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La lettura di Montanari
Il formaggio con le pere

Un piccolo assaggio della delizia dell’ultimo libro di Massimo Montanari. Noi non facciamo pubblicità. Semplicemente ci limitiamo a stuzzicare la fame di leggere in chi ama leggere, non solo gli  storici della gastronomia, non solo gli storici tout court, perché in questo libro non c’è solamente quanto promesso nel titolo del libro e nel titolo di questo brano, ma c’è, parlando in metafora, un pranzo completo.
Gusterete certamente questo aperitivo, ma pochi resisteranno, considerato anche l’ottimo rapporto qualità prezzo (15 euro per un libro molto bello anche editorialmente sono decisamente ben spesi), al desiderio di seguire la vicenda fino in fondo, di vedere come va a finire questo proverbio notissimo ma tuttora intriso di contraddizioni ed  enigmi. Non per niente Montanari parla di sceneggiatura per il teatro o per  il cinema. E’ forse un invito, una sfida? Proveremo a chiederlo prossimamente direttamente  all’autore. [Ndr]

Il formaggio con le pere. Un proverbio da decifrare

Il formaggio con le pere

Al contadino non far sapere quanto è buono il for­maggio con le pere.Questo notissimo proverbio è diffuso in molte regioni italiane, con piccole varianti (quanto è buo­no / come è buono) e con declinazioni dialettali che alter­nano le due principali forme con cui uno dei soggetti è de­signato nel linguaggio locale (cacio / formaggio). L'interes­se di questo testo, che ha da tempo catturato la mia atten­zione, sta nella difficoltà di metterne a fuoco il senso, di decifrare la natura contraddittoria che pare caratterizzarlo.
I motti, le sentenze, gli aforismi nascono da rifles­sioni sul senso della vita, sul comportamento da tenere in questa o quella occasione, sulle soluzioni da dare ai pro­blemi pratici della sopravvivenza e della convivenza: «un aiuto che l'uomo offre a un altro uomo», scrive Giuseppe Pontiggia, «una guida per evitare l'errore o porvi rimedio, il conforto che l'esperienza può dare a chi deve ancora af­frontarla». Rispetto ai consigli 'd'autore' di cui è ricca la tradizione letteraria, lo specifico del discorso proverbiale è di non essere firmato, di presentarsi come un «enunciato senza enunciatore» (speech without a speaker, lo ha definito Michael Camille), frutto di una saggezza 'collettiva' che si tramanda in maniera anonima e impersonale. In tal modo i proverbi si stratificano nel tempo fino a costituire nelle culture orali «l'equivalente delle auctoritates nelle so­cietà letterate»: come ha scritto Piero Camporesi, in un mondo analfabeta come quello contadino «il proverbio condensa il sapere non firmato del gruppo» - anche se, non di rado, proprio un testo firmato può essere all'origine del proverbio, rielaborato a partire da una citazione letteraria.

I proverbi hanno spesso come oggetto le relazioni dell'uomo con gli animali, le piante, la meteorologia, le sta­gioni; basati sul «calcolo statistico delle probabilità», essi sono volti «alla risoluzione di bisogni e problemi pratici»: come eseguire un lavoro a regola d'arte, garantire un buon raccolto, conservarsi in buona salute. Altrettanto impor­tanti sono i richiami al dovere, all'onestà, alla correttezza morale - ma anche alla necessità, talvolta, della furbizia e dell'egoismo - che fissano e trasmettono «percezioni attor­no alla natura della vita» (Scully). Consigli e osservazioni dettate dall'esperienza si alternano a luoghi comuni di ap­parente owietà, da tutti condivisibili, che alleggeriscono il discorso e facilitano la comunicazione. Né va dimenticato il ruolo di divertimento e di socializzazione, assicurato dal­la componente ironica e scherzosa che spesso caratterizza i proverbi.
L'argomento cibo compare di frequente nel discor­so proverbiale, oggi come ieri: una recente raccolta di Det­ti del mangiare ne elenca 1738, attestati oggi in Italia in varie forme dialettali. Sul piano storico, Terence Scully ha raccolto centinaia di proverbi di contenuto alimentare nel la tradizione medievale francese e inglese, ordinandoli se­condo un criterio tipologico attorno alle questioni più va­rie: fame e sete; qualità, virtù o pericoli di singoli prodot­ti; cucina, ricette, preparazione dei piatti; consumo del ci­bo, allestimento e servizio dei pasti... Dei temi alimentari si fa spesso un uso metaforico: i cibi, la cucina, il mangia­re sono assunti non solo nella loro dimensione materiale ma anche come termini di confronto, come occasioni per riflettere sulla condizione umana, con ogni sorta di stili re­torici, similitudini, equivalenze, confronti, giochi linguisti­ci, equivoci, strizzate d'occhio.
Non mancano proverbi di natura 'sociale', volti a definire ruoli e doveri di ciascuno, magari per rimarcare la necessità di stare al proprio posto, di non trasgredire gli obblighi del proprio stato. Proverbi che chiamano in cau­sa l'identità delle persone all'interno del consorzio sociale.
Il formaggio con le pere
Proprio in questa tipologia sembrerebbe inserirsi il proverbio del formaggio e delle pere. Ma il nostro testo è decisamente anomalo all'interno della tradizione prover­biale, per il fatto che la sua prescrizione non deriva dal de­siderio di comunicare una qualche forma di conoscenza della realtà, ma, al contrario, dalla volontà di celarla: l'o­biettivo dichiarato è non far sapere, negare l'accesso alla conoscenza - e negarla, paradossalmente, proprio al con­tadino, in un detto che dovrebbe avere (ed effettivamente ha) larga diffusione nel mondo contadino. È quantomeno bizzarro che un ammonimento di 'saggezza popolare' in cui si allude al contadino (in cui, anzi, il contadino è l'u­nico soggetto sociale esplicitamente menzionato) si svolga in assenza del protagonista principale. Se provassimo a sceneggiare questo testo per il teatro o per il cinema do­vremmo rappresentare un personaggio che parla con un al­tro mentre gli consiglia, o gli ordina, di tener fuori il con­tadino (estraneo alla scena) dall'oggetto della loro conver­sazione.
Qualcosa evidentemente non torna. Lo storico si in­curiosisce, si chiede quale origine possa avere un testo del genere, che cosa significhi, a che cosa possa servire.
Erasmo da Rotterdam, quando si accinse a racco­gliere migliaia di aforismi (Adagia) dai testi degli autori antichi, li considerò espressione di una saggezza cristalli­na e di assoluta evidenza, «chiari come una gemma». Il no­stro proverbio è tutt'altro che chiaro, ma è lo stesso Era­smo a suggerirci di usare questi brevi testi, questi aforismi, questi proverbi come altrettante «finestre sul mondo», uti­li non solo a comunicare, in modo arguto e conciso, inse­gnamenti morali o pratici, ma anche ad aprire uno spira­glio sul contesto storico in cui il proverbio fu prodotto: perché ogni proverbio - ogni testo - è radicato in una de­terminata cultura e la esprime, la rivela.
Ciò che ho inteso fare in queste pagine è prendere estremamente sul serio il proverbio del formaggio e delle pere: trattarlo come un testo a pieno titolo e pensarlo come finestra sul mondo, ossia come documento storico. La sua stessa enigmaticità potrà forse aiutarci a comprenderlo.

Da: Massimo Montanari. Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio. Roma-Bari, Laterza, 2008      

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