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I sapori del passato
Sicilia amarcord...
di Gianni Arcidiacono

Era una notte insonne, piena di fruscii, lunghissima a passare ma anche la più desiderata dai bambini siciliani, parlo della notte tra il 1° novembre e il "giorno dei morti". In terra di Sicilia in quella notte, i morti tornavano per portare doni e dolci ai bimbi. E la mattina del due novembre le case risuonavano di grida di gioia e di scalpicii di piedini nudi che giravano alla ricerca del dono nascosto!

Questo avveniva in tutte le case dalle più ricche alle poverissime, certo i doni erano diversi, ma lo erano anche i tempi, e ogni bimbo era felice di quel che trovava, sia che fosse un superbo trenino elettrico che un piccolo cavalluccio di cartapesta. I dolci erano tutti rigidamente fatti in casa, dalle "ossa di morto" alle "rame di napoli" , e per i più poveri "nsuddi" oppure qualche formina di mostarda. La "mostarda", dolce tra i più poveri eppure tra i più affascinanti, veniva preparata in ottobre e poi conservata con cura affinchè allietasse la "festa dei morti", non tragga in inganno il nome, perché sì poteva avere come base il "mosto" non fermentato (praticamente una spremuta d'uva), ma per i più umili era a base di "fico d'india". Poteva prendere forma da splendide formelle di terracotta di Caltagirone, raffiguranti Santi- animali- fiori e altro, o da più umili piatti usuali. Poteva essere arricchita da cioccolata, noci, mandorle, pistacchi o più umilmente da un trito di noccioline. Oggi nei mercati di Catania della "pescheria" o "a fera o luni" fanno bella mostra di sè formine di mostarda di ambedue i tipi ma, in linea con i tempi, sempre più roba per ricchi, perché le tradizioni hanno i loro costi! Vi svelerò il mistero delle due ricette, semplici eppur laboriose. Si prendono i fico d'india e dopo averli puliti si passano in un setaccio fino, sì da ottenere un succo profumato. Si pone il succo ottenuto in una casseruola e si comincia a cuocere a fuoco lento mescolando e aggiungendo farina (meglio la farina di semola), le proporzioni sono per un litro di succo 100 grammi di farina, si seguita la cottura, mescolando con attenzione per evitare grumi, finchè il composto non abbia acquistato una compattezza semisolida (gelatinosa), a questo punto si aggiunge del cacao amaro in polvere, pezzettini di cioccolato fondente, delle noci finemente tritate o se preferite delle mandorle (o come facevano i poveri non si aggiunge nulla) e si versa il tutto in formine accuratamente bagnate, si lascia riposare 18-24 ore e poi si sforma. Ora la parte di maggiore attenzione, una volta a questo punto si disponeva il tutto su un "cannizzo" coperto con un velo e si esponeva al caldo sole di Sicilia, badando di riporre dal tramonto all'alba il tutto in luogo asciutto e avendo l'accortezza di girare le forme ogni giorno, per evitare la formazione di muffe. Oggi in mancanza di " cannizzo" possiamo usare dei taglieri di legno. Una volta asciutta e acquisita una buona consistenza, sì da essere tagliata con un coltello ben affilato, la "mostarda" è pronta e può essere consumata tagliata in sottili strisce da circa un centimetro.

Per quella di "mosto" (quella dei ricchi, perché il fico d'india cresce spontaneo e lo raccoglie chi vuole, l'uva viene coltivata e costa! ) la procedura è leggermente diversa: si prendono gli acini d'uva e si passano in setaccio fine in modo da ottenere un ottimo succo d'uva (che peraltro è un'ottima bevanda energetica), si pone in casseruola e mescolando a fuoco lento si aggiunge amido per dolci nella proporzione di 80 gr. di amido per un litro d'uva, per evitare l'acidità, una volta si immergeva una calza piena di cenere, oggi basta aggiungere un cucchiaino di bicarbonato, non bisogna essere ne chimici né alchimisti, per sapersi regolare! Il resto del procedimento è analogo. Due suggerimenti: procuratevi qualche bella formina in terracotta e se non avete il sole, oggi si usa il forno (ma con giudizio, moderazione e intelligenza). Non resisto oltre e ne vado a rubare un pezzetto nella dispensa di mia moglie.

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