A tu per tu col Calvados
Il tempo delle mele
di Orazio Latini
In primavera, la fioritura degli alberi di mele promette una raccolta generosa: e fa già immaginare quei pomi fragranti che verranno subito messi sul mercato, o trasformati in confetture, in torte casalinghe, in piccola e grande pasticceria artigianale. In Normandia, nell'estremo nord della Francia, 9 milioni di alberi di mele si vestono di rosa e di bianco per un'altra ragione: aspettano cioè di fornire la materia prima al Calvados, la raffinata acquavite locale ottenuta per distillazione del sidro.
Antiche testimonianze celtiche e poi romane segnalano già la presenza copiosa sul suolo normanno di alberi di mele, allora selvatici ma nondimeno considerati sacri dalle popolazioni indigene. Nel Medioevo la storia della mela iniziò a confondersi con quella del sidro, ma fu solo nel XVI secolo che un primo scritto ufficiale menzionò la distillazione del "vino di mele" allo scopo di ottenere un'acquavite. Più tardi, ai tempi della Rivoluzione Francese, il distillato del dipartimento di Calvados - presto ribattezzato a sua volta Calvados - si diffuse rapidamente a Parigi, e dalla capitale prese lo slancio per essere distribuito in tutta la Francia e in molti altri Paesi del mondo.
Oggi in Normandia vengono coltivate alcune centinaia di varietà diverse di mele: piccole, ricche di quei tannini su cui sono fissati gli aromi, sono poco adatte all'assaggio. Sono invece eccezionali per essere lavorate assieme e per dare al sidro un equilibrato bilanciamento delle loro caratteristiche differenti: dolcezza, amarezza, acidità.
Una volta raccolte e selezionate meticolosamente, le mele vengono avviate alla produzione del sidro base, il prodotto intermedio che, sottoposto a distillazione, dà origine al Calvados. Sgorgando dagli alambicchi, il Calvados è ancora incolore, e ha quindi bisogno di essere invecchiato in fusti di quercia. Le sostanze tanniche del legno gli donano così il suo tipico colore ambrato, e grazie all'interazione incessante tra la giovane acquavite e le doghe di rovere, il Calvados acquisisce col tempo la propria finezza, la propria pienezza, il proprio aroma elegante.
Sulle etichette, la menzione dell'invecchiamento non è obbligatoria. Tuttavia alcune diciture ormai tradizionali danno un'idea indiretta dell'età dei vari prodotti: "Trois Étoiles" o "Trois Pommes" (invecchiamento in legno di almeno 2 anni), "Vieux" o "Réserve" (almeno 3 anni), "VO", "Vieille Réserve" o "VSOP" (almeno 4 anni), "Napoléon", "XO", "Extra", "Hors d'Age" o "Age Inconnu" (almeno 6 anni).
A completare un ventaglio così ampio ci sono poi gli assemblaggi, che indicano l'età dell'acquavite più giovane, e i millesimati, che riportano l'anno di distillazione. Per quanto riguarda invece la provenienza geografica, il Calvados del Pays d'Auge (autentico cuore della regione DOC) è considerato quello col gusto più autentico e più pieno.
La tradizione dei tempi andati suggeriva, su una tavola riccamente imbandita, il rito del trou normand, letteralmente il "buco normanno": un bicchierino di Calvados liscio, cioè, interrompeva un pasto importante, e veniva bevuto dopo le portate di pesce e prima delle carni. Lo stacco facilitava la digestione e donava nuove energie per la seconda parte del pranzo o della cena. Inutile sottolineare che ai nostri giorni l'energico brindisi è spesso sostituito da un sorbetto.
Oggi il Calvados è usatissimo in gastronomia (nei secondi, nei sorbetti, sulle macedonie e sui gelati), ed è base di gradevoli cocktail e long drink. Tuttavia è come raffinato distillato da meditazione che il Calvados, soprattutto se invecchiato, offre il meglio di sé: dopo il caffè, centellinato in un esile bicchiere a tulipano o in un piccolo e raccolto ballon, lo spirito normanno sprigiona l'alchimia segreta dei suoi assemblaggi, e combina mirabilmente il fruttato delle mele del nord con l'avvolgente complessità del legno che l'ha affinato.
I nomi dei Calvados migliori sono già evocativi di un mondo affascinante e lontano: Père Magloire, Boulard, Lecompte, Morin, Château du Breuil, Groult.
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