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L'opinione di Massimo Montanari
Jean-Louis Flandrin: uno storico gourmand
di Massimo Montanari*
Traduzione dal francese di Rossella Diomedes
Storia dell'alimentazione
Storia dell'alimentazione
Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari

    Tra le opere di Jean-Louis Flandrin, quella che preferisco resta la Chronique de Platine1 perché esprime al meglio il carattere, l'intelligenza, la personalità umana e scientifica dell'autore.
    Jean-Louis non ama la sintesi, anche se gli riesce sempre bene, con delle intuizioni e connessioni folgoranti. Raramente si abbandona alla teoria: la fa emergere dall'analisi concreta, dal vivo della ricerca. Egli non ha verità da dimostrare, ma da cercare. Vuole capire, definire, ordinare. Niente, per lui, è dato una volta per tutte. Niente è certo. Egli si chiede " perché? " su tutto, a cominciare dalle sue (nostre) idee. Perché pensiamo ciò? Perché diciamo tale parola? Perché facciamo tale gesto? Perché seguiamo tale abitudine? In questa ossessione costante di capire, di chiedersi il perché, egli crea un modello di ricerca affascinante, quasi proustiano, capace di ricostruire una memoria a partire dall'accurata osservazione del presente, e inversamente, arricchire il presente con un storia antica che lo rende denso, profondo, significante.
    Le domande sono le più semplici, gli interrogativi fondamentali che si tende a dimenticare perché fanno parte della nostra vita in modo naturale, per così dire automatico. Contro i luoghi comuni, contro la tendenza a considerare le abitudini come " normali " e " senza storia ", le domande di base dell'antica retorica - anzi della comunicazione moderna - bastano: Quando? Chi? Come? Perché? Sono sempre le domande più semplici, e perciò le più difficili da porsi. Le scopriamo costantemente nelle pagine di Jean-Louis. La prima risposta è: " bisogna distinguere "2, l'ultima: " nulla è chiaro "3. Contro ogni pigrizia mentale, Jean-Louis tiene ben sveglia l'intelligenza (la sua e quella del lettore): un vero cartesiano, egli è perché pensa. Ma non da solo: il suo scopo non è solo comprendere ma anche insegnare a comprendere.
    Attenzione: se ama pensare " in miniatura ", non si tratta tuttavia di una microstoria.
    Nel piccolo egli è grande, dal piccolo sa mostrare il grande. Ecco perché la Chronique è, io credo, il suo capolavoro, che potenzialmente contiene tutti gli altri. In queste miniature egli affronta dei temi profondi, importanti, che arrivano a una storia " nella sua integrità ", partendo da considerazioni semplici e da conversazioni sciolte, amichevoli. Alla maniera, giustamente, di Platina, l'umanista italiano autore del famoso De honesta voluptate et valetudine: pseudonimo la cui scelta mi sembra di grande importanza. Chiamarsi Platine per Jean-Louis Flandrin, significa rivendicare l'umanesimo con fierezza, fermezza e intensità, " l'onestà " del suo interesse storiografico. L'onestà di parlare del gusto, del piacere nella storia. Di riabilitare i " sensi bassi " (che non lo sono) riconoscendo la densità culturale del quotidiano, del " piccolo ". " Mettere il suo sapere ", cito Jean-Louis, " al servizio delle arti del buon vivere ", consuetudine che " rimane sospetta e poco seguita ". Dunque " seguire l'esempio di Platina ", che nel XV secolo doveva giustificare la natura " onesta " del suo tema, il piacere, moderato dalle ragioni legate alla salute, nei confronti del pubblico serio della corte pontificia romana. Ma non c'è più. Il progetto di Jean-Louis-Platine non è solo di dare una storia alle arti del buon vivere. E' " fare la storia - lo cito ancora - con le sue mani, la sua bocca, il suo palato, il suo naso, anzi, persino i dolori del suo stomaco e del suo intestino "4. Cioè, non solo studiare il corpo, ma farne la misura del mondo. Negare l'esistenza di livelli distinti tra la materia e lo spirito. Affermare "l'indissolubile embricazione della carne con lo spirito "5, l'unicità del corpo e dell'anima, della biologia e della cultura. Ecco che il programma storiografico di Flandrin cessa di essere piccolo e diventa grande, anzi immenso. Molto ambizioso, a dispetto delle dichiarazioni di umiltà che si notano attraverso le sue pagine. Portare " la gastronomia all'Università " non è stata un'operazione da poco, un divertimento. " Che i malevoli tacciano ", scrive, con tutta la durezza di cui è capace. Questa proposta culturale ha di fatto una portata politica non equivoca, e Jean-Louis lo sa bene: " nella sua azione non c'era nessun intento politico " scrive, riferendosi ad uno storico progetto gastronomico dell'Accademia Platina. Nella sua azione iniziale; ma poi? " Boicottiamo i prodotti fuori stagione ", propone, dopo una nota sul gusto dei prodotti antichi.
    Jean-Louis è rivoluzionario o conservatore ? Io direi: entrambi. Certo, è contro " le sirene della modernizzazione "; contro l'idea di una storia " in progresso "6; è partigiano di un umanesimo (che Platina simboleggia bene), assai lontano da un capitalismo industriale che ci vorrebbe " strappare la lingua e cauterizzare il palato per facilitare il cammino della storia "7. Egli ama la vecchia vita di famiglia, le vecchie case con le loro tradizioni, le " grandi tavole attorno alle quali si riunivano parenti e amici "8. Ma la storia che ama non è immobile, si trasforma continuamente. " Cucinare, è inventare ", scrive. E ancora: " piuttosto che seguire alla lettera le ricette, dove nulla è lasciato al caso, fatele fare a una macchina "9. L'umanità è il caso, è il cambiamento, è l'invenzione. La cucina non è immobile ma cambia incessantemente, attraverso prestiti sociali, geografici, storici che danno vita a questo luogo cruciale dell'esperienza quotidiana. In ciò, forse, io vedo il contributo principale, e il più originale di Jean-Louis Flandrin alla tradizione storiografica degli " Annali ", nella quale egli si pone. In rapporto ai tempi di Braudel, quelli di Jean-Louis si mostrano più elastici e imbricati. In fondo, non c'è una vera opposizione tra i tempi della politica e quelli dell'economia, delle credenze delle idee, delle consuetudini quotidiane. Quest'ultime evolvono più lentamente, certo, ma hanno un legame stretto con le altre. Esse si costruiscono a partire dalle strutture della società e del suo bagaglio mentale, ma concorrono esse stesse in modo decisivo a costruirle.
Intorno a questi principi di base, che nascono dall'osservazione del " piccolo ", J.-.Flandrin ha sviluppato dei temi storici di grande portata, che hanno largamente orientato il lavoro di ricerca degli ultimi anni ( anzi degli ultimi decenni) nel campo delle storia dell'alimentazione.

Gastronomia e dietetica

    Il tema principale, che caratterizza le sue pagine più memorabili, è quello del legame tra la gastronomia e la dietetica: grande intuizione che ha lasciato il più grande marchio sulla storiografia attuale. Un tempo, la riflessione " scientifica " sull'alimentazione si opponeva allo studio della gastronomia, del piacere di mangiare: falsa percezione della realtà storica, dovuta all'estensione abusiva al passato di abitudini mentali che appartengono a noi oggi. Jean-Louis ha dimostrato che al contrario molte tecniche e pratiche culinarie (modi di cucinare, associazioni di ingredienti e prodotti, ordine delle pietanze) trovano la loro giustificazione teorica giustamente nella scienza medicale, nella dietetica che un tempo rivelava la fisica e non la chimica come oggi. Ossia, una percezione del mondo che era anche alla portata dei sensi dell'uomo.
    Le ostriche, scrive il medico Laurent Joubert che Flandrin cita, " sono palesemente fredde ". Fredde nel senso che la scienza dava a questa parola: il freddo, il caldo, il secco, l'umido, sono le coordinate dell'interpretazione dell'universo elaborate dalla scienza occidentale dall'epoca greca antica fino al XVII e XVIII secolo. Ma Joubert scriveva: " palesemente fredde ", cioè tutti potevano sperimentarlo: " è così che le sentiamo nello stomaco ", scriveva. Da qui la complicità sostanziale tra le elucubrazioni teoriche dei medici e le pratiche di cucina sedimentate sul filo dei tempi. Da qui il meccanismo, ben analizzato da J.-L. Flandrin soprattutto a proposito dell'utilizzo dei frutti, ma più in generale a proposito delle tecniche di preparazione delle pietanze: su una base teorica data, a partire da una cultura che si è trasformata in patrimonio mentale condiviso da tutti, le abitudini vengono condizionate dai gusti. " Al contrario di ciò che si pensa generalmente, la diversità dei gusti individuali è di gran lunga in funzione delle abitudini alimentari di ognuno. Così come i gusti di una società "10. L'abitudine prima del gusto; la cultura (la scienza) prima dell'abitudine. Certo, anche il contrario può accadere, poiché la scienza dietetica interviene per giustificare - a posteriori - i gusti e i desideri dettati da altre ragioni (potere, prestigio, ricchezza, ecc.). In ogni caso l'associazione (anzi le contraddizioni) tra gastronomia e dietetica resta un nodo fondamentale della storia dell'alimentazione, ed è Jean-Louis Flandrin che lo ha indicato come tale.
Per studiarlo Flandrin non si limita solo alle fonti tradizionali, che pure restano il centro (per così dire " classico ") del suo lavoro di ricerca. Egli fa appello anche alle fonti orali, nel tentativo di reperirle sia nell'attualità che nelle raccolte del passato; per esempio nei proverbi, depositari di una cultura orale che a torto potremmo considerare defunta, seppellita. In Francia, sono disponibili antiche raccolte di proverbi o studi recenti condotti da filologi ed etnologi, che ci danno delle possibilità di studio non esistenti in altri paesi - l'Italia per esempio. A partire da ciò, Jean-Louis Flandrin ha sviluppato un'importante lezione di metodo: la ricerca dell'oralità nella scrittura, la memoria della cultura popolare nei testi eruditi. Da qui egli dimostra la volontà - parlando di cucina, di desiderio, di gusto - di non restringere il discorso sempre agli stessi privilegiati, ma di allargare il più possibile il quadro sociale di riferimento. La gastronomia non è solo un affare di ricchi.

Lo statuto degli alimenti

    Altro tema fondamentale nella riflessione di Jean-Louis Flandrin è quello dello status degli alimenti, cioè, il significato che essi assumono nel sistema dei valori di una certa società e in un certo periodo di tempo (che può cambiare seguendo i tempi, e da una società all'altra). Non è un concetto " inventato " da Jean-Louis: siamo sempre stati coscienti del fatto che i prodotti e le pietanze consumate non sono semplicemente dei componenti nutrizionali, ma hanno anche dei valori sociali, culturali e " mentali ". Ma se questo concetto oggi viene accettato e adottato da tutti nel campo delle scienze umane, lo è perché Jean-Louis lo ha sondato ed esaminato con una costanza, una sistematicità, un approfondimento senza precedenti. Tutte le sue ricerche sulle consumazioni alimentari insistono in modo particolare su questo aspetto del
Il gusto e la necessità
Jean-Louis Flandrin
problema, al quale Jean-Louis ha assegnato un ruolo fondamentale nella spiegazione delle specificità culturali e dei cambiamenti nel corso della storia dell'alimentazione. Da notare le sue magistrali considerazioni relative all'uso dei grassi ( lardo, olio e burro) e alla dinamica assai complessa della loro alternanza sulle tavole degli Europei11: egli ha dimostrato molto bene come l'immagine e il prestigio sociale, ereditati dalla tradizione o creati ex-novo, si siano mescolati con le condizioni " naturali " (legate alle risorse e all'economia) e culturali (le regole della Chiesa) nel creare abitudini e gusti. Da notare, ancora, le considerazioni sullo " stato " ambiguo delle verdure e la sua trasformazione dal basso Medioevo all'Epoca Moderna. Da notare, ancora, le considerazioni sulla consumazione di carne e le sue motivazioni spesso irrazionali. Da notare le belle pagine sullo " statuto " assai speciale che il pane occupa nel nostro sistema di valori alimentari. Se tutti questi temi sono stati già toccati dalla storiografia, egli li analizza in una nuova ottica, che attribuisce al gusto un ruolo decisivo nel meccanismo culturale, cioè egli cerca ciò che di specifico vi è nel gusto alimentare, nella sua storia troppo spesso ricondotta a condizionamenti esterni: filosofia, religione, economia, politica...
    Le pagine sul pane mi sembrano esemplari sotto quest'ottica, sensibile a riprendere certi argomenti classici per rinnovarli profondamente: sottolineando il valore singolare di questo alimento nella tradizione dell'Europa cristiana, la sua immagine " forte ", capace di rappresentare con la metonimia la complessità dell'alimento umano (" dateci il nostro pane quotidiano "), Jean-Louis Flandrin poco a poco si concentra sulle qualità materiali, fisiche di tale alimento: si chiede se l'ampiezza e l'importanza dei valori che gli sono attribuiti sarebbero stati possibili senza un valore " intrinseco ", profondamente alimentare e gastronomico, dell'alimento in questione. La risposta non è teorica ma rinvia alla testimonianza dei documenti, degli studi e persino alla sua personale esperienza e alla sua memoria: il pane di un tempo aveva più sapore, più gusto e più qualità. Possedeva un altissimo " stato gastronomico e dietetico "12, che giustificava pienamente il suo valore simbolico. Conclusione: " il pane è stato il re degli alimenti " veramente, fisicamente, prima di trasformarsi in qualcos'altro. Interpretare la sua " gloria " in modo puramente simbolico è una falsa prospettiva. Il messaggio è chiaro e assolutamente nuovo: occorre cercare negli alimenti il valore degli alimenti. La materia viene prima. L'esperienza dello stomaco, della gola, del palato rimane fondamentale. A partire da - essa - si disegna il sistema dei valori che " dà un senso alla nostra vita"13, ma non ci sono sistemi di valori senza riferimenti concreti.
    Ed ecco un secondo tratto di originalità di J.-L. Flandrin in rapporto alla tradizione storiografica nella quale egli si pone. Il suo scopo è una storia dell'alimentazione " nella sua integrità ", che pone in rilievo la storia dell'economia, della politica, della religione, della cultura…ma che resta sempre alla ricerca di un carattere specifico e autonomo che pertanto non sarebbe autoreferenziale, ma, al contrario, sarebbe il punto di partenza, il luogo di nascita dei legami al centro dei quali si trova l'alimentazione. Poiché l'alimentazione non è un caso, ma piuttosto una struttura, inserita nella struttura più larga della società e del suo sistema di valori. Tutti sono d'accordo su ciò, ma Jean-Louis va più lontano, mostra la coincidenza, anzi l'identità tra cultura e tecniche (quelle della cucina essendo particolarmente significative). La cucina sarebbe una sorta di specchio del mondo? Jean-Louis risponderebbe: no, la cucina è il luogo in cui si produce il mondo. Ecco le implicazioni che io vedo nel concetto di " statuto " creato e spesso utilizzato da Jean-Louis a proposito degli alimenti o persino a proposito delle nozioni e concetti astratti come quello della " ghiottoneria ", di cui egli segue il cambiamento attraverso i secoli, dal Medioevo che lo disprezza (e pertanto lo descrive, lo definisce come concetto) al XVII secolo che lo valorizza col nuovo culto del " buon gusto ", e fino all'epoca contemporanea che sviluppa degli atteggiamenti contraddittori nei confronti della golosità. Storia di grande interesse, che mostra, scrive Jean-Louis, l'antichità della nozione e della pratica " gastronomica ", anche se è stata posizionata diversamente nel sistema dei valori di ogni società. Egli insiste molto su ciò, perché è nemico del luogo comune che vede la gastronomia come una " scoperta ", anzi " un'invenzione " del XX secolo. Combatte duramente le tesi " modernizzanti " che non hanno la pazienza di guardare i testi. Le combatte anche perché non è sciovinista, malgrado la passione per le specialità del suo paese. Ma, dice, la grande cucina non è solo francese, né del diciannovesimo secolo: cose buone da mangiare ci sono sempre state, e anche dei gastronomi, nel XIX secolo come nel XVII, nel Medioevo come nella Grecia antica. Il peccatore maltrattato dai moralisti medievali non era un gastronomo? E in fondo, non lo era anche l'uomo della preistoria quando cercava di migliorare la qualità della carne cuocendola sul fuoco? Anche lui faceva della cucina, anche lui faceva della dietetica: anche lui cercava il buono e il salutare allo stesso tempo. La gastronomia non appartiene solo al presente. Vedete come tutto ciò va ad allargare il nostro campo di ricerca.

L'ordine delle pietanze

    L'ordine delle pietanze è la sintassi delle pratiche alimentari (la cucina ne è la morfologia, gli alimenti il lessico). Anche in questo campo, Jean-Louis Flandrin ha affinato il suo interesse, a partire da questioni semplici, che non ci siamo mai posti con tanta precisione, convinti che nella struttura del pasto si profila il senso, il valore che una società dà agli alimenti. Nella struttura dei menù, nell'ordine assegnato agli alimenti, ci sono state, nota Jean-Louis Flandrin, delle vere " rivoluzioni silenziose "14 che hanno cambiato il nostro rapporto con gli alimenti e la tavola. Tra gli elementi che gli sembravano più significativi, la scomparsa dei vecchi " intermezzi " e lo spostamento (prima o dopo) delle pietanze che erano loro associate: paté freddi, conserve, carne in gelatina, crostacei avanzati come antipasto; verdure come contorno della carne; piatti dolci come dessert. Quanto all'ordine degli alimenti e dei gusti, nulla di più significativo dell'inversione tra la carne e il pesce (un tempo si preferiva consumarlo dopo la carne); o l'inversione tra i vini rossi e i bianchi, che un tempo erano serviti dopo i rossi.
    Cambiamenti formidabili delle attitudini alimentari, dietetiche, gastronomiche - ancora una volta, tutte confuse con pratiche quotidiane.
    Punto importante del lavoro di Flandrin: la prospettiva comparata che egli persegue sistematicamente, nella ricerca di identità locali, regionali e nazionali. Ecco perché ama molto, tra le fonti, i racconti di viaggio, serbatoi di informazioni sulle pratiche, e allo stesso tempo sulla veridicità delle impressioni provate dagli osservatori. Ma in tutte le fonti ( i libri di ricette in primo luogo) egli cerca i segni della differenza, soprattutto quelli che si esprimono naturalmente (inconsciamente?), senza volontà esplicita di esprimerle. Una volta ancora l'oggetto della sua curiosità è la mentalità corrente, comune, collettiva. Una volta ancora, con una straordinaria capacità di andare dal piccolo al grande, dal particolare al generale: vedi le considerazioni profonde, la vera lezione del metodo storico esposta nel suo articolo-miniatura su " Vini d'Italia, bocche francesi "15. Qui, le impressioni dei viaggiatori stranieri in Italia escono dalla loro soggettività descrittiva, e diventano l'occasione per riflettere sui rapporti tra vini e cucina, sulla diversità delle tradizioni gastronomiche dei differenti paesi, legata alla diversità dei prodotti, del clima, del territorio; finalmente è l'oggettività dei gusti e dei sapori degli alimenti che si confronta coi giudizi qualitativi.

La convivialità

    Dopo la morfologia e la sintassi: la retorica, cioè la convivialità, le regole non solo del saper vivere, ma del saper vivere insieme, e dei significati sociali associati. Qui ancora, l'interesse di Jean-Louis non si ferma alla convivialità " elevata " dei banchetti e dei festini che prevalgono nelle fonti. Come la cucina e la ricerca del piacere, come la dietetica e la ricerca della salute, la convivialità esiste a tutti i livelli della società, sempre densa, intensa, ricca di senso e di valori. La festa, che si oppone al quotidiano, ma anche il quotidiano sono occasioni di una convivialità semplice, dunque " classica "16 se accettiamo la distinzione, fatta da Jean-Louis stesso, tra due modelli fondamentali nella storia dell'alimentazione e della gastronomia, quello della complessità " barocca " e quello della semplicità " classica ". La gastronomia contadina è senza dubbio di secondo livello. Così come la convivialità popolare, di cui Jean-Louis scrive, non senza emozioni, sa recuperare " il senso primitivo dell'agape cristiano ", perché " cucinare e mangiare insieme, tra amatori, sa di sacrificio religioso e di atto d'amore "17. " C'è qualcosa di miracoloso nell'arte culinaria ", egli osserva, riferendosi al momento del pasto comune dopo la preparazione, " ed io penso che egli cerca una grazia, una sorta di dono comparabile, in un altro campo, alla sensualità ". Ed ecco il legame, sempre implicito, a volte esplicito, tra i due temi chiave di Jean-Louis: la sensualità e la cucina, associate nella vita familiare. Retrospettivamente, si potrebbe forzare il messaggio di Platina estendendo alla sensualità il titolo di " piacere onesto ". E " che i malevoli tacciano ".
    Il lavoro di Jean-Louis Flandrin ha influenzato notevolmente la storiografia europea, che, negli ultimi due decenni, ha assorbito profondamente le sue prospettive di ricerca. Le opere che si riferiscono, più o meno direttamente, all'insegnamento di Jean-Louis non si contano: i frutti del suo seminario sono assai ricchi e gustosi. Soprattutto in Francia, bisogna dire, perché, giustamente, sono legati al suo seminario e alla sua frequentazione diretta. Fuori da questo contesto, l'assimilazione dei suoi temi (almeno nel campo storico e alimentare) è stata molto più lenta e indiretta, forse, perché a lungo ha esitato a inserirsi nelle opere di sintesi. Egli ha, come ho già detto, preferito condensare il suo sapere e il suo interesse nelle miniature. L'Histoire de l'alimentation, che entrambi abbiamo progettato, è stata l'occasione per costruire un quadro completo intorno ai suoi temi. Accettò con entusiasmo di collaborare a questa iniziativa che io gli proposi una dozzina di anni fa. Ci incontrammo nel suo giardino vicino Grenoble durante l'estate, discutemmo della struttura del libro, degli autori da invitare - c'era il problema che Jean-Louis avrebbe voluto scrivere in prima persona tutti i capitoli. Era il suo libro, che ha contribuito molto a diffondere le sue conoscenze e i suoi modelli di ricerca.
    Fuori dalla Francia, la lezione di Flandrin si è fatta sentire soprattutto in Italia, grazie ai rapporti diretti e indiretti col nostro paese; ma anche in Spagna e nel mondo anglosassone, compresa l'Australia, dove recentemente si sono manifestati forti interessi per " la gastro-storia ". Tale influenza ha toccato i medievalisti più che i ricercatori di storia moderna e contemporanea. D'altronde il magistero di Jean-Louis Flandrin non può misurarsi col numero di citazioni nelle note o nelle bibliografie. Rispettosi della sua dolcezza, della sua discrezione, io vorrei terminare ringraziandolo di aver diffuso delle idee, moltissime idee, e, con esse il calore che nasce dalla sincerità e dall'onestà di un lavoro dettato dal desiderio di capire e di far capire. Ecco il vero " mestiere di storico ".


*Ringrazio Sylvie Steinberg per la revisione del testo originale francese.

1 Jean-Louis Flandrin, Chronique de Platine, Paris, Odile Jacob, 1992.
2 Ibid., p. 19.
3 Ibid., p. 211.
4 Ibid., p. 46.
5 Ibid., p. 54.
6 Ibid., p. 73-74.
7 Ibid., p. 56.
8 Ibid., p. 62-63.
9 Ibid., p. 48.
10 Ibid., p. 139.
11 J.-L. Flandrin, " Le goût et la nécessité: réflexions sur l'usage des graisses dans les cuisines de l'Europe occidentale (XIVe-XVIIIe siècles) ", dans Annales ESC, XXXVIII, 1983, p. 369-401.
12 Chronique de Platine, op. cit., p. 159.
13Ibid., p. 76.
14Ibid., p. 309.
15 J.-L. Flandrin, " Vins d'Italie, bouches françaises ", dans Le voyageur et la table italienne, Chroniques italiennes, 52, 1997 p. 119-128.
16 Chronique de Platine, op. cit., p. 85.
17 Ibid., p. 79.

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