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"¡No hay pulpo sin vino tinto!"

La veridica storia di Manuel Vázquez Montalbán, un piatto di polpi e una bottiglia di vino rosso

L'anno era il 1992 e il mese doveva essere giugno, perché in TV c'erano gli europei vinti dalla Danimarca, ripescata (dai diversi mari del mondo in cui nuotavano i suoi nazionali in vacanza) al posto della Jugoslavia per via della guerra in Bosnia.Manuel Vázquez Montalbán
Una sparuta (ma appariscente per via di Guccini e della bella Paola Salsi) rappresentanza del Premio Ghostbusters (racconti gialli italiani), parente stretto di MenSA (il sottoscritto ne era, in anticipo coi tempi, il rappresentante) fu ospite del Noir in Festival di Viareggio. A cena la presenza illustre di Francesco ci collocò a un tavolo di primissima fascia, anche intimo, se vogliamo. In tutto eravamo 8, tra i quali, a stretto contatto di gomiti e alla portata della mia voce e delle mie orecchie, la bella Paola, l'amico Guccini e il suo steward personale (nella fattispecie, chi scrive), Silvia, redattrice di Feltrinelli, il regista Nicholas Roeg, in concorso con Cold Heaven, e sua moglie Theresa Russell, splendida protagonista del film e del cult Whore. Completava splendidamente la compagnia colui che già allora era, ai miei occhi di lettore di gialli, di amante della letteratura spagnola, degli scrittori gourmet, il vero grande protagonista Manuel Vázquez Montalbán, affiancato dal suo angelo custode, Hado Lyria, alias Myriam Sumbulovich, amica dello scrittore e traduttrice di tutti i suoi libri.
Non Pepe Carvalho che, in virtù di una programmatica e rassicurante presa di distanza da parte dell'autore, in fatto di Manuel Vázquez Montalbángastronomia non ha mai detto nulla di rilevante. Perché, del resto, diceva Manolo "nessuno scrittore si sente responsabile per intero del comportamento dei suoi personaggi, e assai meno del suo protagonista" (gli strafalcioni gastronomici di Pepe gli appartengono tutti e in esclusiva). Teoria ribadita recentemente in una intervista al Salone del gusto di Torino dell'ottobre 2002: "Io non sono Carvalho, che è una creatura letteraria che io utilizzo per i miei romanzi: è un cuoco che si occupa di investigazioni, e per lui la cucina serve a rilassarsi."
Qui non si ricorderà allora Pepe Carvalho. Se ne avrà, su MenSA e altrove, tempo e modo. Vogliamo raccontare quell'episodio del giugno 1992 che appartiene per intero a Manuel e che scolpisce la figura di Vázquez gourmet e di Montalbán uomo, che aveva tutte le straordinarie qualità, nessuna esclusa, repertoriate dai media, tra materiali d'archivio e dichiarazioni colte, come si dice, a volo, tra veri e falsi amici, veri e falsi colleghi.
Radunati in una vasta sala di un Palazzo dei congressi di Viareggio, privo, naturalmente di ristorante, si discorreva, al nostro tavolo, veramente di tutto, dal cinema al calcio allaManuel Vázquez Montalbán letteratura poliziesca, di poesia catalana. Guccini parlò con Manuel di Joan Manuel Serrat, comune amico catalano, autore, tra l'altro, de La tieta, bellissima canzone tradotta in italiano, per Mina, come Bugiardo e incosciente (?).
A un certo momento atterrano sulla tavola due maestose piramidi di polpetti, fritti e in insalata tiepida.
Con ovvia naturalezza Manuel si sentì in diritto di rivolgere all'incolpevole cameriere la fatale richiesta: "¿No hay vino tinto?". "Chiedo, signore", rispose quegli, leggero e tranquillo, ignorando l'importanza e la serietà della richiesta e ignorando, più in generale, povero allievo di qualche scuola alberghiera italiana, portavivande su due gambe, l'esistenza di un mondo, di una dimensione in cui determinate mancanze equivalgono all'analfabetismo totale. Non tanto e non soltanto perché è largamente preferibile e preferito, non solo in Catalogna, innaffiare (e anche cucinare, in molte preparazioni) i tentacolari molluschi con vino rosso, ma perché è fuori di ogni possibile immaginazione che un qualsiasi catering minimamente civile, professionale, non sia in grado o non voglia far fronte a piccolissimi imprevisti come quello.
Alla risposta negativa del cameriere, che si prese, per assolvere a tale incombenza, il tempo occorrente per consentire al fritto di intiepidire e alla tiepida insalata di freddare, si spezzò una delle corde più tese e delicate del carattere di Montalbán, Le ricette di Pepe Carvalhoin cui convivevano, in ugual misura, spigoli e rotondità, spigole e polpi, per stare ironicamente al protagonista dell'episodio che andiamo raccontando: Manuel, "uomo scontroso e allegro, ironico, fermo e coraggioso" (Tabucchi, sull'Unità di domenica 19 ottobre). Montalbán, uomo assai educato, senza offendere il messaggero, ebbe uno scatto d'ira fragoroso e indignato, prolungato al punto di rovinargli l'umore per il resto della serata, vani tutti i tentativi dei suoi commensali - solidali - di fargli ingoiare un polpo che era diventato, senza vino tinto, un rospo: "¡No hay pulpo sin vino tinto!".
Non sappiamo, né sapremo mai come avrebbe reagito Pepe Carvalho. Sappiamo come reagì Manuel Vázquez Montalbán. E, nel ricordarlo, comprendiamo davvero chi era il gourmet e chi il cuoco tra Manuel e Pepe. E ci convinciamo sempre di più che le pagine di gastronomia pura che Montalbán ci ha lasciato (e quelle che forse i curatori della sua eredità letteraria ci offriranno postume) hanno un valore e una dignità autonomi e assoluti, cosa che è difficile dire per gli altri grandi scrittori o giallisti gourmet che lo hanno preceduto, Rex Stout e Simenon compresi.
Nessuna di quelle pagine - e delle altre che ha scritto - brucerà mai nei nostri camini.

Rino Pensato

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