Per una corretta valutazione di un locale
La buona ristorazione in un’equazione
di Gabriele Bergami
Conoscere il locale, sia esso ristorante, osteria, pizzeria o, perché no, wine bar, significa analizzare una condizione nota; significa non doversi esprimere senza averlo provato personalmente alcune volte.
Spesso si sentono furoreggianti pareri di valenti gastronomi opporsi diametralmente ad altri e, dove ci si aspettano spiccate differenze, prevalgono piatti allineamenti.
Cerchiamo allora di imparare da noi la strada per giudicare, pur rispettando gli eminenti pareri dai quali va saputo trarre insegnamento dalle acute considerazioni.
Molte voci, forse troppe, concorrono per l’ottenimento di una espressione qualitativa che non sempre adduce a un congruo giudizio.
Utilizziamo dunque i nostri sensi e rapportiamoli ai relativi soggetti: qualitativo, gustativo, olfattivo e visivo.
Oltre a ciò vanno considerati gli aspetti legati al luogo, al locale,
agli arredi, al servizio; oltre alle posate, bicchieri e tovaglie; unitamente ad una impeccabile pulizia e una ricercata cantina.
Tutto concorre per una corretta valutazione, tutto segue un suo filo conduttore.
Frequentare un locale è sinonimo di famigliarità e, per quanto possa sembrare strano, ci si affeziona e dispiacerebbe abbandonarlo qualora i parametri valutativi dovessero slegarsi creando uno squilibrio e perdendo così quel rapporto matematico che si esprime nella formula:
P : Q = C : S
(dove P sta per prezzo, Q qualita’, C cucina, S servizio ).
Prezzo: è nota dolente, vuoi perché certi privilegi hanno un costo, come del resto tutto ciò che si distingue sopra il pentagramma della normalità, vuoi perché la moda conferisce spesso meriti difficili da interpretare.
Nella maggior parte dei casi il prezzo trova sempre giustificazione; certamente il cambio £/€ è stato la causa di un crescente aumento dei costi esposti sui menù o sui listini delle consumazioni.
A differenza di altri paesi che per competere sono passati a prodotti di qualità medio bassa, cercando di camuffare il cibo con alchimie e supporti artificiali a detrimento della impeccabile preparazione amanuense che ci contraddistingue.
Hanno dimezzato il servizio impoverendo il locale, è scomparsa la figura del caposala e i camerieri / pseudo sommelier, che cercano di rifilare vini e cibo non sempre all’altezza di una carta che difetta di aggiornamento.
Hanno massificato le tavole con bicchieri, posate e tovaglie a noleggio. Da noi non è stato così, c’è qualcuno a cui è scivolata l’aureola, ma si perde nella nebbia. L’Italia a tavola resta unica e la migliore.
La poliedrica visione della cucina italiana e la sua raffinata conoscenza ci permette di giudicare il prodotto di chiunque al mondo, sapendo di non essere secondi a nessuno e i più competenti. è vero che i ristoranti più stellati non sono italiani, ma è solo una valutazione riservata ai pochissimi frequentatori che poi, nelle loro case, come in quelle di mezzo mondo cucinano copiandoci.
Assisto con frequenza al taglio del nastro di ristoranti già collocati nell’olimpo della gastronomia internazionale dalla stampa e dalla critica senza aver loro ancora sottoposto il menù, e questo non accade solo in Italia, ma anche all’estero.
E solo per i ristoranti “italiani”. Il vessillo della enogastronomia italiana è alto, molto alto e sventolante, affinché spazi a 360° e tutti vedano distintamente i tre colori.
Il mondo ci guarda, come per la moda, o per il designer e la meccanica automobilistica, e da noi impara; ci copia, spesso male.
è questo che ci rende più forti, ci sprona a migliorare ciò che per altri è gia perfetto, ma che per noi è già passato in quanto contaminato dall’imitazione. Siamo il paese più completo al mondo, in assoluto, ci hanno perfino copiato le città. Dobbiamo avvalerci di ciò che sappiamo e non di ciò che dicono di sapere gli altri,
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