Editoriale
Elogio del matterello
di Giancarlo Roversi
Lo sanno tutti: una delle tappe fondamentali nel lungo e sofferto cammino della civiltà è stata la scoperta della ruota. Una scoperta che ha abbreviato le distanze, ha reso facili gli scambi e i rapporti fra popolazioni diverse,ha consentito l’antropizzazione di territori sperduti e ha innescato,come in una reazione a catena, l’invenzione di tanti altri preziosi utensili. Fra questi va posto certamente il semplice, modesto, ma inestimabile matterello.
Figlio primogenito della ruota e della felice intuizione del movimento rotatorio scoccata nella testa dell’uomo, questo straordinario attrezzo di cucina ha contribuito in modo determinante all’evoluzione della cultura del mangiare. Se è vero che il grado di civiltà di un popolo si misura anche dalle sue abitudini alimentari, è altrettanto vero che il matterello con la sua duttilità e facilità di impiego nella preparazione dei cibi ha dischiuso nuovi sterminati orizzonti alla gastronomia, compiendo un’opera di indubbio valore culturale. Dalla sua azione indefessa sono scaturite meravigliose creazioni culinarie: tagliatelle e fettuccine, tortellini, lasagne, agnolotti, cannelloni, ravioli, quadrucci, “stricchetti”, ecc. Insomma, la sua apparizione sulla scena della storia ha fatto fare alla vita umana un salto di qualità incontestabile.
Purtroppo molti popoli se ne sono avvalsi con grave ritardo rispetto ad altri già più progrediti; alcuni non l’hanno addirittura mai conosciuto, il che è stato causa di un grave gap in termini evolutivi. E’ il caso degli Incas dell’America del sud che, come si sa, non conobbero nè la ruota nè i suoi derivati e quindi neppure il matterello. Nelle loro forme espressive materiali tutto era squadrato, non esisteva nulla di curvilineo. Per la preparazione delle sfoglie, ovviamente di farina di mais, ammesso per assurdo che le facessero, avrebbero dovuto servirsi soltanto di un...matterello quadrato, ma con quali incongrui risultati è facile immaginare. Al limite potevano usarlo soltanto come strumento di percussione della pasta, che veniva appiattita a forza di colpi ben assestati da collaudate da qualche brava...sfoglina. Una fatica certamente improba e dai risultati assai mediocri. Proprio per questo il popolo inca mentre da un lato ci ha lasciato superbi monumenti architettonici, dall’altro non ci ha tramandato alcunché di interessante in campo gastronomico. E così quando arrivarono quei bellicosi soldatacci dei Conquistadores, affamati sì d’oro ma anche di qualche buon piatto succulento di tagliatelle (si fa per dire) gli Incas seppero opporre soltanto la forza del loro fragile esercito e non quella della loro cucina. Perchè, com’è risaputo, il nemico va preso, ammansito, anche per la gola, anzi è più facile vincerlo con una bella abbuffata che con la spada.. Se fossero stati in grado di applicare questa massima, che se non è machiavellica poco ci manza, la storia avrebbe preso probabilmente una piega diversa.
Facezie a parte, l’utilizzazione del matterello ha radici profonde nel tempo. Noto già alle popolazioni più remote e agli antichi greci, trovò largo impiego anche presso i romani col nome di fistula. Abilmente maneggiato da cuochi e cuciniere casalinghe con esso veniva forgiata una bella sfoglia (tractum o anche tracta), usata per avvolgere polli o altre carni cucinate al forno, per racchiudere succose farce o per farne pasta.
In epoca medievale il matterello (termine derivato da mattero, cioè randello, documentato già nel sec. XIII) continuò a prestare il suo onorato servizio nelle cucine di sovrani, principi, vassalli e signorotti e in quelle di vescovi e conventi, soprattutto di monache. Ecco come il ben noto Libro di cucina del sec. XIV, il codice conservato alla Biblioteca Universitaria di Bologna e pubblicato nel 1863 da Francesco Zambrini, insegna a fare le lasagne, servendosi del nostro protagonista, il matterello:
“Togli farina bona, bianca, distempera con acqua tiepida e fa che sia spessa. Poi la stendi sottilmente (col matterello ovviamente) e lassa sciugare. Debbonsi cuocere nel brodo di cappone o d’altra carne grassa. Poi mettile ne piattello col cascio grasso grattato, a suolo a suolo, come ti piace”.
Si tratta, come si può constatare, di lasagne senza ragù di carne, ma semplicemente intercalate da strati di formaggio grasso grattugiato, quasi certamente il grana.
Col Rinascimento, a poco a poco, il matterello inizia la sua lenta apoteosi fino a diventare, almeno da noi, nella fascia di terra tra il Po e l’Appennino il re incontrastato della cucina. Parlare di ricette e di altre specialità gastronomiche ottenute grazie all’instancabile andirivieni sul tagliere del simpatico pezzo di legno tornito significa ripercorrere una storia che conosciamo tutti. Penso sia più importante concludere con un auspicio: pur nella nostra era tecnologica auguriamoci che la tradizione della sfoglia fatta a mano a suon di matterello non tramonti mai, sia per il bene del nostro palato sia perchè in caso contrario perderemmo un pezzo della nostra cultura.
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