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Cioccolato: perfetta fusione tra uomo e natura
di Francesca Gamberini

Pianta del cacao Il cioccolato è un mito della storia gastronomica: definito già nel settecento il cibo degli dei, oggi gli sono dedicati musei in tutto il mondo, esistono numerose monografie che si occupano della sua storia, ricettari che ne declinano le potenzialità culinarie in tutti i modi possibili, studi scientifici che ne analizzano le caratteristiche nutrizionali, è il "protagonista"di romanzi e film di successo, di fiere e, da ultimo in ordine di tempo, ci sono numerosi siti internet a disposizione di golosi telematici a caccia di notizie e curiosità. Ci sono pochi altri prodotti nella storia dell'alimentazione che possono vantare un successo altrettanto duraturo, uno fra tutti è lo Champagne, bevanda mitica sinonimo di festa e ricchezza.
Ma che cosa c'è nel cioccolato che ha reso possibile una sua permanenza nelle preferenze del gusto attraverso i secoli? Un mito che ha alla base sicuramente le qualità intrinseche dei semi della pianta ma che si è costruito grazie alle capacità dell'uomo.
Il successo che si è protratto fino ai nostri giorni si deve intendere infatti come il prodotto della stratificazione delle culture alimentari che si sono succedute nei secoli. Le qualità naturali dei semi della pianta di cacao non sarebbero infatti un elemento sufficiente per spiegare tanta fama: è l'incontro di queste qualità con la mano dell'uomo che ha portato il cioccolato in vetta alle classifiche dei gusti di tutti i tempi. Ed è l'uomo che ne ha ritualizzato gli usi, aggiungendo all'innegabile valore nutrizionale, significati simbolici legati al momento del consumo.

Un altro importante fattore nella costruzione del mito del cioccolato risiede sicuramente nella versatilità di questo prodotto alimentare che può essere bevanda o cibo, amaro e dolce, speziato o puro: il suo gusto si è adattato ai gusti. Se vogliamo ogni sistema culturale ha saputo produrre un suo cioccolato.
La fama di cibo mitico ha radici in un passato molto remoto. In principio furono gli Olmechi, una popolazione insediata nelle giungle dell'attuale Messico sud-orientale nel 1000 a.C. circa, a scoprire la possibilità di estrarre dai semi della pianta, attraverso una particolare tecnica, una polvere da sciogliere in acqua per ottenerne una bevanda dagli straordinari poteri. Poi le civiltà mesoamericane ne coltivarono il mito nei secoli, fino a quando allo scorcio del XV secolo arrivarono gli spagnoli che ne portarono i semi e le tecniche di lavorazione in Europa. Le corti aristocratiche eleggono il cioccolato bevanda di classe: è il momento della grande diffusione dei prodotti esotici provenienti dalle nuove terre di colonizzazione, l'appropriazione del nuovo mondo si manifesta anche attraverso l'assimilazione dei suoi prodotti nella cultura tradizionale. Nel corso di due secoli nei boudoir di tutte le dimore nobili d'Europa si consumano pigramente tazze dell'esotica bevanda, dai poteri vagamente eccitanti e dal gusto dolce e speziato. L'aumento della produzione e l'intensificarsi dei commerci rende il cioccolato alla portata di un pubblico sempre maggiore: in Inghilterra alla metà del XVII secolo fanno la loro comparsa le Chocolate houses, luoghi pubblici in cui consumarne piacevolmente una tazza.

Con il passare dei secoli e il progresso della tecnica anche in cucina, il cioccolato cambia ed acquista una nuova consistenza: da polvere utile solo alla preparazione di una bevanda, diventa anche la base attraverso cui ottenere un alimento solido da mangiare sotto forma di tavoletta o da usare per preparazioni di pasticceria. Le vie del commercio internazionale sono percorse da navi cariche di semi che dalle colonie vengono portati in Europa per essere trasformati. Le piccole produzioni artigianali insieme all'industria alimentare confezionano con il cioccolato dolci di ogni tipo per un numero sempre maggiore di persone. La sostanza non cambia ma le forme alimentari in cui troviamo impiegato il cioccolato si moltiplicano. Ora non è più solo la bevanda aristocratica associata alla vita oziosa di nobili voluttuosi. I cambiamenti nella struttura sociale, l'allargamento del consumo ad una parte più ampia della società e lo sviluppo delle nuove tecnologie industriali, comportano anche una maggiore articolazione dei significati a cui è legato il consumo del cioccolato e dei suoi derivati.

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I gusti cambiano insieme alla società che ha via via sempre maggiori possibilità di accedere ai prodotti di consumo. Questo fenomeno si accelera moltissimo negli ultimi due secoli. Il cioccolato si adatta in modo straordinario ai cambiamenti connotandosi in modo sempre diverso : il cioccolatino è il dolce da offrire alle donne, strumento di seduzione; la cioccolata è il cibo preferito dai bambini, il premio per essersi comportati bene; durante la seconda guerra mondiale, momento di fame nera del popolo italiano sotto assedio, è il cibo della liberazione, lanciato dai carri dai soldati americani che sfilano per le strade delle città liberate. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che da quando il cioccolato si diffonde in Europa molto si è scritto sulle sue qualità dietetiche: fa bene, fa male, è stimolante, ingrassa, mette di buon umore, aumenta la libido, fa venire le carie ai denti etc… studi che naturalmente hanno contribuito ad alimentare il mito nel tempo e a condizionare in un senso o nell'altro i consumi.
Oggi il gusto del cioccolato si sta adattando al gusto contemporaneo. Innanzitutto il linguaggio che viene utilizzato per definirne le qualità: si parla di cru per le tre principali varietà, di terroire e si fanno degustazioni, proprio come se si trattasse di vino.
Ora il valore aggiunto che si offre al consumatore è l'indicazione della zona di provenienza del cacao e la percentuale di esso contenuta in una confezione. A guardar bene quindi, rispetto a solo vent'anni fa le cose sono già cambiate. Nel settore della cioccolata in tavoletta, quello che distingueva un prodotto da un altro era soprattutto la marca di produzione: c'era chi preferiva la Lindt e chi la Novi, oggi un gourmet parla di cacao al 70% o di cioccolato del Ghana.

Se è vero che nella costruzione del mito del cioccolato uomo e natura trovano una intesa quasi perfetta, non bisogna dimenticare che esiste un rovescio della medaglia. I paesi in cui si coltiva il cacao sono quasi tutti ex possedimenti coloniali, oppure zone dalle economie disastrate i cui contadini non hanno potere contrattuale. Da secoli si sfrutta la manodopera locale, formata troppo spesso ancora oggi da profughi e da bambini, per alimentare un commercio i cui frutti finiscono nelle tasche delle multinazionali dei paesi occidentali ricchi. La nascita di organizzazioni come quella dei Fair Trade, che cercano di tutelare i piccoli produttori dei paesi poveri, è certamente un aspetto della cultura contemporanea che va tenuto in considerazione anche quando si parla di cacao.

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