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Tex Willer* e Lucio Battisti** e le rare “golosità” di due importanti anniversari
di  Rino Pensato

Lucio Battisti a cavalloTra i molti anniversari che cadono nel 2008 vogliamo ricordarne due, non di quelli planetari e che muovono mezzo mondo e Vittorio Sgarbi, ma che riguardano tuttavia due dei miti più amati del nostro secondo dopoguerra: Tex Willer e Lucio Battisti. Amati anche da chi scrive, che ricorda nitidamente la rabbia procuratagli, nel corso del primo degli innumerevoli traslochi della sua vita, dalla sparizione (eravamo nel 1960) della collezione di tutto il Tex a strisce gelosamente conservata intatta fino ad allora. E ricorda anche la folgorazione, a metà degli anni Sessanta (1966, Per una lira-Dolce di giorno), procuratagli dall’uscita del primo 45 giri dell’artista reatino, amato senza soluzione di continuità, anche a dispetto della tediosa polemica circa le sue propensioni politiche.

Parliamo dunque di Lucio Battisti, a dieci anni dalla scomparsa, e di Tex Willer, a 60 dalla nascita, a 100 da quelli del suo geniale creatore, quel Gianluigi Bonelli, in vita giustamente considerato il “patriarca” del fumetto italiano, alle cui fortune texiane contribuì – è sacrosanto ricordarlo, l’incontro con l’inimitabile disegnatore maremmano Aurelio Galleppini.
Tex a cavallo 60 anni, ma li porta benissimo, anche grazie allo splendido regalo che Sergio Bonelli e “Repubblica-L’Espresso” hanno voluto fare ai fan, con la sontuosa serie a colori (eccellenti anche le sezioni critiche e biografiche, dovute a Luca Raffaelli e Sergio Bonelli). Una pacchia per gli edicolanti: la serie è stata allungata, visto il successo senza precedenti, a tempo indeterminato e ogni edicola ha decine di “abbonati”, una minima parte dei quali, mi si dice, abbandona l’impresa, dopo ben oltre90 numeri già usciti rispetto a 50 programmati.

Due anniversari un po’ difficili da collocare su Mensa. A differenza di altri musicisti , nella vasta produzione di Battisti sono pochi i riferimenti al cibo. E in Tex Willer, che nei bivacchi consuma, con i suoi pards, sempre colazioni e cene frugali, dove il caffè bollente in quantità industriali non manca mai, e quando mette piede in un ristorante o locanda o bettola, chiede sistematicamente bistecche alte tre dita sepolte da montagne di patate fritte e affogate in fiumi di birra ghiacciata.
Vi sono in realtà alcune circostanze che mostrano i nostri eroi alle prese con cibi e bevande diverse. Ne accenniamo, per brevità – e a memoria – due o tre.
Nei bivacchi o nel villaggio dove Tex vive, specie quando la compagnia è allargata a gruppi di fedeli Navajos, si intravvedono spiedi in cui cuociono alla brace grossi pezzi di carne indistinta (ovviamente selvaggina, di aria e di terra, non ricordo pesci) o bestie di allevamento dei pastori navajos o catturate nelle frequenti battute di caccia del figlio Kit con i suoi coetanei navajos, che hanno reputazione di grandi cacciatori, di bestie, di uomini e di tracce.
In qualche locale o casa messicana o ai confini ci si concede qualche tortilla. E non mancano colazioni a base di prosciutto, uova e caffè. Anche in casa del Morisco compaiono tortillas, ma l’abilità culinaria di Eusebio, il fedele servitore dello scienziato egizio-messicano, provvede spesso pranzi succulenti e ottimi vini.


Morisco vino

Naturalmente una ricerca più attenta e accurata porterebbe a risultati forse diversi e più documentati (e in effetti la rilettura a colori ha già riportati alla luce diverse occasioni di abbandono del cliché – sostanziose colazioni, succulenti ristoranti, anche cinesi e messicani), ma per ora ci interessava che Mensa onorasse, a suo modo, come sempre, un prodotto culturale al quale il sottoscritto, e tanti altri come lui, devono (al contrario di quel che pensava il mio amato genitore) molte preziose informazioni (nelle didascalie, nelle carte geografiche – esiste un libro intero sulla cartografia willeriana -, nelle storie del Morisco), vere, precise, documentate e documentabili sulla storia del West, degli indiani. degli indios, delle loro culture e civiltà.
Come si passa da Tex Willer a Lucio Battisti? In verità ci sono pochi legami reali tra i due. Diciamo, sempre a memoria, la bistecca, il cavallo e la discussione sulla contesa appartenenza politica dei due. Quest’ultima non ci appassiona e pertanto la ignoreremo. Il cavallo, beh, si limita alla famosa cavalcata Milano-Roma del 1970 di Battisti e Mogol e ai milioni di chilometri percorsi da Aquila della Notte (il nome indiano di Tex, capo temuto e rispettato della gente del popolo navajo) insieme ai suoi inseparabili pards, suo figlio Kit, Piccolo Falco, il navajo Tiger, e il brontolone Kit Carson, il quale odia qualsiasi mezzo di locomozione meccanico, terrestre o marino (un po’ come il grande Nero Wolfe di Rex Stout).


Bistecche

La bistecca entra nel ristretto gruppo di casuali associazioni fra i due miti grazie a una canzone, tra le più sorprendenti e interessanti, per musica e parole, della vasta produzione battistiana. E una delle poche (in verità a prima vista non ne ricordiamo altre, ma dovremmo verificare) nelle quali il cibo diventa protagonista, naturalmente in associazione con eros.
Si tratta di Dio mio no (guarda il video su youtube).
Un pezzo rock musicalmente e vocalmente pregevolissimo (ai tempi in cui la critica, ricordo il grande Renzo Nissim, esperto di Jazz quanto di pop-rock, definiva sgradevole la voce di Lucio, chissà cosa pensava di Louis Armstrong e Fred Buscaglione, e cosa avrebbe pensato di Tom Waits e Paolo Conte) il cui testo è un icastico e ironico mini-psicodramma.
Il protagonista si predispone a una cenetta intima, con uno stato d’animo parossistico, nel quale l’ansia incontenibile dell’incontro, desiderato e temuto, non riesce a dissiparsi attraverso la constatazione di avere fatto tutto per bene sul versante cibo. A titolo di autorassicurazione egli riassume a se stesso la situazione gastronomica. Qui forse ci sarebbe piaciuto che Mogol avesse forzato un po’ di più la fantasia, ma evidentemente quel che gli interessava era descrivere il canonico psicodramma che sempre sta dietro alla prima cenetta a due a fini amorosi o erotici, e in questo la cosa funziona, anche grazie alla impeccabile e integratissima quanto ardua parte musicale.

Dio  mio no La questione gastronomica è risolta, piuttosto vagamente, quasi “frugalmente” avrebbe scritto Gian Luigi Bonelli, l’inventore e primo e grande sceneggiatore di Tex, in pochi versi nell’antefatto e verso il finale, non descritto, ma senza dubbio lieto.
Della cena sappiamo che il vino è nel frigo, il sugo sul fuoco e che a momenti arriverà il macellaio con le bistecche e il caviale (?). Ma lei, verrà o non verrà. No, non verrà, teme sconsolato l’ansioso innamorato in attesa spasmodica. Viene. “Mangia di gusto la carne il caviale e il resto” – misterioso, ndr -. E, finalmente, “dopo aver mangiato la frutta”, c’è solo amore, letto, lei che si avvicina, sempre più, e lui che, coerentemente con la sua indole, quasi incredulo sino alla fine, rivolge alla donna, che nel frattempo si cambia d’abito presentandosi vestita in maniera più coerente con un mobile funzionalmente diverso dalla tavola, la domanda retorica: “Dio mio no, cosa fai che cosa fai.” Cala il sipario. Il resto lo racconta una coda musicale molto bella e, come sempre, tutt’altro che banale e convenzionale. Piccolo grande gioiello.


* Le immagini di Tex Willer provengono dalla stupefacente “Tex. Collezione storica a colori”, il più bel regalo fatto dal grande, inesauribile, Sergio Bonelli ai fan della leggenda del fumetto italiano. IMPERDIBILE, dal n. 1 in poi, tutto.
Tex. Collezione storica a colori

** Le immagini di Lucio Battisti, riprese dalla rete, sono in realtà della famiglia di Albert Moyerson, l'istruttore che insegnò a Lucio Battisti a montare a cavallo e dei suoi figli Filippo e Francesca che accompagnarono negli allenamenti e nel viaggio i due artisti.
Il tutto si può trovare nel libro, naturalmente IMPERDIBILE:
Francesco Marchetti. Lucio Battisti. Due ragazzi attraversano l'estate.  Milano, Sperling&Kupfer, 2008
Lucio Battisti. Due ragazzi attraversano l'estate

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