Dal racconto: Äl men in bisâca, pulent e saräca1
I Borlenghi
di Loriano Macchiavelli*
Se le cose fossero andate come dovevano andare, prima che il Milanese se ne tornasse a casa gli avrei fatto assaggiare i borlenghi, una specialità dei nostri monti. Glielo aveva promesso e lui ci aveva fatto il segno sopra.
Si fa una pastella liquida, che le nostre donne chiamano colla, con farina, un uovo e acqua leggermente salata. A parte si prepara un condimento con lardo, aglio e rosmarino, tutto tritato ben bene. Si scalda il sole, che è poi una padella grande di rame, splendente come il sole e con il manico lungo.
Si scalda bene il sole alla fiamma o alle braci, lo si unge con la cotica del lardo e vi si versa un mestolo di pastella, ruotandolo in modo che la colla si sparga bene, sotile, e copra tutto il fondo. La pastella si cuoce, raggrinza e si stacca dalla padella. Prima di toglierla, ci metti sopra un bel po’ del condimento che hai preparato e leggermente scaldato per poterlo distribuire bene, e ci spolveri un’abbondante nevicata di parmigiano grattugiato. Pieghi in quattro il borlengo e lo offri agli amici. Una pellicola croccante e saporita.
Un mangiare che ci viene da chissà quali lontani tempi, costa poco e riempie le giornate di festa dei montanari come me. Perché anche i più disperati riescono a mettere assieme una manciata di farina, un uovo e un pezzo di lardo. L’acqua non manca dalle mie parti e aglio e rosmarino ce n’è in abbondanza.
Ma le cose non vanno mai come dovrebbero.
* Da un racconto pubblicato nell'antologia A table! che raccoglie racconti di 42 autori di 17 paesi in 7 lingue. L'antologia è uscita in occasione dei 25 anni della casa editrice Mètailié (Francia)
nel 2004.
1 Espressione dialettale (in italiano “Le mani in tasca, polenta e saracca”) che vuole significare: niente lavoro e da mangiare gli unici alimenti che la povera gente era in grado di procurarsi. Non secoli fa: fino al dopoguerra, 1945 – 50.
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