A proposito di giallo e cibo
di Rino Pensato
Ancora su Luigi Veronelli (e Vincenzo Buonassisi) e una mostra di libri gialli
In uno dei tanti omaggi resi a Luigi Veronelli in occasione della sua scomparsa, apprendiamo che aveva nel cassetto un romanzo giallo, probabilmente di argomento gastronomico, ma non possiamo esserne certi, considerata la vastità e la varietà di interessi culturali, politici e sociali del grande enogastronomo.
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Paolo Ferrari (Archie Goodwin) e Tino Buazzelli (Nero Wolfe) nella celebre serie Rai del 1969
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Purtroppo non vedremo dunque questo romanzo nella mostra di Imola e Forlì (leggi qui). Speriamo tuttavia di vederlo uscire dal cassetto e, se ve ne sono le condizioni, vederlo pubblicato postumo.
Si potrà vedere invece in mostra, anche se, per circostanze sfortunate, escluso dal catalogo, il romanzo giallo scritto da Vincenzo Buonassisi, il grande cuoco scomparso il 24 febbraio dello scorso anno all'età di 86 anni.
Inserire nella mostra il suo libro (pubblicato nel 1999, all'età di 81 anni) a un anno dalla morte è dunque anche un piccolo atto di omaggio nei confronti un altro "grande vecchio" della nostra cultura gastronomica.
Il romanzo, edito da Golosia & C. (Gruppo Mursia) è ormai introvabile (salvo che in qualche libreria antiquaria e di modernariato, in particolare quelle specializzate nel giallo o nella gastronomia, tipo Suspense a Roma (http://www.suspense.it) o Sherlockiana di Tecla Dozio a Milano (a proposito, se volete salvare la più grande e benemerita libreria del giallo italiana, a rischio di estinzione per problemi di mercato immobiliare, collegatevi a www.spanio.it/lucarelli/appello.asp).
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Vincenzo Buonassisi
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Il titolo del romanzo di Buonassisi è tutto un programma: Polpette & pallottole: romanzo afrodisiaco di un cuoco diabolico.
Abbiamo nominato Veronelli e Buonassisi non solo per evidenziare ancora una volta la vivacità e la varietà di interessi di due maestri della cucina italiana. Con Veronelli, a onor del vero, ci troviamo di fronte a un personaggio di acclarato spessore internazionale, come grande codificatore, lui, anarchico irriducibile, della cultura e del linguaggio legati al vino, ma anche in virtù delle sue attività di natura eco-eno-gastronomiche.
Quel che volevamo rilevare, citando questo curioso, comune interesse, manifestato tardi, ma come segnale di vitalità e di trasgressiva "eterna giovinezza" intellettuale è che quando si parla di cibo e giallo si è abituati a parlare di giallisti che si cimentano con la gastronomia e i casi come quelli appena citati (gastronomi che scrivono romanzi gialli) sono un aspetto invece molto più raro e pertanto degno di curiosità e attenzione.
Prima di Maigret
Nei primi decenni della sua storia (molti decenni se risaliamo a Poe, ma anche soltanto a Collins e, soprattutto, a Conan Doyle), a parte qualche vago riferimento, più che altro a tè e pasticcini, a rarissime citazioni, scontatissime, di champagne e generici cibi francesi, i detective non sanno cosa vuol dire nutrirsi. E la cosa riguarda allo stesso modo Sherlock Holmes e Marlowe (per parafrasare il convitato di pietra del Don Giovanni mozartiano, "non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo"…mentale, come Holmes, o morale, come Marlowe).
La "sacra" triade, Maigret, Nero Wolfe e Pepe Carvalho
Il cibo come elemento non puramente decorativo ma perfettamente inserito nel plot narrativo compare nel giallo con il Maigret di Simenon nel 1929 (Pietr il Lettone), seguito dal Nero Wolfe di Stout (La traccia del serpente, 1934). Per decenni, si può dire, rimarranno loro i veri, i soli, inarrivabili punti di riferimento del rapporto fra giallo e cibo.
Almeno fino alla comparsa (1972, Ho ammazzato J. F. Kennedy) di Pepe Carvalho, protagonista dei romanzi di Manuel Vázquez Montalbán, al quale si deve quella che qualcuno ha chiamato "l'apoteosi del rapporto fra giallo e cibo".
Il giallo gastronomico mediterraneo e una nuova triade: Camilleri, Izzo, Markaris
A Pepe Carvalho si deve anche la successiva "esplosione" del milieu gastronomico nel giallo mediterraneo, come ha fatto rilevare recentemente il greco Petros Markaris (creatore del Commissario Charitos, insaziabile consumatore di souvlaki). Accanto al greco, ai nostri Camilleri e Comastri Montanari (specializzata quest'ultima, per via del suo protagonista, il magistrato romano Publio Aurelio Stazio soprattutto, anche se non solo, in cucina romana antica) va naturalmente citato il grande (mai troppo rimpianto per la sua prematura scomparsa) Jean-Claude Izzo, marsigliese e mezzo italiano, tanto da chiamare il protagonista della sua trilogia noir Montale, in omaggio al grande poeta milanese-genovese (sempre mediterraneo è il riferimento).
Non solo triadi
Nella mostra di Imola e Forlì sono presenti solo alcuni degli ormai tanti epigoni dei tre grandi giallisti gourmet della storia (Simenon, Stout, Vázquez Montalbán). Ne abbiamo già citati alcuni, la cui importanza consiglierebbe di evitare anche l'appellativo di epigoni.
Niente epigoni, allora. Soltanto giallisti che, come i loro grandi predecessori, hanno scoperto che parlare di cibo in un romanzo poliziesco non è sempre solo in funzione di divertissement, come in tanti culinary mysteries americani, escluso Rex Stout, e inclusa al contrario Patricia Cornwell. Nell'Europa continentale, e nel giallo mediterraneo in particolare, la funzione del cibo nel giallo non è quasi mai evasivo, o solo evasivo, non è solo la necessità di contrastare il dolore e la morte con il piacere e la vita, ma è un elemento ulteriore - e non secondario - di immersione totale nella realtà e nel vissuto quotidiano: tra i nomi presenti nella mostra si possono ricordare il cinese-americano Xiaolong Qiu (La misteriosa morte della compagna Guan), gli italiani Renato Olivieri (Il caso Kodra), del cui Commissario Giulio Ambrosio si ricorda una bellissima interpretazione di Ugo Tognazzi, Giancarlo Leucadi (Il confessore a mezza paga), Valerio Varesi con il Commissario Soneri, già prenotato per la TV nell'interpretazione di Luca Barbareschi (Il grande fiume), Marco Vichi e il suo commissario Bordelli (Il nuovo venuto). Abbiamo sicuramente fatto torto a qualcuno, ma lo spazio è tiranno e una selezione si porta inevitabilmente dietro perplessità e rimpianti.
Il Club degli Angeli di Luis Fernando Verissimo
(Milano, Ponte alle Grazie, 2002)
Una menzione a parte ci sentiamo di farla per uno scrittore brasiliano, proprio perché la sua esclusione dalla mostra, in parte giustificata dalla consegna di escludere, almeno dalle sezioni affidate al sottoscritto, in linea di massima, i cosiddetti "giallisti per caso" (o anche di un solo libro - giallo -), tra i quali nomi eccellenti come Eco, Gadda, Dürrenmatt, Pessoa, ecc. spesso confluiti in altre sezioni, lo penalizza più degli altri in rapporto alla qualità del romanzo.
Si tratta di Luis Fernando Verissimo, del quale Ponte alle Grazie ha tradotto nel 2004 Le bugie che raccontano gli uomini e, soprattutto, per quel che ci riguarda, Il club degli angeli (2002), giallo gastronomico, con l'accento sull'attributo, come è raro trovarne. Come da risvolto di copertina: "Da un protagonista della scena letteraria brasiliana un divertissement di altissimo livello, che condisce la suspense con l'umorismo e lo stile, e indaga provocatoriamente sul legame fra il cibo e la morte."
Per finire, un assaggio della scrittura e dello stile di questo "piccolo gioiello di fantasia
e di cinismo, da consumare senza moderazione. A vostro rischio e pericolo..." (Luxenburger Wort)
"Non è dato tutti i giorni ammirare un pastoso Van Gogh o ascoltare una croccante fuga di Bach, oppure amare una donna succulenta, ma tutti i giorni si vuole mangiare, la fame è il desiderio più reiterato, è l'unico desiderio reiterato, perché la vista viene a mancare, l'udito viene a mancare, la potenza sessuale viene a mancare, la ricchezza viene a mancare ma la fame continua, e se la nausea per Ravel dura una vita, la nausea per la béchamel dura un so! giorno. E tuttavia, per quanto satolli, non saremo mai più satolli come lo siamo ora, ricolmi delle nostre virtù e del gusto dell'amicizia, a tavola e nella vita, e nel cognac".
E sollevò il bicchiere, facendo sì che tutti lo imitassero. "Signori, esultate. Siamo al nostro apice". Tutti bevvero, dopodiché lui aggiunse: "Signori, piangete. È iniziato il nostro declino".
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