel 1623 durante una carestia di grano, i "Pilgrims of Plymouth" (Massachusetts), uno dei tanti insediamenti di coloni puritani dall'Inghilterra, sopravvissero grazie all'apporto proteico dell'Apios.
E prima ancora nella colonia di Roanoke Island, fondata di persona dal grande esploratore Walter Raleigh, si coltivavano trogne, ottenendo risultati talmente soddisfacenti da mandare in omaggio i campioni migliori del raccolto nientemeno che a sua maestà, la regina Elisabetta I d'Inghilterra5, la regina "vergine" in onore della quale la terra colonizzata dagli inglesi prese il nome di Virginia.
Ora, proviamo a tracciare lo scenario:
Dove? La Virginia.
Quando? L'inizio del Seicento.
Chi? Le popolazioni indigene, cioè gli indiani, e i colonizzatori inglesi.
Se a qualcuno tutto ciò non suggerisce nulla, vuol dire che non ha visto uno dei più celebri film della Walt Disney6, infatti la trama di Pocahontas è proprio imbastita sulle coordinate di cui sopra.
Pocahontas fu principessa indiana, nata nel 1595, figlia di Powhatan, capo della tribù dei Algonquian nella regione oggi detta di Tidewater7. Nel 1607 incontra fra gli inglesi il capitano John Smith, se ne innamora e il resto della storia è noto: un ponte gettato tra le due culture, tra l'Inghilterra e il mondo degliindiani, tra un capo e l'altro dell'Atlantico. Pocahontas mangiava trogne? Ma certo, come tutti gli altri indiani suoi compaesani, ebbene: volete che mai le abbia fatte assaggiare al suo John e ai di lui compari? Volete che costoro, deliziati dalla bontà del tubero, non abbiano pensato di trapiantarlo nell'orto di casa, una volta ritornati in patria?
Ma non è tutto: il professor Klekowski dell'Università del Massachusetts, uno dei più illustri "trognologi" a livello mondiale, racconta che
la trogna era così importante per i coloni della valle del fiume Connecticut che nel 1654 la città di Southampton promulgò una legge che proibiva agli indigeni la raccolta del tubero sulle "English-Lands". La prima violazione era punibile con un periodo di galera, ma per i recidivi la pena era la frusta! Ci chiediamo se la legge sia ancora in vigore... |
Signori, non abbiamo terminato con la letteratura. Concedetemi ora lo spazio per una testimonianza d'eccezione tratta dal Walden di Henry David Thoreau, il grande scrittore americano ritiratosi a vita eremitale sulle sponde del lago di Walden, sempre in Massachusetts
Un giorno, scavando la terra per cercare vermi da pesca, scoprii il gelsomino del Canada (Apios tuberosa), attaccato al suo stelo - la patata degli aborigeni, una specie di frutto favoloso, che io avevo cominciato a dubitare di aver mai scavato e mangiato, in gioventù, come avevo detto, ma invece essermelo sognato. Da allora ho veduto spesso i suoi vellutati boccioli, rossi e contratti, sostenuti da steli di altre piante, senza sapere che piante fossero mai. La coltivazione lo ha quasi sterminato. Ha un sapore dolciastro, assai simile a quello delle patate morse dal gelo, e io lo preferivo bollito, piuttosto che arrosto. Questo tubero sembrava una debole promessa della Natura ad allevare i propri figli, e a nutrirli semplicemente, qui, in qualche periodo futuro. Ma in questi giorni di grasso bestiame e di ondeggianti campi di grano, questa umile radice, che un tempo era il totem di una tribù indiana, è quasi dimenticata, o è riconosciuta solo dai fiori della sua pianta; ma lasciate che la natura selvaggia regni qui ancora una volta, e le tenere e lussuose granaglie inglesi probabilmente spariranno davanti a una miriade di nemici, e senza la cura dell'uomo la cornacchia potrà riportare anche l'ultimo seme di grano al grande campo del Dio degli indiani, nel Sud-Ovest, donde si dice egli l'abbia portata: così questo tubero ora sterminato, forse rivivrà e rifiorirà malgrado il gelo e la condizione selvaggia, si dimostrerà indigeno, e riassumerà la sua importanza e la sua dignità come cibo della tribù dei cacciatori8. |
Il primo tentativo europeo di coltivazione della trogna fu dovuto al medico parigino Jacques Cornut che nel suo trattato Canadensium plantarum, aliarumque nondum editarum historia pubblicato a Parigi nel 1635, raccontava del felice esito del trapianto nel suo orto di casa di un esempare di trogna proveniente dal Canada. A differenza della pianta, fu l'idea della coltivazione su vasta scala a non attecchire: pur diffusa in tutti gli erbari e orti botanici d'Europa, la trogna non ebbe fortuna. Come poi la si ritrovi sulle rive del Po (unica zona di diffusione spontanea della pianta in Italia, insieme ad alcuni tratti di rive del Ticino e della Stura) è davvero un mistero. Paolo Barbieri, già custode del Regio Orto Botanico di Mantova, nella prima metà dell'Ottocento fu comunque il primo ad annotare il consumo del tubero da parte dei contadini delle zone rivierasche del Po
perciò nel 1838, in una lettera indirizzata al prof. Moretti, ne consigliava la coltivazione e su tale proposta conveniva anche il barone Von Hugel, a Venezia, nel 1847 durante una riunione degli scienziati italiani (…). Moretti e Barbieri, che subito vollero accertare la reale importanza economica di questa specie, dovettero concludere, circa un secolo fa, che nei confronti con la patata quest'ultima è, già sino dal primo anno, più produttiva e nelle annate successive il rapporto di produttività diventa sempre più favorevole, alla solanacea9.
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L'Apios americana è un rampicante che fiorisce in luglio/agosto e che predilige i terreni sabbiosi ove riesce a trovare un qualche buon appiglio, magari un salice, per potersi avvinghiare e salire verso il cielo. Il raccoglitore di trogne, ovvero il trognaio, entra in azione già in questo periodo. Durante l'estate, infatti, individua dal fiore rossastro e profumato l'ubicazione delle piante che d'inverno, disseccate, saranno facilmente confondibili con gli altri rampicanti della golena. Insomma predispone la mappa di un piccolo tesoro che andrà a scavare d'inverno, quando maturo sarà il tubero e più dure le condizioni alimentari. Ma chi è il trognaio? Un indigente, senza dubbio: la trogna non si raccoglie per la prelibatezza del sapore, ma perché non si ha altro per sfamarsi. Non trovandosi le salamelle sepolte in golena, il trognaio fa di necessità virtù. Di necessità e di esperienza: chi raccoglie trogne deve avere una frequentazione assidua col fiume, deve conoscerne i boschi, deve saggiarne i terreni. Si legga allora questo passo di Giannetto Bongiovanni, dedicato al suo paese, Dosolo, un borgo nell'estremo sud della provincia di Mantova, per l'appunto affacciato sul Po:
La parte più caratteristica è però il Castello. Lì vivono, nelle confuse memorie, i ricordi dell'antico borgo munito che ebbe un ponte ed una torre a difenderlo. E c'è un prato che ancora si chiama "Pallone" e certi ruderi che tuttavia passano per le "prigioni". Lì di padre in figlio le famiglie si tramandano, come una tradizione, l'amore per la caccia e per la pesca, per lo schioppo, la rete e la barca. Perché questa gente ha nella vita come un sottinteso: il Po10
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I trognai per antonomasia sono proprio i pescatori del Castello di Dosolo, così celebri per questa loro attività di raccoglitori che gli abitanti degli altri paesi rivieraschi si riferivano ai dosolesi - in senso lato - chiamandoli trugnèr. A dire il vero bisognerebbe aprire una parentesi che ci porta su un terreno disseminato di insidie com'è quello che coinvolge questioni di campanile, visto che si tratta di tirare in ballo la secolare rivalità tra due paesi contermini. Secondo Siro De Padova, infatti, scrittore e bibliotecario nativo di Villastrada, piccolo centro che è frazione di Dosolo e per questo soffre di un endemico sentore di inferiorità, "i dosolesi, nostri eterni antagonisti, ci gridavano, in segno di disprezzo: "Stradaroi magna trogni!". Ma noi gridavamo più forte: «Dusules magna fasoi!»"11. Insomma trogne o fagioli, sempre di "mangiar cattivo" si tratta: la necessità aguzza l'ingegno e la fame tutto redime pur di placare l'appetito.
Il trognaio dunque si mette in marcia in inverno sul far del giorno armato di vanga e cestino. Magari con una fetta di polenta in tasca da far abbrustolire al momento della colazione. Il raggio d'azione del trognaio è esteso: infatti non è solo la golena di fronte a Dosolo ad essere territorio di raccolta,
i bottini più pingui si ottengono sulla sponda di là. Ed ecco emergere l'importanza di essere barcaiolo e di sapere come e dove muoversi tra le nebbie del grande fiume. Sulla sponda emiliana, così come nel resto del basso mantovano sono in pochi a raccogliere trogne, dunque c'è più spazio d'azione. Cibo da poveretti, da disperati, da emigranti
Ma la maggior parte, bisognava riconoscerlo, eran gente costretta a emigrare dalla fame, dopo essersi dibattuta inutilmente, per anni, sotto l'artiglio della miseria (…) quei contadini del Mantovano che, nei mesi freddi, passano sull'altra riva del Po a raccogliere tuberose nere, con le quali, bollite nell'acqua, non si sostentano, ma riescono a non morire durante l'inverno12.
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Così, prima delle cardiache melensaggini, Edmondo De Amicis in veste di cronista di viaggio su un piroscafo diretto in Sudamerica, testimonia che la fama dei trognai passa i confini del piccolo mondo padano dove peraltro il tubero era pietra di scandalo: si racconta che Enrico Ferri, nume tutelare delle prime lotte bracciantili nella bassa, si presentasse in tribunale per difendere un gruppo di villici ribelli con un cesto di trogne esclamando verso la giuria: "Potreste voi condannare uomini che si nutrono da secoli quasi unicamente con questo cibo?". E fu l'assoluzione con formula piena13.
Ma torniamo all'opera: individuato il còrdul, cioè la radice, si scavava e si recuperavano i preziosi tuberi. Dopodiché, lasciamo la parola alla trognaia Bice Tortella
Le raccoglievamo mettendole in sacchi che trasportavamo con una carriola, perché le trogne erano sporche di terriccio. Arrivate a casa, le stesse le lavavamo per bene sotto al sambòt per pulirle dalla terra e nettarle. Se le trogne andavano a fondo del secchio pieno d'acqua, le stesse erano buone, altrimenti se galleggiavano dovevemo buttarle via14.
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Dieci chili erano considerati un buon bottino di giornata per un trognaio.
Ora è tempo di portare la trogna in cucina. Sul Po si conosce una sola preparazione, in tre fasi: lessatura, pelatura, pappatura. I puristi nemmeno le salano non volendo edulcorare il sapore dolce, caratteristico del tubero. Gli americani - invece - conoscono una serie di preparazioni ben più ampia e variata: trogne affettate e arrostite, trogne al forno in carta stagnola (baked groundnut), purè di trogne, farina di trogne da aggiungere al brodo o al semolino.
Il secondo dopoguerra ha visto progressivamente scomparire, insieme al bosco ceduo della golena di Po, anche le trogne che non possono crescere tra le file di pioppi inondate di anticrittogamici. Qualche nostalgico ancora, un po' accanito a dire il vero, si ostina a cercare nelle piccole macchie superstiti di vegetazione spontanea qualche pianta di Apios. Le trogne oggi sono un cibo da appassionati, spesso alla ricerca di un sapore della gioventù che - ahiloro - fu.
Si diceva che la trogna nell'Ottocento perse la sua partita nei confronti della patata a motivo dello scarso rendimento. In termini quantitativi il discorso, certamente, non fa una grinza: la patata rende più della trogna eppure la trogna ha un contenuto proteico fino a tre volte maggiore. Con le moderne tecniche di selezione genetica è possibile produrre trogne che conciliano le caratteristiche alimentari intrinseche della pianta con un raccolto soddisfacente. Due ricercatori americani, W. J. Blackmon e B. D. Reynolds, recentemente hanno dimostrato come sia possibile ottenere oltre tre chili di tuberi per ogni pianta all'anno15. La stessa FAO definisce la trogna come "an important Indian food and potato substitute"16. Ed allora? Vuol dire che forse vedremo presto sulle rive del Po ricomparire i trognai insieme agli agronomi in camice bianco? No, credo proprio di no. Ma chissà che una qualche osteria verace non ne proponga l'assaggio nel menù tipico, magari dopo aver trapiantato il tubero nell'orto di casa. Gli americani, ormai, coltivano l'Apios per le sue qualità estetiche, per creare pergolati o per
ricoprire squallide pareti di cemento. Ma noi non ci rassegnamo e, in preda a lucida follia, immaginiamo un piatto esotico e nostrano allo stesso tempo: siluro danubiano alla brace con contorno di Indian potatoes al burro. Voilà, che sciccherìa! E buon appetito.
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Una prima versione di questo piccolo saggio fu pubblicata nella miscellanea Gli uomini del Po: i mestieri del fiume, a cura di Edgardo Azzi e Alberto Salarelli, Mantova, Sometti, 2000, pp. 87-93. L'autore desidera esprimere la propria gratitudine all'editore Valerio Sometti per aver gentilmente concesso il permesso alla ripubblicazione dell'articolo.
1
Attilio Magri, Stato attuale della proprietà, proprietarii, affittuali, contadini ed agricoltori della Provincia di Mantova, dal lato tecnico, economico, morale e proposte per aumentarne la rendita, di Attilio Magri. Memoria premiata con medaglia d'oro al Concorso Tecnico dell'esposizione Provinciale Mantovana nel settembre 1878, ora informata al programma ministeriale per l'Inchiesta Agraria, Milano, Stabilimenti della Tipografia Sociale, 1879, p. 157.
2
Giovanni Tassoni, Folklore e società. Studi di demologia padana, Firenze, Olschki, 1977, p. 367.
3
Si vedano, sull'argomento, Gauro Coppola, Il mais nell'economia agricola lombarda, Bologna, Il Mulino, 1979, p.122; Stefano Bocchi, Andrea Galli, Elisabetta Nigris, Alessandra Tomai, La pianura padana. Storia del paesaggio agrario, Milano, Clesav, 1985, p.129.
4
Enrico Paglia, Saggio di studi naturali sul territorio mantovano, Mantova, V. Guastalla tipografo-editore, 1879, p. 461.
5
Sulla storia del Glycine Apios si vedano: Ed Klekowski, Groundnut, e la voce 'apios' a cura di Giacomo Nicolini ne Il mondo della natura: Enciclopedia di Scienze Naturali, Milano, F. Motta, 1962, vol. VI, p. 153.
6
Pocahontas, regia di Mike Gabriel e Eric Goldberg. Produzione: USA, 1995.
7
Sulla storia di Pocahontas si veda un breve riassunto nel sito de "The Association for the Preservation of Virginia Antiquities", .
8
Henry David Thoreau, Walden ovvero la vita nei boschi, Milano, Mondadori, 1970, p. 282 (prima ed. 1854).
9
G. Nicolini, art. cit., p. 153.
10
Giannetto Bongiovanni, Il ceppo, Milano, Sonzogno, 1922, p. 19.
11
Sulla strada verso il Po: Villastrada in un racconto ed album di famiglia, a cura della Pro Loco di Villastrada, [Modena], Arbe, 2000, p. 52.
12
Edmondo De Amicis, Sull'Oceano, Como - Pavia, Ibis, 1991, p. 52 (prima ed. 1889).
13
Sulla strada … cit., p. 52.
14
Storie del Po, a cura di Lidia Beduschi, Mantova, Sometti, 1999, p. 59.
15
W. J. Blackmon - B. D. Reynolds, The crop potential of Apios americana, "HortScience", 21 (1986), pp. 1334-1336.
16 FAO - Food and Agriculture Organization of the United Nations, Edible nuts, 1995, . In modo differente la pensa Ghinzelli: "[le trogne] sono leggermente dolciastre e il loro valore nutritivo è molto scarso", Adolfo Ghinzelli, Vecchia Padania: lavoratori e paesi del Po, Viadana, Editrice Castello, 1978, p. 81.
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