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	   L'opinione di Massimo Montanari 
      Giocare con lo spazio 
      di Massimo Montanari 
      La lotta per il dominio dello  Spazio è una sorta di alternativa (o di variante) al gioco del Tempo:   procurarsi il cibo da altri luoghi, più o meno lontani, applicandosi a  sconfiggere i vincoli del territorio oltre che la variabilità stagionale dei  prodotti. E una pratica antica, rimasta per millenni un privilegio sociale,  anzi, un segno del privilegio sociale. Come scrive Cassiodoro, ministro del re  Teodorico (VI secolo): «Solo il semplice cittadino si accontenta di ciò che  fornisce il territorio. La tavola del principe deve offrire di tutto e  suscitare meraviglia solo a vederla». In questo modo rappresenta e celebra la  sua diversità. 
         
        L'azione sullo Spazio e l'azione  sul Tempo si incrociano e si rafforzano a vicenda. Ma col passare dei secoli la  prima tende a diventare progressivamente più importante della seconda: il  fenomeno è visibile già nel Medioevo, con l'al largarsi delle correnti  commerciali, ed è sempre più evidente con i viaggi attorno al mondo che si  moltiplicano a iniziare dal XVI secolo. Il passo decisivo è la rivoluzione dei  trasporti, indotta dall'industrializzazione otto-novecentesca, che consente di  risolvere altrove i problemi dell'approvvigionamento alimentare, rendendo meno  determinanti le tecniche di diversificazione produttiva e quelle di  conservazione, o almeno, combinandosi con esse con un peso sempre più  significativo. Il rapporto degli uomini con lo spazio, infine, si è modificato  radicalmente, allargandosi fino a esplodere nella logica del «villaggio  globale». Oggi, nei paesi industrializzati, è possibile trovare prodotti  freschi in tutti i momenti dell'anno, utilizzando il sistema-mondo come area di  produzione e di distribuzione. Ciò costituisce una vera rivoluzione, se ci  riferiamo alla nuova dimensione planetaria dell'economia alimentare e  all'ampiezza del corpo sociale coinvolto (almeno nei paesi ricchi, i meccanismi  del mercato globale e il drastico abbattimento dei costi hanno allargato,  potenzialmente, la fascia dei consumatori alla quasi totalità della  popolazione). Sul piano culturale, tuttavia, questa rivoluzione è solo  apparente: i bisogni e i desideri che essa appaga sono bisogni e desideri  antichi, anche se un tempo si realizzavano entro spazi più limitati e per un  numero più ristretto di consumatori. 
         
        Su questi temi rifletteva  acutamente Bartolomeo Stefani, capocuoco alla corte mantovana dei Gonzaga nel  XVII secolo e autore di un importante trattato di cucina, il quale faceva  notare come gli alimenti non siano mai, a rigor di logica, «contro stagione».  Non stupitevi,  scriveva, se «in questi miei discorsi a certe occasioni ordino alcune cose, come per esempio  sparagi, carcioffi, piselli [...] nei mesi di genaro e febraro, e cose simili che a prima faccia paiono  contro stagione». Non stupitevi se il 27 novembre 1655, al banchetto allestito  in onore della regina Cristina di Svezia, di  passaggio a Mantova durante il viaggio che la portava a Roma, ordinai di servire come prima vivanda (il 27  novembre!) fragole al vino bianco.  L'Italia (oggi diremmo: la Terra) è  talmente ricca di buone cose che sarebbe un peccato non portarle sulla  tavola dei buongustai. Davanti a tale  abbondanza - qui Stefani introduce una lista di specialità regionali - perché  chiudersi nel proprio piccolo orizzonte? Perché limitarsi al «pane della città natta»? In realtà sono sufficienti «buoni destrieri e buona borsa»  (detto altrimenti: rapidi mezzi di trasporto e adeguata disponibilità di denaro)  per trovare altrove, fresche in ogni stagione, «tutte quelle cose che io  propongo». 
      Buoni destrieri e  buona borsa. I cargo e i TIR che riempiono i nostri supermercati. Facendo crollare, assieme ai prezzi,  le immagini di prestigio che da sempre hanno accompagnato i prodotti esotici. Oggi la distinzione si è spostata altrove: paradossalmente, nel lungamente  vituperato «territorio». […] 
    Da: Massimo Montanari. Il  cibo come cultura. Roma-Bari, Laterza, 2004 
	
      
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