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L’amicizia enòica tra Guido Ceronetti e Arturo Bersano
Il poeta e il vignaiolo
di Massimo Gatta

Fummo ospiti, per qualche tempo,
del signore delle vigne. Abitava in una
grande casa tra le colline, sempre piena
di gente d’affari e di amici. Il signore era
molto ospitale, e per ogni piatto servito
alla sua tavola c’era un vino diverso. Il
prolungarsi del pranzo prolungava anche
l’età dei vini serviti. Il poeta e il vignaiolo

Guido Ceronetti, Il signore delle vigne


            Quando sulla scrivania del bibliografo approdano libri come questo di cui parlerò, sorta di vascelli vagabondi di baudelairiana memoria (e sappiamo quanto e come il poeta parigino celebrerà il vino), qualcosa scatta in noi a dirci che in fondo non tutto è perduto e che ancora ci si può stupire e gioire. Ma questi libri ci evitano, a volte, anche l'inciampo culturale, il presupporre cioè qualcosa che si rivela, ad uno sguardo più approfondito, errato. Nel caso specifico: la relazione, che credevo inesistente o dubbia, tra un poeta-filosofo torinese strambo e dottissimo come Guido Ceronettie il vino (conoscendo bene, al contrario, la sua ineasusta celebrazione del tè: «Due volte al giorno, verso le sei del mattino e le cinque della sera, tazza ripetuta di Tè verde della Cina arriva con la sua infallibile virtù unitiva, confirmativa, risuscitativa, a disincagliarmi e a preservarmi da ogni specie d’inerzia, d’inebetimento, di abbattimento. […]» Lo Spirito del Tè comincia appena disceso ad operare. Leggere pressioni interne, agopunture invisibili, scatti tempestivi del sensorio, sampàn di lumettini, coloriture improvvise di silenzi, un susseguirsi puntuale di eccitamenti che vanno dall’occhio interno (che forse è un orecchio o una mano) lungo le disirrigidite vertebre, al coccige resurrecturo), tanto da associare mentalmente a questo binomio ossimorico la celebre frase che Isidore Ducasse, conte di Lautrémont, pronunciò per indicare la bellezza:  «[...] bello Il poeta e il vignaiolo come l'incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio», a significare una bellezza derivata dall'accoppiamento di due realtà apparentemente inconciliabili su un piano che non è conveniente per esse e in cui si sentono estranee. Invece.... Invece questo libro ha interamente smontato il teorema ossimorico di cui sopra per proporne uno opposto: il filosofo strambo e pluridotto non solo ha frequentato in maniera ravvicinata l'antichissimo liquido ma, e da quì lo stupore e la gioia di cui sopra, ha intrattenuto una relazione epistolare durata dal 1968 al 1972 con un grande vignaiolo filosofo come Arturo Bersano. A lui, e alla moglie Laura, Ceronetti dedicherà il dodicesimo capitolo di Aquilegia intitolato, non a caso, Il signore delle vigne.

            Il vino, nella sua caleidoscopica cosmogonia, e il rigoroso rispetto per la terra, sono stati il collante di questa amicizia enòica planata nel mondo rarefatto della memoria vegetale (come Eco chiama la carta) di questo epistolario così ricco d'antica grana sapienziale contadina. Il vino, di cui nulla conosco della sua sterminata architettura polifonica se non il ricordo che ho di mio suocero, vinaio napoletano all'antica che me ne parlava senza parole, ma nei cui gesti antichi (come pulire le pesanti botti di legno con catene di ferro) passava intatta la concretezza e la fatica (ma anche l'orgoglio) di appartenere al regno vinicolo; il vino (in particolare un Mombaruzzo), da cui principia la corrispondenza il 14 gennaio 1968.

            La preziosità, come sempre in Ceronetti, è soprattutto linguistica sorretta da un contenuto di tipo officinale: molti e dettagliati, ad esempio, i consigli vegetariani («Non sembra facile, oggi, una difesa del vegetarianismo. Non solo tutti idolatrano il vitello carneo: il nutrimento alternativo, da contrapporgli, è scadente, povero e pericoloso», scriveva nel 1976, e l’intera prima parte della lettera del 9 ottobre 1972 è dedicata all’astensione dalla carne) e in particolare Il poeta e il vignaiolopitagorici, sentieri da sempre battuti dal filosofo-poeta torinese, insieme alla peregrinazione intorno al concetto metafisico di Corpo. Anche sul vino l'eloquio ceronettiano si distende in ampie campiture in cui compaiono, a volte, precise indicazioni posologiche: «[...] Vino a pasto si: non amabile, ma asciutto e nobile. Qui sei tu il conoscitore. Moderazione (massimo un quartino al pasto principale - meno della metà alla sera)». Al mondo della cucina casereccia (nello specifico la celebre Fiaschetteria Beltramme, meglio nota a Roma come Cesaretto in via della Croce) il nostro filosofo enòico dedicherà, nel 1980, un articolo tosto e piuttosto critico. Su tutto la condanna senza scampo dello zucchero raffinato, che anche in questo epistolario torna sovente «Se vuoi evitare lo Zucchero assassino, prendi quello Rosso di Canna (a Torino solo da Paissa piazza San Carlo) e un po’ di miele»; ma anche il caffè è per Ceronetti fonte di dolore («[…] Vetriolo del Grandguignol, il succo oscuro dell’elleboro […]»), mentre all’amato yougurt dedicherà persino uno spettacolo teatrale, come resterà fedele all’aglio, riscoprendone archeologicamente le antiche virtù (De usu medico Alii) in un manoscritto ritrovato e aggiornato dalla Scuola Medica Salernitana (avrebbe, in questo, fatto felice il grande scrittore marsigliese Jean-Claude Izzo, acceso sostenitore di questo cardine della cucina e del gusto mediterranei: «[…] Perché l’aglio, l’avrete capito, fa parte del gusto di vivere. E’ lui, solo lui che apre le porte a tutti i sapori. Sa accoglierli. Cucinare, mangiare vuol dire questo: accogliere. Gli amori, gli amici, i figli, i nipoti»).

 Il poeta e il vignaiolo

Le lettere sono spesso costellate da interventi pitturali e da collages (quasi moderni codici miniati), prerogativa di vari epistolari ceronettiani e non solo, come ad esempio quello con Giosetta Fioroni, ma anche elemento centrale del Ceronetti cartolinaro in cui la cartolina-collage racconta un’esistenza, un mondo, un’intera Storia. Inoltre il pluridotto amico di Bersano (sommo traduttore da arcane lingue) sembra particolarmente felice di procurare al vignaiolo-filosofo alcuni epigrammi in latino in lode del vino, al fine di coronare linguisticamente il blasone della tenuta dell'amico La Cremosina. Qui l'epigrammista Ceronetti si diverte a sottoporre all'amico un intero catalogo di moderne imprese araldiche dove traspare sia l'acutezza del filologo che il magistero del traduttore, tutte degne di un moderno Catullo: Humanis fero vinum inter bona divinum, Vinum non aurum gero vitam non letum fero, Amorem foveo vinis, Nitet mundo Chermosina parit felix bona vina.

 Il poeta e il vignaiolo

            Bersano, lo ricorda diffusamente Ferrero nell'aurea prefazione, è stato personaggio d'alto e saggio lignaggio (sognava «una cosmogonia paesana da riportare in vita attraverso un cibo, uno strumento, un colloquio, una persa abitudine, un incontro, la forma di una bottiglia, il gusto di un aggettivo», ha scritto Giovanni Arpino, uno che di antichi sapori esistenziali se ne intendeva); molteplici i suoi interessi tutti legati alla valorizzazione e alla storia culturale della tradizione contadina di cui resta, splendente Il poeta e il vignaiolo esempio, il "Museo delle Contadinerie", a Nizza Monferrato, in cui sono conservati zappe, secchie, paioli, mortai, setacci, zangole, moschiere, lanterne, zucche cave per l'acqua, mastelli, tini, botti, bicchieri e calici, etichette e persino una locomotiva a vapore (come quella che adorna, ad Alpignano, il giardino della casa-stamperia che fu di Alberto Tallone ed oggi del figlio Enrico), oltre a due torchi del Sei e del Settecento a vite centrale discendente, altri con due grandi viti verticali (alla genovese) e infine torchi a sportello da olio e da vino originari del Col di Nava. Amava, con uguale trasporto e sensibilità, raccogliere anche antiche bottiglie d'età napoleonica o del secolo dei Lumi, adornandole poi con etichette da Liliana lui stesso disegnate, una pratica artistico-scritturale che condivideva con l'amico poeta che così gli scriveva: «[…] La liliale Erica [Erica Tedeschi, compagna di Ceronetti, con la quale fonda nel 1970 Il Teatro dei Sensibili, N.d.A.] è molto richiesta. Tra le altre cose, di etichette per barattoli di vetro, come Caffè, Spezie, Camomilla ec. Illustrate: noi ne abbiamo parecchie. Se ne vuoi anche tu, questo si può fare in poco tempo e l’avresti abbastanza presto. Fammi sapere quali contenuti l’interessano (Zucchero, ecc.) e se per barattoli piccoli, medi o grandi. Il risultato è di grande allegrezza», «[…] Ti scrivo senza le etichette alle quali E. ha cominciato a lavorare oggi e che saranno pronte tra alcuni giorni. Saranno parecchie e saranno l’unico nostro omaggio a voi per le feste», «… abbiamo avuto la tua lettera dove spronavi Erica ai colori delle Etichette, da farsi “partendo dal Sentimento”. Erica e Liliana hanno cominciato un lavoro frenetico, durato più d’una settimana, e adesso le Etichette sono pronte, ed eccole. In qualche caso si tratta di superetichette, fuori dalla normale misura, buone forse solo per la pinta, ma, anche se non utilizzabili, di garbo. I testi sono frutto delle profonde Meditazioni del Poeta. Liliana è contenta dell’esperienza grafica, per lei preziosa. Adesso c’è solo da temere il vostro giudizio. Accogli con indulgenza. Speriamo veramente che tu possa offrire agli Ospiti qualche bottiglia etichettata da E. e da L. E’ il nostro unico e poverissimo “cadeau” natalizio». L’etichetta, come emblema grafico dell’amicizia coi Bersano, entrerà anche nella letteratura ceronettiana occupando status di deuteragonista: «[…] Il prolungarsi degli antipasti prolungava anche l’età dei vini serviti. Agli antipasti, il vino non aveva più di due o tre anni; al dolce, ne aveva almeno venti. In ogni etichetta, era raccontata una parte di una storia: alla fine del pranzo, ne leggevi, un po’ offuscato e appesantito, la conclusione, sempre accompagnata da una morale in versi, squisita come quelle di Perrault. Il signore delle vigne parlava di mestieri e di agricoltura. Conosceva la storia del vigneto dai Noachidi all’ultima grandinata astigiana. Una bella dama silenziosa vegliava su di lui e sulla sua casa».

 Il poeta e il vignaiolo

            Nella mancita di lettere di Bersano a Ceronetti pubblicate emerge una profonda cultura materiale attenta ai cicli e ai tempi, alla luna e al respiro della natura, elementi di una robusta filosofia arcaica, contadina ed epicurea-georgica (come scrive Bersano), che ben si incastrano con la metafisica ceronettiana e che completano magnificamente questo epistolario. La fede contadina negli influssi lunari sullo risolversi degli eventi materiali legati alla terra e ai suoi prodotti è per Bersano naturaliter, senza enfasi e senza orgoglio, frutto d’esperienza e di fatica: «[…] Io credo nell’influsso della luna non solo sui mari, ma anche sul tempo, nelle germinazioni, sulle fermentazioni, sulle durevolezze dei prodotti e la perfezione di essi, negli accrescimenti. Io, come il mio mezzadro vecchio, mi faccio tagliare i capelli a luna vecchia perché Il poeta e il vignaiolo crescono di meno, che non tagliati a luna nuova. E risparmio. E provo la gioia giusta di, in qualcosa, vivere secondo il grande segreto della natura. Come chi pota a luna vecchia e i sarmenti non sfarinano, come chi semina a luna nuova e i germogli partono prima per far pianta, ma non per far frutto, per ottenere il quale occorre buttare il seme a gobba levante perché la piantina cresce con meditata lentezza per conservar forza e ordine di linfe atto al capolavoro». Ecco il punto, che Bersano magnificamente indica all’amico con parole essenziali: provare la gioia giusta di vivere secondo il grande segreto della natura. E Ceronetti non poteva non essere entusiasta di questa confessione laica e religiosa insieme, e profondamente umana, di questo sforzo di resistere allo strapotere del Moderno che tutto ammutolisce e stravolge e annienta (si annienta la tradizione così come i cicli naturali e millenari, si annientano l’attesa e la pazienza, si annientano i rituali immemorabili, si annientano i rapporti umani, si annienta nello stesso modo la verdura nel mese sbagliato, la frutta non di stagione, l’avere tutto subito e qui sulla nostra tavola). Ma Bersano, da vero uomo della terra, non esalta la natura, di cui ben conosce la deliziosa e tremenda incostanza e ingiustizia della vita. Anche la sofferenza e la morte, naturale approdo in absentia di queste splendide lettere, sono vissute come naturale proseguimento della trama infinita delle cose naturali, e per questo non devono far paura: «[…] l’accettazione del male e della morte non come stabiliti da un Dio cattivo e ingiusto, ma come naturale volger delle cose. La sopportazione non lamentata del contadino davanti alla natura e quella dell’uomo a fronte della vita sono per me epicureismo, che si identifica in coraggio morale. Tutto questo è tremendamente difficile». Ma questa difficoltà è la stessa, identica e necessaria di cui scriveva Ezra Pound a proposito della bellezza Beaty is Difficult.

 Il poeta e il vignaiolo

            Arturo Bersano muore nel 1978 dopo aver “socraticamente affrontato il male che doveva spegnerlo” (Ferrero) e Giovanni Arpino così lo ricorderà: «Un addio ad Arturo Bersano è impossibile. Ce lo vieta l’amore che portavamo a lui, alle sue cartoline fiorite, al consorzio fraterno che riusciva a radunare intorno a sé. L’eredità di Bersano è in tutti coloro che l’hanno conosciuto: sa di campagna, di sentieri polverosi, di un bicchiere in pace, sa di tutto ciò che fu ieri, di quanto rimane puro in noi: un’ombra appena, ma eterna».

 Il poeta e il vignaiolo




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