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La lettura di Massimo Montanari
Il sapore della cultura

"Musei del gusto": fino a non molti anni fa un'espressione come questa sarebbe stata impensabile. Se oggi si pubblica un volume con questo titolo (altri ne stanno uscendo qua e là in Italia) vuoi dire che qualcosa di importante è successo.
È successo che la dimensione culturale del cibo e di tutto ciò che storicamente gli ruota attorno (attenzioni materiali e mentali, saperi e tecniche, strumenti e simboli) è stata finalmente recepita nella coscienza collettiva. Sempre più spesso le parole cibo e cultura sono fra loro associate, non già - attenzione - perché al cibo si affianchi la cultura, ma perché il cibo è cultura, in tutte le fasi che ne costituiscono il percorso: dal reperimento delle risorse alle forme di produzione, dai modi di preparazione e trasformazione ai sistemi di conservazione, dalle politiche di distribuzione alle possibilità sociali di accesso al consumo, fino al momento conclusivo che vede il cibo scivolare dentro il corpo dell'uomo, materia arricchita dei valori di cui l'uomo stesso l'ha caricata. Dalla terra alla tavola, questo percorso è denso di contenuti e di significati che richiamano l'intero patrimonio culturale di una società. Se di questo oggi siamo più consapevoli, non è solo perché possiamo permettercelo (perché nella nostra società il cibo non è più un problema di sopravvivenza quotidiana) ma anche perché le ragioni del corpo hanno finalmente fatto breccia nella nostra visione dell'uomo e della storia. Con la scoperta, per qualcuno forse imprevista, che le ragioni del corpo portano con sé quelle dello spirito, e che non esistono cose senza simboli, né simboli senza cose.

Ben vengano, allora, i "musei del gusto", che ci parlano di cose e di simboli: di come si coltiva un vigneto, e dei significati che il vino ha assunto nella nostra civiltà; di come si fabbrica un formaggio, e dei valori di socialità che queste pratiche hanno sviluppato fra gli uomini; di come si fa l'olio, o si innesta un albero da frutto; di come si elaborano squisiti salumi, distillati e liquori. Tutto ciò è tecnica, è sapere, è cultura. Di tutto ciò si parla in questi musei, sempre più numerosi nel nostro paese e nella nostra regione, a segnare la crescita di una domanda nuova, di un turismo intelligente che non si accontenta più del monumento famoso o della grande collezione d'arte, ma vuole capire il senso di un territorio, dei rapporti che ogni società ha saputo intrattenere con l'ambiente che le da vita. Questi musei testimoniano la cultura del lavoro che da sempre sostiene le necessità quotidiane dell'uomo e anche i suoi piaceri, giacché non sta scritto da nessuna parte che il bisogno non possa accompagnarsi al piacere; che la storia della fame sia altra cosa dalla storia della gastronomia.

Dalla lettura di queste pagine esce l'immagine di un patrimonio capillarmente diffuso sul territorio, secondo un modello che è tipico dell'Italia. Nel nostro paese, così come il patrimonio artistico, anche quello gastronomico si caratterizza per l'assenza di "capitali", di luoghi egemoni, di particolari concentrazioni: è un patrimonio sparso, che testimonia la straordinaria ricchezza di una cultura e della sua storia.

Da: I musei del gusto in Emilia-Romagna. Bologna, Regione Emilia-Romagna; Compositori Industrie Grafiche, 2008.

http://www.museidelgusto.it/

I musei del gusto in Emilia-Romagna

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