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La pagina di Piero Meldini
Contegno, signora, siamo a tavola!
di Piero Meldini

Qual è l'atteggiamento che più si conviene, a tavola, alle signore? L'assoluta inattualità della domanda richiede, coerentemente, risposte altrettanto anacronistiche, che andremo a pescare in un sussiegoso e un po' pedante trattatello cinquecentesco. Di parte maschile, va da sé. È lecito sorriderne: anche per esorcizzare la strisciante sensazione che il rapporto della donna col cibo, altalenante tra l'anoressia e la voracità, resti teso e complicato, forse perché ritenuto specchio - vero o presunto, fedele o deformante - di più privati appetiti.

L'operetta a cui mi riferisco è l'Instituzione della sposa, scritta dal gentiluomo riminese Pietro Belmonti (1537-1592) in occasione delle nozze della figlia Laudomia e data alle stampe a Roma nel 1587. Cavaliere di San Giorgio, più volte insignito di incarichi pubblici, persona di vaste e buone letture e poeta a tempo perso, Belmonti si propone qui di disegnare l'identikit della moglie ideale: donna pia, spesso raccolta in preghiera, generosa nelle elemosine, attiva, economa, gelosissima del suo onore e attentissima alla sua reputazione, tanto da "fuggire non solo la vita, ma ogni parola poco honesta"; donna che parla poco, che si sottrae al "vano errore dove precipitano si può dire tutte le donne", cioè al lusso eccessivo delle vesti e dei gioielli, che non si imbelletta ("il colorarsi e l'imbiancarsi [è] cosa abominevole": figuriamoci perciò il tatuarsi), e che ama il marito solo "perché egli le è marito, e non per qualsivoglia altra condizione", che gli è devota e sottomessa, onora i parenti e gli amici di lui, non lo contraddice, non lo contrasta e asseconda supinamente ogni suo desiderio. E scusate se è poco.

A questo specchio di tutte le virtù possibili e immaginabili, a cominciare dalla pazienza, è chiesto, qualora per sua disgrazia sia invitata "a' pubblici banchetti", di mostrarsi innanzi tutto "molto riservata" e "ritirata e parca" nella conversazione. Costei - abbia una fame da lupo o mal di stomaco - non sarà né troppo "bramosa" né troppo "isvogliata" del cibo: indizio, il primo atteggiamento, di intemperanza e il secondo di schifiltosità. Ringrazierà chi le offre il boccone del prete, ma senza rivelarsene "molto vaga", e si guarderà dall'attingere dal vassoio quando qualcun altro si sta servendo, o dal bere quando altri bevono. Chissà poi perché.
Le norme di galateo conviviale sembrano sfondare porte aperte, salvo che i commensali siano tutt'altro che inappuntabili. Non è bello, per una signora, installarsi con tutt'e due le braccia sulla tavola o "far strepito con la bocca" mangiando. Né è fine pulirsi le mani col pane "per risparmio della salvietta", leccarsi le dita, asciugarsi il sudore, grattarsi, sputare e "spurgarsi sconciamente il naso sul più bel del mangiare". E nemmeno è il caso di mettersi a raccontare "cose dolorose e stomacose affatto". C'è da sperare che queste auree regole valessero non meno per i cavalieri che per le dame. A giudizio di Belmonti (e dei suoi contemporanei) è ritenuto gravemente sconveniente lasciare un sorso nel bicchiere o un pezzetto nel piatto: "il boccon della vergogna" egli lo chiama (e tuttora, in Romagna, sopravvive l'espressione "creanza dei contadini", relitto di tempi in cui lo spreco era censurato).

Ciò che chiunque, "e tanto più casta donna", deve fuggire come la peste, è alzare il gomito: "Avvertirai" ammonisce Belmonti "che il nappo con che bevi non sia molto grande, né al tutto pieno, e che sia il vino molto ben inacquato". E se poi seguono le danze, le signore non siano scortesi e accettino pure qualche invito, ma rifuggano dal ballare "il ballo che noi sogliam chiamare la Gagliarda", considerato, all'epoca, una danza sensuale e peccaminosa.

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