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MenSA intervista Salvatore Gelsi
Mangiare da morire

Salvatore Gelsi Salvatore Gelsi si occupa di storia e di sociologia del cinema. È l'iniziatore di un fronte di ricerche che collegano il cinema all'alimentazione, il vedere al mangiare, la storia sociale all'immaginario collettivo, confluite poi in Ciak si mangia. Dizionario del cinema in cucina (2000) e Lo schermo in tavola. Cibo film e generi cinematografici (2002), editi entrambi da Tre Lune.
[Sue anche le prime cento schede che hanno dato l'avvio alla sezione Film della grande banca dati Cultura Gastronomica Italiana (www.culturagastronomicaitaliana.it).]

L'ultima sua fatica è A tavola con Hitchcock, di cui si tratta ampiamente in questo numero della rivista nello speciale Speciale Hitchcock, l'uomo che mangiava troppo.

MenSA: In una conversazione privata mi sembrava di aver capito che con questo ultimo, bellissimo (in tutti i sensi) libro sul mago del brivido, avresti portato a compimento il tuo progetto culturale e di ricerca: l'inventario (Ciak, si mangia), la teoria (Lo schermo in tavola), l'esemplificazione (A tavola con Hitchcock). Un finale col botto, se fosse vero (ma noi siamo più propensi a credere a un ricomincio da quattro. In poche parole tue, la storia e il significato di questo progetto di ricerca.
S. Gelsi: Spesso sono le belle letture ad avviare le ricerche. Gli insegnamenti dello strutturalismo lungo la linea Althusser-Foucault-Barthes fino al lavoro di Pierre Sorlin che ritengo un maestro nello spostare l'attenzione dal film a un mondo di interazioni storiche capaci di suggerire mentalità, determinare ideologie e comportamenti. Il fatto di essere Bolognese e di essermi formato alle lezioni di Pietro Camporesi e di aver seguito poi le ricerche di Massimo Montanari, costituisce l'altro background. Una domanda molto ovvia, nel 1999 ha dato il via alla ricerca: se sappiamo che il film è un dispositivo e ne possiamo comprendere il funzionamento, come funzionano alcuni motivi ricorrenti dentro il dispositivo stesso? In altre parole, se è facile osservare come il cibo in genere sia una presenza costante dentro quasi ogni film e fin dai tempi di Lumière e Meliés che cosa vorrà mai dire? Come inciderà nella funzione narrativa la relazione tra mangiare e vedere? Le prime risposte sono state messe in evidenza, dalla parte della cucina in Ciak si mangia! Dizionario del cinema in cucina (2000), dove, in forma di citazione, sono sotto gli occhi di tutti un campionario di presenze tra le più varie e disparate. A questo punto ne Lo schermo in tavola. Cibo film e generi cinematografici (2002) si trovava dentro il racconto cinematografico il funzionamento e il meccanismo grazie alla funzione assunta dai generi, cioè che la ragione vera del dispositivo (sia cinematografico che narrativo) è il pubblico, chi conosce e riconosce grazie a topos e motivi ricorrenti il senso della storia rappresentata E, ricetta facile facile il cibo, lo sanno bene filosofi, psicoanalisti e antropologi ha sempre e comunque a che vedere con l'identità del soggetto. Il cinema in forme diverse non fa che reiterare queste idee perché vista, gusto e l'olfatto diventano percezioni sovrapponibili e sostituibili l'una all'altra: si applicano al corpo dello spettatore, un corpo in transito pronto a non fermarsi mai, scorrevole come un fiume di pixel, istantaneo come un algoritmo in un chip. Il rischio è di non accorgerci che l'essenza del prodotto non si trova quasi più né sullo schermo né nel piatto, ma ancora una volta nella relazione che intratteniamo con esso.
MenSA: Esemplificare con Hitchcock. A parte il richiamo irresistibile del nome (sinonimo di successo, crediamo e te lo auguriamo, anche editoriale), perché altro?
S. Gelsi: Hitchcock fonde meglio di qualsiasi altro, e lo fa in modo geniale, la vita e il cibo. "L'uomo non ha bisogno solo di bei film ma anche di pasti abbondanti..." diceva e se la vita è rappresentazione, cioè cinema, il cibo è l'energia per qualsiasi forma di vita unicellulare o meno. Fin qui la chiara consapevolezza del maestro, che non sfugge però alla complessa relazione che noi intratteniamo con l'altro, cioè con ciò che sta fuori di noi (il cibo) e di cui non possiamo fare a meno, pena la malattia e la morte. Sarebbe fin troppo facile, e ho cercato volutamente di evitarlo, osservare che oggi Hitch sarebbe considerato dalla medicina un bulimico compulsivo. Piuttosto, ho voluto mostrare come un grande gourmet( collezionista maniacale di vini e di opere d'arte) abbia sapputo comprendere la valenza simbolica del cibo e quanta misteriosae originaria cultura vi sia connessa, come sintetizzi, in fondo, l'umanità fin dalle sue radici, diventando archetipo degli istinti primordiali: l'uomo si sente onnipotente se può dare la morte, il cibo è onnipotente perché dà la vita. Alla fine è evidente che dentro questa relazione si celi un conflitto…" il cinema è Il caso Paradine la vita senza le parti noiose" diceva. Nel cinema ci sono dunque soltanto due tipi di cibi: i dolci e gli altri alimenti e "i miei film sono pezzi di torta". Ma nel sadico gioco che egli conduceva con se stesso, proiezione dello sventurato spettatore, il cibo è associato con il dominatore dei film: l'omicidio. Nella sua vita perennemente a dieta, riusciva con genialità a far traslare come se fosse un transfert quello che rappresentava sullo schermo. In realtà, omicida e vittima diventavano la stessa persona, quella che nella vita si nutriva di cibo, nella morte lo sottraeva. Ciò che sto dicendo nel libro è trattato con leggerezza, tra aneddotica divertente, burle, ricette ecc. Insomma, comico e tragico, generi non praticati da Hitch ma sempre presenti dentro di lui sono i crinali del suo rapporto con un peso che oscillava sui 140 chili.
MenSA: Vuoi spiegare il senso di un'espressione ricorrente nei tuoi lavori, che forse racchiude, come in un motto, il senso complessivo, ultimo e profondo del tuo approccio teorico al rapporto cibo e cinema? Il cibo e lo sguardo. Cioè...
S. Gelsi: Molte volte sullo schermo il cibo è pura visione, non ne possiamo coglierne il sapore è solo spettacolo, come il film è racconto di vita vissuta emozionalmente a… pagamento (il costo del biglietto). Quel cibo è lì per qualche ragione, non solo per essere riconosciuto ma per mostrarsi, guardare oltre e fissare, alla fine, una qualche identità nell'essere consumato, ovvero sprigionare una energia relazionale di tipo visivo. Lo si guarda e ci guarda. Da questo enunciato possiamo partire col riconoscerlo in chiave storica, sociologica, narratologica ecc
MenSA: Esiste un genere più adatto alla rappresentazione del rapporto dell'uomo col cibo? E se no, puoi riassumere il diverso ruolo che il cibo (o la sua privazione, la fame) assume nei principali generi?
S. Gelsi: Per esclusione esiste un genere dove è difficile far entrare il cibo: è il Musical. Ma Vincente Minnelli c'è riuscito benissimo. La commedia e il comico giocano con il cibo scambiandone il significato, lo usano come significante. Il western, il genere di guerra e il noir sono dettati dal ritmo-tempo del cibo consumato. Lo storico e l'avventura lo usano per spazializzare e definire cronologie (talvolta in modo ridicolo) e nei film d'amore è relazionale…Privazione o eccesso è un macrotema sociologico che permette di spiegare, in parte, il contesto ambientale del racconto nella sua dimensione etnologica. Un gioco divertente per capire se il film è un documento sociale o è capace, al contrario di documentare solo se stesso.
MenSA: Siamo a febbraio, San Valentino (festa in gran parte fasulla, al di là dell'antico connotato rituale e festivo del giorno dell'anno 14 febbraio): cibo e amore, cibo ed eros nel cinema. Facile facile. A te l'ardua sentenza.
S. Gelsi: Nel 2000 la distribuzione cinematografica puntò su San Valentino per gettare nelle sale Chocolat e fu un successo di pubblico clamoroso. Se mi chiedi cosa rivedere, punterei su Il cuoco,il ladro, sua moglie e l'amante (1989) di Peter Greenaway. Lezione magistrale sul cibo come atto d'amore, cioè consegnare una parte di sé all'altro per farsi divorare simbolicamente. Oppure Notorius di Hitch, dove il bacio più lungo della storia del cinema è inframmezzato da cosa si può mettere poco più tardi in tavola con espliciti riferimenti a come mettersi a letto...
MenSA: Dulcis in fundo (almeno una metafora gastronomica è d'obbligo quando si parla di cibo): senza impegno e senza pensarci su troppo, dacci qualche titolo, 5-10, non di più, di "imperdibili", a prescindere dai generi, dalle cinematografie e dalle culture gastronomiche.
S. Gelsi: Tra i classici, Frenzy (1972) di Hitchcock è sempre una scoperta culinaria ogni volta che lo si rivede, Un cena quasi perfettaè infinito nei suoi dettagli; Soul food - I sapori della vita (1988) di G. Tillman Jr è solitamente trascurato nelle varie rassegne, ma è quanto di meglio ha espresso il cinema americano. La famiglia (1986) di Scola è l'archetipo de La cena (1998), mentre Storia di noi due (2000) di Bob Reiner, ci fa scoprire( provare a vedere i film precedenti o successivi), come anche questo regista sia ossessionato dal cibo. Anche Una cena quasi perfetta (1996) di S. Title è certamente sottovalutato, ma la logica secondo cui il cibo dà la vita ma può anche toglierla è decisamente Hitchcochiana. E a chi gli chiedeva come avrebbe preferito essere ucciso, sornione rispondeva: a tavola.

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