Alimentazione e costume
C’è voglia di autenticità
di Piero Valdiserra
La lettura dei quotidiani ci regala costantemente tensioni politiche e militari planetarie, rincari del petrolio, competizione fra i sistemi economici internazionali. La famosa globalizzazione è arrivata, è fra di noi, ci afferra le caviglie e ci tira per la giacca.
Ogni azione crea però una reazione uguale e contraria. Molti osservatori stanno cioè sottolineando il fatto che la globalizzazione, rendendo fragile e precario il sentire di ognuno di noi, può diventare un acceleratore del movimento inverso, indirizzato alla ricerca di radici e di stabilità. Si moltiplicano così i tentativi di restaurare le credenze antiche: dalle mode rétro al recupero delle tradizioni, dal ritorno dei miti e delle religioni alla rinascita delle culture nazionali o regionali. Si può dire quindi, per usare uno slogan, che la ricerca di autenticità si inserisce nel desiderio ampiamente condiviso di ritrovare le identità minacciate o addirittura perdute.
Da queste pagine abbiamo più volte raccontato le storie del vino e dei distillati, dei loro protagonisti e dei loro eventi, e spesso ci è capitato di rimarcare la voglia crescente di concretezza, di pragmatismo e di realtà: di autenticità, in fin dei conti, al di là delle chiacchiere e delle apparenze. Ma che cosa intendiamo esattamente per autenticità quando ci riferiamo alle produzioni enogastronomiche?
Raccogliendo i pareri degli esperti abbiamo messo assieme alcuni “ancoraggi” sicuri di autenticità, che vogliamo presentarvi in breve a mo’ di semplice lista per punti:
- Socialità. I consumatori desiderano sempre meno sentirsi individui isolati, e sempre più sono alla ricerca di legami “comunitari” con altri consumatori-intenditori-appassionati, in sintonia con il passato familiare e con i luoghi consuetudinari di produzione dei beni. Passano di moda gli acquirenti individuali e si affermano le cosiddette “tribù” del consumo, contraddistinte da un’affettività e da un’esperienza comuni, da un’identica emozione, da una passione condivisa (p.es. i gruppi e i club di enoappassionati).
- Tempo. Tutto ciò che costituisce retaggio temporale (storia, ma anche miti e leggende) diventa oggetto di attenzione, in quanto è prova di continuità della tradizione e di originalità delle produzioni. Basti pensare ad esempio alla ricerca spasmodica delle proprie radici da parte di ogni pur piccolo produttore di vini.
- Spazio. L’influenza locale sia tangibile sia intangibile consente di attestare il carattere tipico dei prodotti. È questo il regno incontrastato del territorio, del terroir alla francese, del genius loci degli antichi romani, con tutto quanto ne consegue in termini di implicazioni geofisiche, varietali e culturali (ma anche, se pensiamo al turismo del vino, paesaggistiche, artistiche, ecc.).
- Naturalità. Le materie prime e i prodotti delle lavorazioni successive sono tanto più ricchi di significato quanto più rimandano a un’origine naturale. Cresce la voglia di artigianalità, di manualità, di tracciabilità, di integrità (p.es. biologico, biodinamico). Le stesse confezioni e gli stessi imballi si richiamano a modelli antichi e a materiali “poveri” per dare ai prodotti una maggiore sensazione di autenticità naturale.
- Ritualità. Nella società postmoderna si diffondono riti in apparenza profani, desacralizzati, che in realtà re-inventano tradizioni lontane, dimenticate, perdute. Anche i riti sono un potente fattore di nuovi legami comunitari: pensiamo alle modalità altamente rituali della degustazione in società del vino, ma anche dei formaggi, del cioccolato, dell’assenzio, ecc.
Prendete le pillole di sociologia dei consumi che vi abbiamo proposto qui sopra, mescolatele assieme in dosi variabili e avrete un bel cocktail di sapori e di sentori autentici, oggi così attuali nella loro apparente inattualità. Alla faccia di chi vorrebbe, nel piatto e nel bicchiere, l’appiattimento industriale di prodotti standard, massificati e anonimi. Noi siamo per l’autenticità.
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